perché il nome del premier nel ballottaggio per le europee mette FdI a rischio ricorsi – .

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Chiamami Giorgia. Insieme alla decisione di candidarsi alle elezioni europee, il premier Meloni ha chiesto agli elettori di scrivere il suo nome sulla scheda elettorale. Un’idea che le è venuta personalmente, dice l’antefatto, mentre scriveva il discorso per il convegno di Pescara di Fratelli d’Italia. Sembrava la scelta perfetta per una campagna che vuole trasformare in un referendum sul suo governo. Poiché è convinta (non a torto) di vincerla. E perché nel frattempo Elly Schlein ha dovuto ripensarci a mettere il suo nome nel simbolo del Pd. Anche a causa delle pressioni del suo Partito Democratico, non ha mai vinto un’elezione in vita sua. Ma i giuristi sono convinti che la manovra spiegata ieri dal ministro Francesco Lollobrigida possa avere ripercussioni sul voto.

Nel nome di Giorgia

«La maggior parte dei cittadini che si rivolgono a me continuano a chiamarmi semplicemente Giorgia, è una cosa che mi rende orgoglioso, per me estremamente importante. Sarò sempre una persona a cui rivolgerò il mio nome, senza formalismi e senza distanze, perché questo ruolo così difficile non mi cambierà, il potere non mi fermerà e il palazzo non mi isolerà”, ha spiegato ieri. Di certo lanciare la battaglia finale in nome di Giorgia è la mossa necessaria per capitalizzare il consenso che il premier riscuote nel Paese. Un po’ come accadde a Matteo Salvini alle elezioni del 2019, quando il boom della Lega Nord fu generato proprio dal protagonismo del leader della Lega al governo con il Movimento 5 Stelle. Il cognato del primo ministro e ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha spiegato che non ci sono rischi per l’annullamento della votazione.

Semplificare i concetti

Perché secondo lui scrivere solo il nome sulla scheda elettorale è una «possibilità in elezioni di ogni tipo di dare all’elettore la scelta se inserire il nome per intero o semplificarlo quando viene chiarito durante la presentazione della candidatura come si il nome può essere sostituito. Succede ad ogni elezione. È una possibilità che la legge dà proprio per semplificare il concetto”. Ma anche, ed è l’ovvia conseguenza, affermare il marchio “Giorgia” sopra tutto e tutti. Soprattutto Salvini, che ieri «preferiva il ponte» (non quello messinese, ma le vacanze) all’arrivo a Pescara, per poi collegarsi in videoconferenza mentre passeggiava con la figlia per dare l’idea di avere il favorito del politico di centrodestra giustificazione.

Il marchio Giorgia

Ma soprattutto sopra Antonio Tajani, che è invece un alleato molto più fedele del premier, visto che i due hanno l’abitudine di pranzare insieme ogni settimana. E si candida alle europee forte della sua popolarità nei sondaggi, seconda solo a quella del primo ministro, e dell’alleanza con Noi Moderati. Con l’obiettivo di superare il 10%, che sembra raggiungibile visti i voti di Maurizio Lupi. E con il sogno di raddoppiarli nelle prossime politiche, portandoli al 20%. Ma questo sarebbe possibile solo se Fi assorbisse completamente la Lega. Cioè lo stesso obiettivo della Meloni. Ed è inutile dire a questo punto e con la palla saldamente in possesso di Palazzo Chigi chi è il favorito in caso di crollo della Lega Nord (e conseguente commissariamento di Salvini da parte dei colonnelli Nord).

I pericoli di uno stratagemma

Ma forse qualcuno ha sottovalutato la pericolosità della manovra della “Giorgia Meloni detta Giorgia”. È vero, non c’è nessuna norma che vieti la possibilità di essere chiamati per nome sulla scheda elettorale. Ma lo spiega oggi il costituzionalista Gaetano Azzariti Repubblica che c’è qualcosa che non va: «E se c’è un’altra Giorgia (candidata FdI, ed) cosa fanno, eliminarlo? Bandite tutte le Giorgia dal partito? Questa è già una discriminazione e una violazione di un diritto fondamentale”. Per Azzariti «siamo di fronte ad un’evidente forzatura della legge elettorale che parla chiaro, solo cognome, nome e cognome, se due cognomi anche solo uno dei due, e se c’è confusione tra omonimi ecco la data di nascita . Ormai ci credono gli esponenti di questo governo soluti legibuscome dimostra il voto annullato e ripetuto sull’autonomia”.

Giacinto Pannella detto Marco

Il costituzionalista porta poi l’esempio di Pannella, il cui vero nome era Giacinto. Si candidava come Giacinto Pannella, detto Marco, ma qui non c’era nulla da contestare poiché il secondo nome “Marco” (per un errore anagrafico, disse lui stesso) non era uguale al primo. In questo caso, però, la Meloni si chiama già Giorgia. “Attraverso la demagogia, la legge elettorale e la lettera della legge stessa vengono piegate a fini populisti”, aggiunge. L’avvocato amministrativista Gian Luigi Pellegrino lo definisce “un grande trucchetto”. Ma ribadisce anche che «non si può fare, perché il soprannome non può essere uguale al nome». Secondo Pellegrino “gli uffici elettorali potrebbero non accettarlo perché non è un soprannome”. Ma, aggiunge, “in questo clima è improbabile che lo facciano”.

«Frode elettorale»

Il più esplicito, però, è il costituzionalista perugino Mauro Volpi. «È vero che la legge legittima l’uso dello pseudonimo o del diminutivo o al massimo del solo nome se il cognome è complicato o difficile da scrivere. Ma non è questo il caso di Giorgia Meloni. In sostanza c’è un broglio elettorale che deriva dal dire che lei è “una di loro”, il che corrisponde a una concezione populista e plebiscitaria che mira ad anticipare gli effetti del premier”. Anche il professore emerito di diritto amministrativo Franco Gaetano Scoca la definisce “una scelta molto discutibile che potrebbe dar luogo a controversie”. Va ricordato, infine, che la candidatura della Meloni, come quella di Schlein e Tajani, resta superficiale visto che il primo ministro non occuperà mai il seggio di Bruxelles, che tra l’altro non è cumulabile. Ma di questo nessuno sembra interessarsi.

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