L’UE conferma von der Leyen, Meloni si astiene e resta ai margini (come Orbán) – .

L’UE conferma von der Leyen, Meloni si astiene e resta ai margini (come Orbán) – .
L’UE conferma von der Leyen, Meloni si astiene e resta ai margini (come Orbán) – .

Alla fine ha prevalso la linea dettata dalla maggioranza: nel corso del vertice conclusosi giovedì sera a Bruxelles, i leader dell’Unione Europea hanno convenuto di conferire un secondo mandato alla tedesca Ursula von der Leyen alla guida della Commissione. Con lei, per completare il quadro lavoro di alto livelloAlle più alte cariche delle istituzioni Ue ci sono il portoghese Antonio Costa come presidente del Consiglio e l’estone Kaja Kallas che sarà Alto rappresentante per la politica estera. Giorgia Meloni, per il momento, ha dovuto accettare le scelte prese 48 ore prima del vertice da quella che ha definito una “oligarchia”, cioè il vertice ristretto dei capi di Stato e di governo di sei Paesi (Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Polonia e Grecia), che rappresentano le tre forze di maggioranza al Parlamento europeo (popolari PPE, socialisti PSE e liberali Renew).

L’isolamento della Meloni

L’esclusione della Meloni dalle trattative era stata chiesta da socialisti e liberali, che hanno posto come condizione fondamentale per la riconferma di von der Leyen, che fa parte del Ppe, la sospensione di ogni accordo tra il Partito popolare e i conservatori del Partito popolare. ECR, il partito europeo guidato dal primo ministro. L’UDC ha cercato di mediare fino all’ultimo, con il leader del partito, Manfred Weber, e l’influente primo ministro polacco Donald Tusk che hanno pubblicamente sostenuto la necessità di ottenere il sostegno dell’Italia per le nomine e di rispettare gli “interessi” di “un Paese del G7, leader dell’Ue”. Dietro quest’opera di mediazione c’è stata senza dubbio la mano del ministro degli Esteri Antonio Tajani, esponente di spicco del Ppe, nonché ex presidente del Parlamento e vicepresidente della Commissione.

La porta si apre a von der Leyen

Non è chiaro se i costruttori di ponti abbiano placato o meno la rabbia di Meloni. Quel che è certo è che, al termine del summit, Meloni non ha potuto fare a meno di seguire la strada fatta trapelare dal suo entourage il giorno prima: si è astenuta sull’elezione di von der Leyen, e ha votato contro Costa e Kallas. Dei 27 leader dell’UE, solo l’ungherese Viktor Orban non ha dato il suo pieno consenso al trio di nomine, mentre l’altro premier conservatore (e quindi alleato di Meloni), il ceco Petr Fiala, ha votato a favore. L’asse di destra, quindi, non ha funzionato, almeno in Consiglio.

“La proposta formulata da Popolari, Socialisti e Liberali per i nuovi leader europei è sbagliata nel metodo e nella sostanza. Ho deciso di non sostenerlo per rispetto dei cittadini e delle indicazioni che quei cittadini hanno ricevuto con le elezioni”, ha scritto il presidente del Consiglio su X a margine del vertice. Ma l’astensione su von der Leyen sembra essere una porta lasciata aperta all’attuale capo dell’esecutivo Ue: “La questione non è Ursula von Leyen ma quali politiche vuole portare avanti. E su questo non abbiamo risposte”, ha spiegato la Meloni, aggiungendo però di essere sicura che all’Italia “sarà riconosciuto quello che merita”, ovvero una vicepresidenza della Commissione, ovvero un portafoglio pesante che copra i settori dell’industria e agricoltura.

La corsa per la sedia dei pesi

Per riuscirci, il premier userà molto probabilmente l’arma dell’ECR nel Parlamento di Strasburgo: i conservatori sono usciti rafforzati dalle urne europee, almeno per ora. Il gruppo dell’ECR conta attualmente 83 deputati, ed è la terza forza del Parlamento europeo (anche se i 20 polacchi del PiS hanno fatto sapere che potrebbero andarsene). Per essere confermata, von der Leyen avrà bisogno del sostegno della maggioranza dell’Aula, cioè di almeno 361 voti.

Popolari, socialisti e liberali insieme contano 399 deputati. Sulla carta i numeri ci sono, ma non tutti i deputati della maggioranza sosterranno il bis del leader tedesco: i cecchini potrebbero essere una quarantina, stando ai calcoli che circolano a Bruxelles. Ecco perché potrebbe essere decisivo l’appoggio dei parlamentari conservatori, anche solo dei 24 deputati di Fratelli d’Italia. Meloni cercherà di far leva su questo, ma dovrà tenere conto anche delle mire degli altri leader, a partire dal francese Emmanuel Macron, che sembra voler puntare agli stessi seggi richiesti dall’Italia. Inoltre, l’aiuto dei conservatori potrebbe essere vanificato (o ridimensionato) da un accordo tra von der Leyen e i Verdi, che possono assicurarle 54 voti.

Il voto di fiducia del Parlamento

La partita vera per il primo ministro (ma anche per il presidente della Commissione), dunque, comincia adesso. Von der Leyen inizierà la prossima settimana il negoziato con i leader dei gruppi politici, che dovrebbe durare tre settimane (il voto in Parlamento è previsto per il 18 luglio, salvo rinvio). “Per me è molto importante lavorare in Consiglio con l’Italia, con tutti gli altri Stati, è un principio che ho sempre seguito”, ha detto la leader tedesca, aggiungendo che cercherà la fiducia anche al di fuori della maggioranza, lavorando con le “delegazioni nazionali” dei gruppi, cioè i singoli partiti come FdI.

Se von der Leyen riuscirà a vincere il voto di fiducia, si consulterà di nuovo con i leader dei 27 per formare il team di commissari e definire i portafogli. Una volta che il team sarà al suo posto, le nomine dovranno passare di nuovo attraverso un voto di fiducia in Parlamento, molto probabilmente a settembre. Tuttavia, se l’attuale presidente della Commissione non otterrà il sostegno della maggioranza degli eurodeputati, allora i capi di stato e di governo dovranno trovare un sostituto a metà estate. Se ciò dovesse accadere, sarebbe una prima volta nella storia dell’UE.

 
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