“Io non appartengo a questo stato” – .

“Io non appartengo a questo stato” – .
“Io non appartengo a questo stato” – .

“Il fatto che siano stati giudicati non colpevoli è atroce”. C’è rabbia in Fazio Fabini, padre di Emma dopo la sentenza del secondo processo a Corigliano. Tra la folla della discoteca l’uomo ha perso la figlia. «Quindi tutto quello che è successo è dovuto semplicemente ad una piccola imprecisione, perché altrimenti ognuno ha fatto il suo dovere? E poi vi dico che non riconosco questo Stato. Perché questa è una cosa vergognosa per i nostri figli”, ha aggiunto. Gli imputati nel secondo processo al tribunale di Ancona per la strage della discoteca “Lanterna Azzurra” di Corinaldo, in provincia di Ancona, dove hanno perso la vita cinque minorenni e una madre di 39 anni. Assolto perché non sussiste il fatto, con formula compiuta, di omicidio colposo plurimo e disastro colposo. Assolto anche Quinto Cecchini, gestore della discoteca, perché il fatto non sussiste. Condannati invece a un anno l’ex sindaco Principi, Gallo, Bruni, Martelli e Manna. Milani a un anno e 2 mesi. Tarsi 4 mesi. Ma le sentenze sono state sospese, così come sono state respinte le richieste di risarcimento dei danni. Nella strage, provocata dalla folla in discoteca, Emma Fabini, Asia Nasoni, Mattia Orlandi, Daniele Pongetti, Benedetta Vitali e una mamma 39enne, Eleonora Girolimini, che aveva accompagnato uno dei suoi quattro figli alla Sfera Ebbasta concerto, è morto.

Il padre di Emma e la lettera a Mattarella

Fabini ha scritto una lettera indirizzata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Spero che tu diventi portavoce della sofferenza delle vittime della tragedia della Lanterna Blu di Corinaldo e di tutte le altre stragi compiute in nome dell’indifferenza, della superficialità, dell’avidità».

Il testo integrale della lettera, pubblicata su alcuni media tra cui anche Ancona Today:

«Qualcuno dirà: giustizia è stata fatta. No, intendo la giustizia in modo diverso. Quasi sei anni per avere una risposta da parte dello Stato sono troppi. Al di là del giudizio sulla sentenza. È complicato condurre un processo come quello appena concluso, ma bisogna sentire l’obbligo di fare meglio. Non è facile scrivere queste parole, così come non è stato facile assistere alle interminabili udienze in tribunale. Mantenere l’obiettività nel giudicare il procedimento giudiziario e, allo stesso tempo, avere davanti agli occhi l’immagine di mia figlia Emma. Le udienze erano spesso lunghe ed estenuanti. Ripetitivo nella ricerca di una verità diversa da quella che sembrava subito evidente.

Ti ricordo i fatti. La sera tra il 7 e l’8 dicembre 2018 mia figlia Emma ed alcuni compagni di classe hanno potuto partecipare ad una serata in discoteca. Per noi genitori è stata la festa del liceo che coincideva con il dj set di un cantante chiamato Sfera Ebbasta. Noi, come gli altri genitori, davamo per scontato che, essendo aperta, la Lanterna Azzurra di Corinaldo avesse tutte le caratteristiche di sicurezza richieste ad un luogo accessibile al pubblico. Ma così non è stato, perché al primo evento critico – una fuga causata dalla presenza di spray al peperoncino nell’aria – si sono verificate delle cadute lungo le uscite di emergenza che hanno causato la tragedia. Cinque adolescenti e una giovane madre hanno perso la vita, più un centinaio sono rimasti feriti.

Mia figlia Emma è morta. Aveva solo quattordici anni. Al di là della sua vita, le è stato tolto anche il diritto di replica. Se avesse potuto avere voce, lo avrebbe detto in tribunale. “Sto ballando per la prima volta con i miei amici. Grido nelle loro orecchie – la musica è altissimo – che questo è il momento più bello della mia vita. Poi quest’odore pungente e acido nell’aria che mi impedisce di respirare. Fuggo fuori, verso l’uscita di sicurezza. Ma qui è così buio. La gente urla e molti sono caduti su questi gradini sconnessi. Mi appoggio alla ringhiera che all’improvviso cede alle mie spalle. E cado con così tanti corpi sopra di me. Ridammi l’aria. Lasciami respirare.” Non riesco a pensare agli ultimi cinque minuti della sua vita. Ci vuole così tanto per morire soffocati.

