Minacce ai traditori della ‘ndrangheta a Como – .

Minacce ai traditori della ‘ndrangheta a Como – .
Minacce ai traditori della ‘ndrangheta a Como – .

Vincenzo Milazzo era tra gli ex capi del narcotraffico comasco e molto vicino al capo della ‘ndrangheta locale di Canzo Luigi Vona. Aveva preso le distanze e minacciato uno dei suoi più fedeli seguaci quando aveva scoperto che aveva rubato droga per uso personale: “Se non ti ammazzo è solo perché c’è un bambino”.

“Se non ti uccido è solo perché c’è un bambino. Trova un buco in cui nasconderti“. È la minaccia di Vincenzo Milazzo, uno degli ex dirigenti del traffico di droga a Como e molto vicino alla testa del Localizzazione della ‘ndrangheta di Canzo Luigi Vona, rivolta a chi aveva tradito la sua fiducia. Ma cosa era successo poco prima? Uno dei suoi più fedeli seguaci avrebbe fatto sparire 100 grammi di stupefacenti impedendo così all’organizzazione di fare soldi. Questo è solo uno degli episodi documentati nell’operazione della Questura di Como che ha svelato come la criminalità organizzata gestisse lo spaccio di droga nel comasco e in particolare nei territori sotto la giurisdizione delle ‘ndrangheta Locali di Erba e Canzo. Le indagini hanno poi portato all’arresto di 30 persone nelle ultime settimane.

Vincenzo Milazzo, oggi indagato dopo il blitz della Squadra Mobile, era incaricato di gestire gran parte del traffico illecito. L’uomo aveva al suo servizio una rete di pusher che lui stesso chiamava “lavoratori”: l’organizzazione era infatti coordinata come se si trattasse di un’attività commerciale, con stipendi mensili e orari di lavoro. Come spiegato negli atti del processo, all’interno dell’organizzazione criminale, Giuseppe Lattuga, Giuseppe Di Franco, Lara Colantuono, Simone Liguori e Querina De Gennarononché l’ultima moglie di Milazzo. Tutti sono ora indagati e destinatari di misure cautelari.

Come funzionava la rete criminale degli spacciatori a Como

Ai suoi più fedeli, a testimonianza dell’organizzazione gerarchica dell’associazione, Vincenzo Milazzo garantito uno stipendio mensileLui stesso scelse i suoi collaboratori, tanto che uno di loro “L’ho portato dalla Calabria“, come si sente in un’intercettazione.

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Milazzo spiegò allora la sua “impresa” così: “Allora in ogni caso li pago, prendono uno stipendio ogni mese… cazzo darò uno stipendio a dieci personeE ancora: “Io nutro mezza Lombardia”. Il leader del gruppo ha ripetuto più volte di avere il controllo di diversi pusher: “Io sono – si sente in un’altra conversazione intercettata dalla polizia – quello che detiene tutto (…) Sono sotto di me, non c’è modo che lavorino come operai… non comprano per vendere come fanno tutti gli altri, prendono il mio e lo portano a tutti i miei clienti… vengono pagati per questo, quindi non avranno mai debiti, non avranno mai niente… se succede qualcosa l’unico che se la prende nel culo sono io… questo è il problema“.

Quindi l’intero gruppo è stato in grado di farlo 200 consegne di farmaci a notte. Insomma, guadagni e responsabilità per Milazzo che però dettava legge ai suoi più fedeli: innanzitutto, se fosse successo qualcosa ne sarebbe stato responsabile lui stesso ma in cambio pretendeva la massima fiducia dai suoi. E chi lo avesse tradito avrebbe rischiato pericolose conseguenze.

The Case of Giuseppe Di Franco

Come nel caso di Giuseppe Di Franco che, insieme a Giuseppa Lattuca, ricopriva “il ruolo di pusher e collaboratore di Milazzo nell’attività di spaccio della sostanza stupefacente, oltre a curare la preparazione delle dosi”, come rivelato dai carabinieri. Il farmaco è stato preparato in un appartamento a Valbronaancora in provincia di Como. Di Franco tradì la fiducia del leader.

Lo aveva spiegato lo stesso Milazzo in una conversazione intercettata in auto insieme a Giuseppe Lattuca: il primo aveva prelevato il secondo in carcere dopo che gli avevano concesso la misura cautelare degli arresti domiciliari a partire dal 16 ottobre 2020. Durante tutto il periodo di prigionia, era stato Milazzo a provvedere al sostentamento della famiglia di Lattuca e, una volta uscito, lo aggiornava su quanto ormai era accaduto all’interno del gruppo in sua assenza.

In macchina Milazzo aveva comunicato all’ex detenuto di aver deciso di mandare via Giuseppe Di Franco”Perché – come riportato dalla Corte – di alcune carenze di sostanze stupefacenti (100 grammi di cocaina) a lui imputabili. (…) Di Franco rubava la cocaina per consumarla, sottraendola dal mezzo chilo che si trovava in cassaforte“. Dopo poco tempo, le minacce del capo dell’organizzazione non sono mancate: il 19 settembre 2020, Milazzo aveva inviato due messaggi vocali to Di Franco.

Ecco il contenuto: “Se non ti uccido è solo perché c’è un bambino… ma fai attenzione perché non so cosa pensare… tutti gli angoli che hai smussato… tutti i grammi che mancano”. “Trova un buco dove nasconderti… ma uno piccolo dove non ti possa vedere… trovalo perché ora lo stiamo aprendo, sei rovinato… trova un bel buco, ok?“. “Lo porto fuori!“.

Giuseppe Di Franco era stato quindi rimosso. Questo episodio era servito a Milazzo per dimostrare il suo potere intimidatorio nei confronti dei suoi pusher: chi tradisce la sua fiducia è fuori e rischia gravi minacce.

 
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