“Il male esiste, ma la sofferenza è inutile” – .

“Il male esiste, ma la sofferenza è inutile” – .
“Il male esiste, ma la sofferenza è inutile” – .

di Elena Coatti

“Ogni prigione è un’isola.” Questo è il titolo dell’ultimo libro di Daria Bignardi con cui collega due mondi che le sono molto cari, quasi “irresistibili” come dice lei, e che ha avuto modo di conoscere da vicino negli ultimi trent’anni. Ad accompagnarla nella presentazione c’erano anche la senatrice Ilaria Cucchi e l’avvocato Fabio Anselmo, accolti nella sala del Libraccio da scroscianti applausi.

Daria Bignardi racconta come è nato il suo “magnetismo” verso il carcere. Anche perché da ragazzina quando andava a trovare un suo amico in via Piangipane non poteva fare a meno di notare quell’edificio, oggi sede del Museo Ebraico, e non riusciva a spiegarsi come Giorgio Bassani potesse essere finito lì. “Ma non ci vanno solo i cattivi?”, si chiedeva. Poi, una volta cresciuta, scambiò diverse lettere con un giovane americano condannato a morte, Scotty. Forse Daria Bignardi ha semplicemente capito che il carcere riguarda tutti noi. E lo ha capito in prima persona Ilaria Cucchi, il cui fratello è morto in carcere e che da allora si batte per cambiare questo sistema.

“Ogni carcere è un’isola perché le carceri sono isolate non solo dal punto di vista strutturale – spiega il senatore Cucchi -, quindi lontane dai centri urbani, ma sono isolate soprattutto nell’immaginario collettivo”. Ma il carcere “riguarda tutti noi – prosegue – e un giorno i detenuti torneranno a far parte della società”. Per questo è necessario investire sul loro futuro perché, come spiega Bignardi, “nei casi in cui i detenuti che hanno avuto accesso a programmi di lavoro, la recidiva scende al 20%”.

Tuttavia, le condizioni nel sistema carcerario “stanno solo peggiorando”, afferma l’autore. Adesso le carceri sono “piene di sfortunati, poveri e malati di mente”. Perché il carcere è così classista? “È lo specchio della nostra società – interviene Fabio Anselmo -. Il carcere è diventato una discarica in cui gettare tutti coloro che non si adeguano alle norme, dove la piramide dei diritti è invertita perché la legge non è uguale per tutti”. Anche le possibilità tra le detenute non sono uguali quando si tratta delle carceri femminili, nelle quali le donne, essendo in minoranza, sono abbandonate a se stesse. Ma vittime di questo sistema sono anche gli operatori e gli agenti di polizia “che devono fare i conti con il continuo sovraffollamento”, ricorda Cucchi, sia dal punto di vista logistico che psicologico.

“Bisogna parlare di carcere – dice Daria Bignardi – per far venire voglia di guardarsi dentro. Un carcere aperto è meglio per tutti, sia per i detenuti, sia per chi ci lavora, sia per chi sta fuori”. Racconta l’autrice che è stato Luigi Pagano, il direttore del più grande carcere d’Italia, a spiegarle che «se c’è una cosa a cui il carcere può essere utile è nel rapporto che si crea tra un detenuto e un esterno persona, come un volontario o uno psicologo”. “In quel rapporto – conclude l’autore – si crea un legame di fiducia che il detenuto, quando uscirà, non vorrà tradire”. Ecco cosa dovrebbero capire certi politici, secondo Fabio Anselmo: “un carcere aperto e a misura d’uomo ridurrebbe i

 
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