Quando ho questi pensieri, è difficile per me accettare il lungo processo. Altrettanto difficile per me è assistere ai voli pindarici di ottimi professionisti che si sono attardati nella estenuante ricerca dei tecnicismi, nell’interesse degli imputati. Siamo sicuri che nella “giusta” ricerca dell’equilibrio procedurale non ci siamo dimenticati delle vittime? Perché questo è quello che ho percepito. I nostri figli sono morti e noi siamo stati condannati a una vita di sofferenza. Meritiamo rispetto. Non ci sono solo imputati. Non dimentichiamo la presenza costante in tribunale di noi familiari delle vittime. Abbiamo rinunciato a giorni di lavoro e giorni liberi solo per essere presenti. Lo abbiamo fatto nel rispetto dei nostri cari. Rispetto che non hanno avuto gli imputati, i quali, non essendo obbligati a essere presenti in aula, salvo qualche raro episodio, non hanno partecipato alle udienze. Non hanno testimoniato in tribunale perché la legge glielo consente.

E allora vi chiedo ancora: questo è giusto processo, rispetto per l’imputato? Siamo sicuri di rispettare allo stesso modo anche le vittime innocenti a cui è stato tolto il bene più prezioso: la vita? Sono consapevole dei miei pregiudizi ma credo di essere in buona compagnia. Nella nostra povera Italia si susseguono tragedie inconcepibili e le vittime secondarie di questi eventi hanno un filo conduttore che le unisce. Un dolore continuo dovuto al lutto ma anche un costante senso di frustrazione. Per il tempo trascorso prima della sentenza, per la coerenza della pena, per la lontananza delle istituzioni, per la riabilitazione spesso affrettata dei colpevoli. Ci tengo a precisare che non sono un giustizialista e un muletto. Non concepisco la pena di morte e le punizioni corporali. Considero la difesa un diritto essenziale dell’imputato. Anzi, se gli imputati avessero mostrato un minimo di rimorso avrei pianto con loro per quanto accaduto. Perché tutti possiamo commettere errori. Nessuno di loro, invece, ha espresso parole di cordoglio o di simpatia.

È mio dovere dare voce ad Emma. Rispetta e rafforza la sua immagine. Questo rispetto si perde, secondo me, nel momento in cui si imboccano sentieri tortuosi. Sempre alla ricerca di cavilli e interpretazioni azzardate. In quei momenti vedo in lontananza la figura delle vittime. Relegato a un ruolo marginale, mentre la preoccupazione principale resta il rispetto per l’imputato. Concludo dicendo che non odio queste persone. Non li odio perché ferirebbe me e Emma più di loro. Ma non avranno mai il mio perdono perché, anche se per lo Stato la loro colpa è lieve, sono loro i responsabili morali della tragedia. Nel corso degli anni ho imparato a gestire il mio dolore. Convivere con l’angoscia. Non resisto più al dolore. Non vivo nel ricordo di Emma ma immerso nella sua costante presenza. Ma la rabbia che mi porto dietro, no, quella non mi dà tregua. Rabbia per una tragedia che poteva e doveva essere evitata semplicemente rispettando la legge. Vorrei che parte di questo onere fosse a carico anche degli imputati. Almeno moralmente. Non voglio giudicare nessuno, ma vorrei che si aprisse un dibattito serio e sereno. Ripeto questa domanda: siamo certi che un’adeguata tutela degli imputati non pregiudichi troppo gravemente il diritto alla giustizia delle vittime? Qual è la giusta punizione per questo crimine?

Signor Presidente, non è mio compito dare queste risposte. Personalmente penso che l’unica vera e giusta condanna sia il rimorso. Vivere con la propria coscienza è più difficile di qualsiasi prigione. La legge, il giudice, la società tutta dovrebbero mettere il condannato con le spalle al muro. La mia impressione è che ciò non avvenga. Nel nostro Paese sono sempre meno le persone che si sentono in colpa, anche dopo la condanna. Nessuno si assume la responsabilità. Si dichiarano tutti condannati ingiustamente. E lo lasciamo pensare. Infine un pensiero per Emma che a undici anni si definiva “timida, euforica e colorata, ma la cosa più importante è essere circondata da tanti amici che ti vogliono bene”. A lei che amava scrivere racconti e pagine di diario che abbiamo raccolto nel volume “I ricordi non risparmiano lacrime”. Abbiamo promosso un premio letterario a suo nome dal titolo “Emma, ​​la memoria salvata”. Dedicato ai suoi coetanei sul tema della memoria. Non dimenticheremo mai Emma e non vogliamo che venga dimenticata dalla stessa società che le ha tolto il futuro. Rendendola un ricordo.

Ciao Emma, ​​ti riabbraccerò presto.
Grazie Presidente per aver letto questa lettera, nella speranza che diventi portavoce della sofferenza delle vittime della tragedia della Lanterna Blu di Corinaldo e di tutte le altre stragi compiute in nome dell’indifferenza, della superficialità e dell’avidità.
In ricordo di Emma, ​​Asia, Benedetta, Mattia, Daniele ed Eleonora.”

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