La possibile rigenerazione della Lombardia rurale attraverso l’architettura ambientale – .

La possibile rigenerazione della Lombardia rurale attraverso l’architettura ambientale – .
La possibile rigenerazione della Lombardia rurale attraverso l’architettura ambientale – .

C’è un territorio a cui la pianificazione ha sempre rivolto uno sguardo distratto. Forse perché abitato da piccole comunità, o perché non è caratterizzato dalla complessità del grande centro urbano o forse semplicemente perché è “vuoto”, non urbanizzato. È il territorio della pianura agricola: in Lombardia, nelle province di Cremona, Mantova, Lodi e Pavia, l’89% del territorio è “green field” e il 97% comprende comuni con meno di 20.000 abitanti. Si tratta di spazi di coltivazione – spesso intensiva – con minime aree semi-naturali. Nonostante i collegamenti con i maggiori centri, si tratta di aree invecchiate, impoverite e spopolate, ma che possono essere in grado di offrire un tenore di vita notevole nella prospettiva della polverizzazione dei luoghi di lavoro e dei valori immobiliari inaccessibili nei capoluoghi.

In cosa consiste il “vuoto” della pianura agricola lombarda?

Se si guarda allo spazio aperto di queste vaste aree, si scopre una campagna profondamente antropizzata, inserita in parchi di ogni genere che spesso non corrispondono alla consistenza fisica dei luoghi. Per il “non urbano”, la pianificazione si astiene dall’interpretare le trasformazioni che hanno eroso non solo i caratteri originari del paesaggio, ma anche ogni parvenza di infrastruttura ecologica e di biodiversità, affermando una banalizzazione quasi violenta del territorio nella sua pervasività. Le emergenze climatiche fanno emergere queste criticità e inducono azioni per le reti di aree protette, per gli ecosistemi e per riportare la natura sulla terra agricolo come previsto nel Strategia dell’UE sulla biodiversità 2030: tutto ciò si traduce in progetti sostenuti da importanti finanziamenti con ricadute positive in sede di attuazione dei master plan. Si tratta di politiche che, per la loro natura necessariamente sovralocale, non attivano un processo complementare “dal basso verso l’alto”, capace di orientare le azioni individuali della società che abita questi territori verso una diffusione capillare della qualità ambientale, essenziale per il benessere delle generazioni future.

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La centralità dello spazio aperto anche nei contesti rurali

Si tratta di un passo importante che ci porta a rivedere il ruolo dei progetti di scala minima, quella dei comuni più piccoli, responsabili del governo del proprio territorio. Sono, infatti, le amministrazioni locali a trovarsi a gestire le iniziative dei singoli attori, i quali a loro volta sono determinanti per la forma e il valore sia dello spazio urbanizzato che del paesaggio. Ed è qui che con strumenti forse poco taglienti ma dinamici, si gioca un’altra partita da affrontare più con incentivi che con obblighi, basata su una ricostruzione e una compensazione che generi valore locale a fronte di un approccio spesso ancora di tipo “ tipo “estrattivo”. Lo spazio aperto – sia pubblico che privato – diventa l’oggetto più rilevante della progettazione, capace di generare una vera evoluzione “verde” che dallo spazio coltivato penetra nello spazio sociale, generando qualità a costi sostenibili. Le leve per attivare queste politiche si trovano soprattutto nel settore dell’agricoltura che nella bassa pianura lombarda – tra le più fertili d’Europa – è uno dei settori più dinamici: alla produzione di beni primari è affiancata quella di energia. che genera nuove risorse con impatti significativi (e non sempre positivi) sulle culture e sulla forma del paesaggio. Ma soprattutto, l’agricoltura possiede i suoli e le capacità tecniche per ricostruire un paesaggio distrutto e gestirlo nel tempo. Un nuovo sguardo sulla campagna può innescare un processo in cui l’imprenditore agricolo ha un ruolo privilegiato per la sua cura e per restituire alla terra i suoi valori ecologici che attualmente stanno soffrendo.

La possibile rigenerazione di un “paesaggio accorciato”

La mia prima esperienza su questi temi è stata con lo studio commissionato dalla Provincia di Lodi per il PLIS del Po lodigiano con un’estensione di circa 55 km. Sul lotto costituito da tre sistemi ambientali diversi si è immaginata un’evoluzione attuabile con un set di azioni tipizzate, riproducibili più volte e in più posizioni, da declinare a seconda degli ambiti coinvolti: un menù progettuale “à la carte”, da cui ogni singolo attore può/deve attingere in relazione alle opportunità e alle risorse che di volta in volta si presentano. A una scala diversa – quella dei piccoli comuni – gli stessi obiettivi sono ricondotti a pratiche diverse. Qui la pianificazione approccia i materiali del suolo per coniugare i valori condivisi della comunità con una nuova forma di evoluzione territoriale. L’individuazione di un’infrastruttura ecologica capace di mettere a sistema pezzi di paesaggio agricolo, sacche di naturalità e città, rappresenta il passaggio attraverso cui costruire un piano funzionale alla promozione dell’intero comune. Su questa matrice si innestano anche valori più urbani, come la qualità delle centralità o la riqualificazione dell’ambiente costruito nelle sue aree sottoutilizzate – tipicamente cascine inglobate in aree urbane o aree produttive dismesse – che spesso rappresentano il trait d’union tra città e campagna.

Infrastrutture ecologiche e cambiamenti di paradigma

Le regole del piano forniscono indicatori che quantificano gli impatti di ciascuna trasformazione e le relative compensazioni da destinare alla realizzazione di infrastrutture verdi o di spazio pubblico. Una volta così definito quanto e dove, le modalità di realizzazione seguono semplici suggerimenti contenuti nelle guide per le componenti del verde e dell’edilizia. Si tratta di esperienze che operano un’inversione di prospettiva: dal costruibile si guarda allo spazio non edificato, e gli indici fondiari e il capitale materiale si coniugano con il capitale immateriale degli alberi e della biodiversità. Un giudizio sugli esiti dei processi innescati è prematuro visti i tempi piuttosto recenti di queste sperimentazioni. Ma già ora è possibile esprimere un giudizio su una sensibilità che cambia rapidamente a tutti i livelli e che vede nella costruzione dell’ambiente – declinata in ogni modo – un’opportunità per la promozione, il benessere e la crescita della sua comunità.

Luca Bucci

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