Cronache dalla Sicilia bruciata – .

Cronache dalla Sicilia bruciata – .
Cronache dalla Sicilia bruciata – .

Cronache dalla Sicilia bruciata. Il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, impegnato a difendere il governo Meloni sulla riforma delle autonomie differenziate («Il terrorismo politico avviene contro la legge», ha detto), bussa alla porta di Bruxelles per chiedere i danni della siccità, che quantifica, tra perdite di raccolti, invasi vuoti e moria di bestiame, in un miliardo di euro.

Secondo le stime della Regione, la Sicilia è “zona rossa” per la carenza idrica, al pari di Algeria e Marocco. A Catania, ad esempio, in dodici mesi sono caduti duecentoquaranta millimetri di pioggia, il quaranta per cento in meno della media e lo stesso livello di alcune zone della Libia. I bacini trattengono oggi meno di trecento milioni di metri cubi d’acqua. Per il settore agricolo e zootecnico, quest’anno, si stima una perdita media del cinquanta per cento della produzione nello scenario di “improbabili precipitazioni estive” e del settantacinque per cento se ciò non si verifica.

Schifani dice di darsi da fare, con una task force, anzi, in assemblea permanente. Sono stati stanziati anche i primi fondi, venti milioni di euro, e ne arriveranno altri, per dare priorità ai progetti dei Comuni. Ma i piani non ci sono. Dunque, i soldi ci sono. L’acqua no. E nemmeno i progetti. Ecco perché la famosa cabina di regia, che deve attuare il piano di emergenza approvato anche da Roma, ha riunito i prefetti per provare a sollecitare Comuni e consorzi di bonifica a definire gli interventi. Ci sono pozzi da trivellare, altri da riattivare, condotte da ricostruire, laghi ormai ridotti a pozze da ripulire dal fango. Ma i Comuni non hanno nulla di definito, pur contando sulle eccezioni consentite dalla dichiarazione dello stato di crisi, che consente loro di snellire le procedure di appalto.

«Abbiamo invitato tutti i sindaci a darsi da fare – spiega il capo della Protezione civile siciliana, Salvo Covina – perché ci sono alcuni lavori, come la sistemazione dei pozzi, che possono partire subito, senza particolari pareri ambientalisti». La battaglia è difficile, perché non è solo contro il tempo, con l’incubo delle petroliere spedite dal Nord che si materializza ogni giorno sempre di più, assestando un colpo mortale all’immagine della Sicilia, ma è anche contro l’inefficienza. “Il sistema idrico – spiega Cocina – è interconnesso. Se un organismo ritarda il suo lavoro, o non lo fa, annulla quello degli altri”.

Intanto acquistano le autobotti dalla Regione. Le ultime due, nuove di zecca, costate centotrentamila euro, erano destinate alla provincia di Agrigento, dove la crisi è più grave, e in alcuni comuni l’acqua arriva ogni quindici giorni. Altre autobotti sono state rimesse a nuovo, altre ancora sono quelle destinate ai Vigili del fuoco e alla Protezione civile, o che giacevano abbandonate nei garage dei Comuni e che vengono rimesse a nuovo. Si aggiungono a quelle dei privati, cioè dei proprietari dei pozzi, dei piccoli proprietari che stanno facendo affari redditizi.

C’era una volta la barriera, il simbolo della Sicilia, indicatore della normale precarietà di marciapiedi e lungomare fatiscenti, piccole e grandi opere pubbliche mai finite, il temporaneo, insomma, che diventa definitivo. Ora tocca invece alla cisterna. Girano ovunque, con tubi sempre più lunghi, come vermi famelici si arrampicano su balconi e tetti, entrano in giardini e cortili.

Mentre aumentano le denunce di furti d’acqua e c’è chi chiede al governo di intervenire presso i proprietari delle cisterne per fissare il prezzo della fornitura, ormai più che raddoppiato rispetto a solo pochi mesi fa. È un mercato parallelo e senza controlli, quello delle autocisterne: chi paga si fa consegnare l’acqua a casa con i camion. Esistono addirittura reti di autocisterne gestite da improbabili call center palermitani che distribuiscono l’acqua in tutta la Sicilia. Gli ordini viaggiano su Telegram, con il grosso rischio, però, di vedersi recapitare a casa acqua non potabile o addirittura contaminata. “Diecimila litri per cento euro”, recita ad esempio una misteriosa offerta in chat, con la precisazione: “Acqua non adatta per cucinare”.

Anche gli agricoltori ricorrono alle cisterne, e la spesa è enorme, anche duecentocinquanta euro a viaggio, per irrigare i campi magari una volta a settimana. Non trovano acqua, non trovano foraggio. È stata attivata una catena di solidarietà, ma gli aiuti tardano ad arrivare. C’è già chi preferisce macellare i bovini (la carne viene pagata, al macello, solo tre euro al chilo) per evitare la disperazione di non poterli sfamare. Nella Sicilia centrale, l’allevamento è uno dei settori trainanti dell’economia. Le mucche non producono più latte. Grano, cereali e foraggi, segnala la Coldiretti, registrano un calo con punte del cento per cento.

Tutti hanno bisogno di acqua, compresi i centri di dialisi, ad esempio. In Sicilia le strutture sono ottantuno, quattromila ricoverati. Ebbene per ogni trattamento occorrono millecinquecento litri d’acqua. Impossibile continuare le sedute se l’acqua arriva ogni quindici giorni. Anche qui, quindi, si utilizzano le navi cisterna, con l’aumento dei costi.

I sindaci fanno quello che possono. A Petralia Soprana, sulle Madonie, è stata ritrovata una nuova fonte d’acqua. Non è potabile, ma è sempre benedetto. Infatti, tra le pieghe dei documenti del corposo dossier di interventi da fare c’è anche la mossa della disperazione: «La ripresa dei prelievi di acqua dai pozzi contaminati da nitrati», previa depurazione dell’acqua prima del suo utilizzo. Ad Agrigento, invece, è stato ingaggiato un gruppo di speleologi per capire se ci sono nuove bolle d’acqua negli ipogei sotto la città di Agrigento da poter sfruttare. A Gela, città assetata e disperata di settantacinquemila abitanti, i vigili urbani scortano invece le autocisterne appostate in piazza, per evitare gli scontri sempre più frequenti tra i residenti che lottano per accaparrarsi quanta più acqua possibile.

 
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