Bari – Teatro Petruzzelli: Rigoletto – .

Bari – Teatro Petruzzelli: Rigoletto – .
Bari – Teatro Petruzzelli: Rigoletto – .

«Si raggiunge quasi ovunque l’equilibrio perfetto tra musica e dramma, lo stato di grazia concesso nel Rigoletto. Il padre di Gilda è la prima creatura vivente di Verdi, creata integralmente e con franchezza, senza artifici di sorta.”: Massimo Mila sintetizzava con efficacia la portata “rivoluzionaria” del primo titolo della “Trilogia Popolare” andata in scena l’11 marzo 1851 alla Fenice, accolta con strepitoso successo. Rigoletto nel percorso di Verdi segna un forte cambiamento, mettendo in scena la tragedia della vita reale, dove non c’è spazio per la redenzione e tanto meno per il perdono e la misericordia. Da un lato il libretto altamente drammatico, dall’altro una musica ricca di pathos ma anche di leggerezza e verve, che riesce subito a penetrare nelle orecchie del pubblico. Adesso come allora.

Al Petruzzelli è stata rappresentata per la prima volta nel 1906, l’ultima nel 2018, tra tante edizioni che hanno visto alternarsi negli anni cantanti del calibro di Gino Bechi, Mario Filippeschi, Aldo Protti, Piero Cappuccilli, Salvatore Fisichella e Mariella Deviate . E ora il capolavoro di Verdi, con l’allestimento ideato nel 2018 da Giovanni Turturro per il Teatro Massimo di Palermo, è tornato al politeama barese per la “Stagione d’Opera e di Balletto 2024” con cinque recite tutte esaurite.

La “visione” del regista italo-americano di origini siculo-pugliesi, nel complesso tradizionale ed essenziale ma non minimalista, ricca di atmosfere pittoriche e cinematografiche con atmosfere gotiche e ambientata in un palazzo tardo-rinascimentale che evoca la Sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova, è stato girato magistralmente dal regista Cecilia Ligorio. L’allestimento scenico è molto accurato Francesco Frigeri, dove spiccano nel vuoto della scena la casa in miniatura di Gilda, al cui interno campeggia un grande affresco della Sacra Famiglia, e il tugurio fatiscente di Sparafucile, dove si intravede il volto di un mostro di Giulio Romano. Le luci di Alessandro Carlettispesso in stile “caravaggesco”, e i costumi disegnati da sono sontuosi Marco Piemontese. Due idee di Turturro meritano di essere sottolineate in particolare: il vorticoso tourbillon dei cortigiani in festa a palazzo nel primo atto, con la coreografia di Giuseppe Bonannoe il colpo di scena finale quando Rigoletto apre il sacco ma trova solo il mantello di Gilda mentre lei è in piedi e attraversa il palco prima di morire tra le braccia del padre.

L’edizione proposta è stata quella tradizionale con i momenti “storici” più che mai attesi dal pubblico, come il sol di “Paririamo”, il Un appartamento del baritono e del Mi bemolle il supercut del soprano alla fine di “Sì, la vendetta…” e, soprattutto, il sì naturale del tenore nel finale di “Donna è mobile”. L’avvincente regia di Renato Palumbosul podio dei flessibili e impeccabili Orchestra del teatro, ha esaltato i ritmi e le progressioni drammatiche della partitura sottolineandone mirabilmente anche gli aspetti più squisitamente lirici. Ottima come sempre la prova di Coro teatrale guidato egregiamente dal nuovo direttore Marco Medvedcon una menzione particolare per almeno due momenti: la sillaba in pianissimo di “Zitti, zitti passiamo alla vendetta” e il racconto beffardo di “Scorrendo uniti via remota”.

In una parte complessa, forse tra le più complicate scritte per archi di baritono, Giorgio Petean si rivelò un grande interprete del Rigoletto. Grazie alla sua voce limpida, agli acuti facili e al fraseggio vario, mise in risalto il lato patetico e affettuoso del giullare di corte, al quale diede anche una carica “umana” di forte impatto emotivo sulla scena, emergendo in particolare nei bellissimi duetti con la figlia si è esibita con una dizione molto chiara.

Se già nel 2018, sempre al Petruzzelli, si era perfettamente immedesimata nella parte con ottimi risultati, in questa edizione il soprano tarantino Giuliana Gianfaldoni si conferma una Gilda ideale grazie alla sua voce omogenea, dolce, pulita e precisa negli acuti, e ad un fraseggio ricco di chiaroscuri: caratteristiche che le hanno permesso di conferire al suo personaggio, anche in scena, tratti di intensa espressività. Il tenore è arrivato in condizioni di salute precarie Valerio Borgioniche ha anche una voce e un fraseggio adatti al Duca di Mantova, ha mostrato qualche difficoltà fin dall’inizio, ma con coraggio è arrivato alla fine e anzi, nella celebre canzone “La donna è mobile”, ha ritrovato forza ed energia per concludere con un buona nota alta.

Il basso Marco Spotti, nella parte di Sparafucile è stato molto autorevole sia vocalmente che scenicamente, facendo emergere la figura non di un volgare brigante ma di un uomo che ha una propria “coscienza”, quasi una “etica” professionale, che prova disgusto per il tradimento. Il mezzosoprano Daniela Innamorati, anche grazie alle sue notevoli qualità timbriche, ben interpretò la Maddalena, resa scenicamente con grande disinvoltura e piena aderenza allo spirito del personaggio. Una prestazione impeccabile sui bassi Andrea Comelli nel ruolo di Monterone. Il mezzosoprano ha caratterizzato bene le loro parti Simona Di Capua (Giovanna) e il soprano Sara Rossini (Contessa di Ceprano e Paggio della Duchessa), come il tenore Saverio Fiore e il baritono William Hernandez bravissimi entrambi come Borsa e Marullo. Anche la resa dei bassi è puntuale Lorenzo Mazzucchelli nelle vesti del Conte di Ceprano e del baritono Pasquale Arcamone in quelli dell’Usher.

Al termine, calorosissimi applausi per tutti i protagonisti con meritata ovazione per Giuliana Gianfaldoni.

La recensione si riferisce alla sera del 7 giugno 2024.

Eraldo Martucci

 
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