“Ho imparato ad apprezzare la vita” – .

“Raccogli la gioia del giorno – scrive Franco Arminio –/ la puoi sempre trovare/ se ti guardi attorno con attenzione”. Nella fretta dei suoi giorni Gabriella Paganessi di Vertova, 48 anni, spesso non riusciva a trovare il tempo per un incontro, una telefonata, una pausa, un sorriso, un pizzico di bellezza. «È stata la malattia che mi ha insegnato ad apprezzare ogni momento, prestando più attenzione ai dettagli, e in particolare mi ha stimolato ad amare le persone, con i loro pregi e difetti».

Una consapevolezza pagata a caro prezzo, perché Gabriella ha dovuto sottoporsi a un intervento chirurgico per rimuovere un glioma, un tumore al cervello, e ha trascorso un anno e mezzo in ospedale e in strutture riabilitative, prima a Milano, poi a Pavia, lontano dalla famiglia e soprattutto dalle figlie, che hanno 19 e 15 anniSolo negli ultimi sei mesi, trascorsi alla clinica Quarenghi di San Pellegrino, ha iniziato a riprendersi ed è stata dimessa a inizio giugno: «Devo ancora affrontare tante difficoltà – spiega – che fanno parte della mia quotidianità. Non è facile alzarsi la mattina e dover essere assistiti in ogni momento della giornata. Anche le azioni più semplici – come respirare, mangiare e camminare – sono faticose. Per questo ho capito quanto sia importante riuscire a cogliere le cose positive che ogni giorno mi regala. C’è voluto impegno, e ora finalmente riesco a farlo, ma nei primi mesi non lo ero affatto. La positività arriva quando inizi a capire che – nonostante tutto – la vita ha ancora molto da offrire».

«È stata la malattia che mi ha insegnato ad apprezzare ogni momento, prestando più attenzione ai dettagli, e soprattutto mi ha incoraggiato ad amare le persone, con i loro punti di forza e le loro debolezze».

La scoperta del tumore

Nel 2022, le giornate di Gabriella trascorrono serenamente tra il suo lavoro come impiegata in un centro medico, la casa e le sue due figlie adolescenti. «In autunno ho notato una insolita stanchezza nel camminare, soprattutto se dovevo fare le scale. In quel momento l’ho attribuito a un allenamento scadente”. Quando questo malessere è diventato evidente, una sua collega se ne è accorta: «mi ha suggerito – racconta – di approfondire la situazione con alcuni esami di controllo. Pensavo di avere qualche problema cardiaco, ma le prime visite non hanno evidenziato nulla e nel frattempo i miei disturbi peggioravano.». Completavano il quadro altri segnali che Gabriella aveva inizialmente ignorato: «Avevo ricorrenti abbassamenti della voce, uno strano formicolio a una gamba, episodi acuti di nausea e vomito, ma non sembravano collegati a me».

Si è rivolta a uno specialista otorinolaringoiatra che ha identificato una paresi delle corde vocali e le ha prescritto una TAC per scoprirne la causa.: «Così si fa la diagnosi di un glioma, posizionato alla base del cranio”. Una svolta inaspettata, difficile da accettare. «Lo specialista – continua Gabriella – dopo aver visto l’esito dell’esame mi ha mandato al Besta di Milano, dal neurochirurgo Marco Saini, esperto in interventi alla base del cranio, che a sua volta ha sottolineato l’urgenza dell’operazione, perché purtroppo il tumore era esteso. Così nel giro di poco tempo mi sono ritrovata in ospedale».

Ci sono pazienti che bombardano di domande i medici durante la preospedalizzazione, Gabriella invece le ha limitate al minimo indispensabile, per non esacerbare le sue preoccupazioni.: «Mi chiedevo solo se sarei sopravvissuto, e se la mia qualità di vita sarebbe peggiorata. Ma in realtà non ero del tutto preparato per quello che poi avrei dovuto affrontare”.

La lunga degenza ospedaliera

Aveva preso in considerazione un periodo di riabilitazione e la possibilità di terapie complementari per combattere il tumore: «Quello che non avevo previsto – spiega Gabriella – era la possibilità di dover restare ricoverata così a lungo. Ci sono state complicazioni imprevedibili: subito dopo l’operazione, per esempio, sono rimasto in terapia intensiva per quaranta giorni a causa di una grave polmonite”.

Superata questa prima fase complessa, è stata trasferita all’Istituto Maugeri di Pavia, specializzato in riabilitazione: «Ho dovuto sottopormi a un ciclo di 25 radioterapie, molto debilitanti, anche se non mi hanno causato dolore. ILNel frattempo ho iniziato un percorso di riabilitazione fisica e logopedia, perché la malattia mi ha causato anche difficoltà a deglutire. Ho avuto di nuovo la polmonite, in una forma ancora più grave. Ad un certo punto, dopo una forte crisi respiratoria, i medici hanno convocato anche i miei familiari perché c’era il rischio che non sopravvivessi. Per fortuna mi hanno salvato e sono qui”.

