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Biniam Girmay vince la tappa del Tour de France a Torino – .

Mani ai lati del casco, scuote la testa incapace di scacciare l’incredulità. Poi i sorrisi bagnati di lacrime. Il 24enne eritreo Biniam Girmay ha scelto Torino per scrivere un pezzo di storia del ciclismo: ha tagliato il traguardo davanti a tutti, diventando il primo eritreo a vincere una tappa al Tour de France. La dedica del successo, dopo un pensiero alla famiglia, è per la sua terra d’origine: “Ora facciamo parte del grande ciclismo, è il nostro momento”, sussurra tra i singhiozzi il gigante, alto 1,84 metri e 70 chilogrammi, dell’Intermarché. Lui sorprendentemente bruciati gli specialisti della velocità: Il colombiano Fernando Gaviria (Movistar) è arreso per pochi centimetri, terzo il belga Arnaud De Lie (Lotto Dstny). Uno sprint a sorpresa innescato da una caduta a due chilometri dal traguardo, senza conseguenze per i protagonisti ma che ha rovinato i piani delle squadre nel giorno della tappa più lunga di questa edizione (231 chilometri).

Torino resterà per un’altra prima volta negli almanacchi della Grande Boucle. Salire sul palco insieme a Girmay è Richard Carapaz, che strappa la maglia gialla dalle spalle del super favorito Tadej Pogacar. Il trentunenne nato in un piccolo villaggio a oltre 2.800 metri di altitudine realizza il suo sogno d’infanzia: è il primo ecuadoriano leader della classifica generale della corsa a tappe più importante del pianeta. Nel 2024, l’asfalto di Torino porta fortuna ai corridori del Paese sudamericano. Poco meno di due mesi fa, un altro ecuadoriano, Jhonatan Narvaez, si è aggiudicato la tappa di apertura del Giro d’Italia, battendo sul traguardo il vincitore finale Tadej Pogacar.

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Più del sole – temperature estive, finalmente, prima di una tempesta tropicale a fine tappa – È la passione gialla che stordisce Torino, nell’anno dell’abbuffata ciclistica: l’arrivo di questa tappa del Tour de France, a 58 anni dall’ultima volta, dopo la partenza del Giro. E l’accordo istituzionale tra il sindaco Lo Russo e il presidente della Regione Alberto Cirio (entrambi al traguardo, insieme al presidente di Stellantis John Elkann) punta a servire un altro piatto forte: la Vuelta a España, probabilmente più di una tappa. La città completerebbe così il trio dei tre grandi giri di tappa nell’epoca del ciclismo delocalizzato e globalizzato.

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La grandiosità del Tour, però, è ineguagliabile. Lo si capisce dall’attesa del pubblico, accorso da ogni angolo in un anonimo lunedì di inizio luglio: ai lati delle transenne sventolano bandiere da tutto il mondo, dall’Australia alla Costa Rica (ma la più frequente è quella colombiana). E poi l’organizzazione mostruosa, senza sbavature: ogni steward può dare informazioni, in più lingue, anche quando non è di sua competenza. Una rarità. L’unica pecca, un piccolo imprevisto in stile italiano, avviene meno di due ore dopo il passaggio della carovana. Due operai vengono chiamati a rattoppare in fretta, con cazzuola e pala in mano, una manciata di buchi sul rettilineo finale sotto lo sguardo più sorpreso che preoccupato di un membro dell’organizzazione francese.



Dopo la partenza da Piacenza, la terza tappa italiana di questo Tour de France arriva in Piemonte: after Gino Bartali and Marco Pantani, Fausto Coppi is paid homage. A Tortona, dopo 67 chilometri, il primo gran premio della montagna della giornata è dedicato al Campionissimo. Tutti aspettano la maglia gialla Tadej Pogacar, ma è ilIl norvegese Jonas Abrahamsen per macinare prima la salita al castello. Poi il gruppo raggiunge le Langhe, in provincia di Cuneo, che regalano le cartoline più belle della giornata. Le riprese aeree mostrano in televisione il serpente dei ciclisti navigando nel mare verde dei vigneti più pregiati del mondo, lasciando le colline sui versanti dove nasce il Barbaresco. L’ingresso a Torino è invece segnato dal maestosa Reggia di Stupinigi, sormontato dalla statua di un cervo: è l’antica residenza dove i Savoia si rifugiavano per le loro attività di caccia.

Tra i primi a prendere posto nei pressi del traguardo, in tarda mattinata, ci sono Laura, 71 anni, e il marito Franco. La loro è una storia che solo la magia del ciclismo può osare raccontare. «Da vent’anni sono cieco – dice la donna –. Mi fa il commento e poi il “fischio” che fanno le ruote delle bici è il suono più bello del mondo”. Tutti ammassati contro le transenne per assistere alla volata dopo l’incidente che ha rimescolato le carte a due chilometri dal traguardo, poco distante dallo stadio Grande Torino. Non c’è nemmeno il tempo di tirare fuori lo smartphone che i più veloci sono già sfrecciati. Biniam Girmay ha già le braccia alzate, dopo aver tagliato il traguardo, mentre Gaviria e De Lie hanno ancora il corpo proteso in avanti: ma il fotofinish non serve per certificare la vittoria di tappa. La corona di giornata va al primo ciclista eritreo, che anche davanti alle telecamere stenta a crederci: «Battere il più veloce del mondo è qualcosa di incredibile». Per lui, e per tutta l’Africa la storia è adesso.

 
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