«Io, soprano e anche archeologa» – .

«Io, soprano e anche archeologa» – .
«Io, soprano e anche archeologa» – .

Ha iniziato a cantare Mina. « All’oratorio, alle feste paesane che si fanno nella mia Calabria ». Piano bar e feste tra Parole, parole, se chiamando e Grande grande grande. « Sono sempre stata affascinata dalla capacità di Mina di creare un personaggio nei tre minuti che dura una sua canzone…». Oggi è una star pucciniana. « Il mio debutto è stato a Parigi con lei. Boemia “Era Magda nel Rondine diretta da Riccardo Chailly ad aprile al Teatro alla Scala. Poi Liù in Turandot che ha inaugurato all’inizio di giugno la 101a stagione dell’Arena di Verona, stagione inaugurata da un concerto/spettacolo in formato televisivo in cui ha cantato Oh mio caro papà dal Gianni Schicchi per celebrare il sigillo UNESCO sul canto lirico italiano come patrimonio immateriale dell’umanità. E ha dato voce a Mimì, la sfortunata protagonista del Boemia, nel concerto di venerdì scorso a Lucca diretto da Riccardo Muti e trasmesso in mondovisione, cuore delle celebrazioni per il centenario della morte del compositore toscano. « Unica nel creare personaggi femminili così complessi e profondi, così veri. Personaggi che amo interpretare… come quelli delle canzoni di Mina». Mariangela Sicilia ha un’agenda pucciniana per tutto il 2024. « A fine mese sarà ancora Mimì nel Boemia al Macerata Opera Festival» racconta il soprano, originario di Marzi, novecento anime in provincia di Cosenza. Riccardo Muti, Antonio Pappano, Michele Mariotti sono i direttori che l’hanno diretta. Graham Vick, che con lei ha creato il Bohème al Comunale di Bologna, Robert Carsen, Damiano Michieletto sono i registi con cui ha lavorato. La Scala e il Bolshoi, Berlino e Pechino, Napoli, Firenze e Torino sono i teatri che frequenta. «E tra una prova e l’altra corro a Roma per gli scavi archeologici al Palatino».
Scavi archeologici, Mariangela Sicilia?
«Sì. Sono sempre stata brava a scuola. Mi piaceva l’arte, ma anche la matematica, le scienze e la chimica. Pur sapendo per certo che la musica sarebbe stata la mia vita, ho pensato di iscrivermi a un corso di restauro. Anche per assecondare mia madre che diceva sempre: Va bene cantare, ma ci vuole anche un paracadute… Così approfittando dello stop forzato che il Covid ha imposto a noi artisti, mi sono iscritta al corso di laurea magistrale in Archeologia alla Sapienza di Roma. Una disciplina che analizza scientificamente l’arte. Le mie passioni. Ho scavato a Creta e sul Palatino, nel team del professor Paolo Carafa. Una passione bellissima. Perché la musica occupa il 90% della mia vita».
E quando è nata la tua passione per il canto?
«Molto presto. Direi innato. Ci sono video di me alle recite dell’asilo, a tre anni, mentre canto a squarciagola. In famiglia non ci sono musicisti, solo mio nonno suonava il mandolino. Crescendo ho scoperto Mina e mi sono appassionata alla sua voce, al suo modo di interpretare, di essere un personaggio in ogni sua canzone. Cantavo nelle piazze, alle feste e così qualcuno ha suggerito a mia madre di studiare».
Studi pop?
«Non esattamente. Prima lezioni private, poi mi sono iscritta al Conservatorio Giacomantonio di Cosenza. Ho studiato pianoforte per cinque anni, prendendo anche lezioni di canto corale. A 15 anni ho deciso di passare al canto. E mi sono diplomata. Ma ero anche affascinata dalla recitazione, dall’interpretazione, dal mettermi nei panni degli altri. Tanto che ho pensato addirittura di frequentare un’accademia di recitazione. Per un periodo ho fatto anche parte di una compagnia di prosa amatoriale. Poi la musica mi ha assorbita completamente… ma essendo una cantante lirica posso sfogare questa mia passione sul palco». Quando hai capito che la musica sarebbe diventata la tua professione?
“L’ho sempre sentito, l’ho sempre pensato, non potrebbe essere altrimenti. Non ho mai pensato alla musica come a un hobby. Perché vivo questa mia professione più che come una passione che è diventata un lavoro, come una vocazione. La svolta è stata sicuramente nel 2014 quando ho vinto il concorso Operalia di Placido Domingo. L’edizione di quell’anno si è tenuta a Los Angeles ed ero l’unico italiano in gara.”
L’esordio con Puccini fu immediato e Boemia a Parigi. Si sente come un’interprete pucciniana?
“Mi sono avvicinato all’opera perché mi piace interpretare. E Puccini è l’anticamera del cinema. Nella sua scrittura non c’è divisione tra recitativi e arie, ma la storia è tutta una, una musica di conversazione, un flusso continuo come in un film che si muove dall’inizio alla fine. Per me, entrarci dentro è molto intuitivo, lo sento molto vicino al mio modo di esprimermi.”
E quali altri autori gli piacciono?
«Mozart, per lo stesso motivo di Puccini. È interessante vedere come nei secoli il recitar cantando si sia evoluto, bilanciando sempre meglio il peso tra musica e parole. Il Novecento è esemplare, ma Mozart è stato un pioniere, pensiamo alla perfezione del teatro nella trilogia di Da Ponte con Don Giovanni, Marriage of Figaro e COME fan Tutto».
Direzione tradizionale o direzione moderna?
“Direi una regia intelligente, che mi offre valide ragioni interpretative per comprendere la modernità di un’opera. Per me l’opera porta con sé anche un messaggio sociale, non è solo bellezza formale, che va anche assaporata. Quindi una regia che parli al nostro tempo.”
Ascolti cantanti del passato? Chi ti ispira?
“Adoro tutti i soprani lirici, Anna Moffo, Mirella Freni, Katia Ricciarelli, Daniela Dessì. Li ascolto e cerco di prendere qualcosa da ognuno di loro.”
Quale genere musicale ti piacerebbe cantare di più?
«Quello francese, lo trovo adatto alla mia vocalità, un mix di fuochi d’artificio e di esplorazione drammatica dei personaggi. Penso a Faust lo Romeo e Giulietta nel Gounod Thailandesi di Massenet”.
Molte carriere oggi durano una manciata di anni, come non esaurirsi al momento?
“Dire molti no. Una carriera si costruisce sui no più che su una serie di ruoli. La tentazione di dire sì ai personaggi che sogni di interpretare c’è, non ha senso negarlo, ma bisogna dire sì al momento giusto, quando la propria maturazione vocale e interpretativa è al giusto livello per avere anche una buona credibilità sul palco.”
Chi dovrebbe ringraziare?
“Per molti, a partire dalla mia famiglia. Ma forse soprattutto per coloro che mi hanno giudicato negativamente. Perché non si cresce gioendo nel sentire quanto si è bravi, ma lavorando sulle cose che si devono migliorare.”

 
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