Con gli occhi lucidi e la voce carica di emozione, Gabriella racconta la sua rinascita, fatta di piccole vittorie quotidiane: «Sono migliorata lentamente, un giorno dopo l’altro, affrontando

ostacoli con tanta pazienza. Dopo mesi di degenza a Pavia, mi sono trasferito alla clinica Quarenghi di San Pellegrino, che già conoscevo, perché lì era stato ricoverato un mio parente anni fa. Se prima avevo dovuto trascorrere lunghi periodi di isolamento, per non soccombere a nuovi contagi, lì ho potuto finalmente avere contatti con altri pazienti e per me è stato molto importante. Ho incontrato tante persone, più giovani ma anche più grandi di meLi ho visti lottare ogni giorno per ottenere dei miglioramenti, mi hanno dato un grande esempio. La mia famiglia e i miei amici mi hanno accompagnato durante tutto questo viaggio, perché non ce l’avrei mai fatta da sola: sono sempre stati al mio fianco. Ho potuto verificare personalmente che “gli amici si incontrano nel momento del bisogno”, i miei non mi sono mai mancati, anzi, Ho scoperto legami profondi di vicinanza e affettoa volte mi hanno sorpreso in modo positivo. Sono grato per tutto quello che ho ricevuto, perché mi ha portato a cambiare la mia visione della vita. Sebbene la malattia mi abbia tolto alcune capacità e abbia minato la mia indipendenza e autonomia personale, mi ha dato molto di più».

Ad esempio, la consapevolezza che «nessun uomo è un’isola, completo in se stesso» come scrive John Donne: «Non abbiamo mai tempo – osserva Gabriella –, diamo per scontate molte cose che in realtà non lo sono. Nella mia vita precedente ero sempre concentrato sul lavoro, pensavo di non avere la possibilità di dedicarmi agli altri e talvolta nemmeno a me stesso.. Ora non voglio più rinunciare alle relazioni che ho riscoperto, anzi, voglio valorizzarle. In futuro vorrei essere ancora più attenta alla mia famiglia e ai miei amici, dare loro più spazio di prima. Ho scoperto che posso dare una direzione diversa alla mia vita. Mi sono già impegnata a raccontarlo a ognuno personalmente, esprimendo l’immensa gratitudine che provo, sgombrando il campo da risentimenti e incomprensioni, scusandomi se fosse necessario.

Si rese conto di quanto la solitudine possa avere un impatto sulla condizione di un paziente: «Ho avuto tanti coinquilini – racconta –. Alcuni di loro sono rimasti soli per lunghi periodi e questo ha influito sulla loro capacità di reagire e guarire. Affrontare la malattia da soli è la cosa peggiore, è impossibile trovare la forza senza avere qualcuno al proprio fianco. Quando mi riprenderò del tutto vorrei impegnarmi nella mia comunità, dove sono presenti diverse associazioni, proprio per aiutare le persone malate e senza sostegno. Alla clinica Quarenghi ho stretto forti legami di amicizia e ho capito quanto sia importante donare anche solo una carezza, un abbraccio o una stretta di mano».

Relazioni riscoperte

Anche nel rapporto con il personale sanitario l’empatia e il calore umano possono fare la differenza: «Ho ripreso a camminare da qualche mese: quando sono riuscita a farlo per la prima volta, la mia fisioterapista si è commossa, abbiamo pianto insieme e sono state lacrime liberatorie, hanno segnato la fine di un periodo molto buio. La fiducia reciproca ha contribuito ad accelerare il processo di recupero».

Ora Gabriella torna in clinica per due giorni alla settimana per la fisioterapia: “Questo periodo ha segnato una rinascita non solo fisica ma umana nel senso più pieno. Ogni giorno noto qualche piccolo progresso, nonostante le difficoltà rimangano numerose, ma soprattutto sono serena, sono riuscita a dare un senso più profondo a questa esperienza. Ora voglio godermi ogni momento, anche le cose più semplici, come ridere con le mie figlie.”

Due bambine cresciute in fretta durante la malattia della madre: “Sono molto orgogliosa di come hanno superato questo anno molto difficile”, commenta Gabriella, “affrontando sfide a cui forse non erano preparate, proprio come me. Si sono dimostrate autonome e indipendenti.. Non pensavo che sarei rimasta lontana da casa per così tanto tempo, eppure sono riuscite a gestire la routine quotidiana, accudite dal padre e dai nonni, e allo stesso tempo a tenere il passo con gli impegni scolastici. Venivano a trovarmi spesso, mi davano tanta energia e voglia di stare meglio. La più grande ha sostenuto in questi giorni l’esame di stato al liceo linguistico di Albino e sono riuscita a farle una sorpresa, presentandomi davanti alla scuola per festeggiarla dopo l’orale. Il suo sorriso mi ha ripagato di tante sofferenze passate”.

La parola chiave per il presente e il futuro di Gabriella è condivisione: «La cosa più bella per me è stata la connessione con altri pazienti, condividere con gli altri successi e debolezze. Mi sono anche avvicinato alla mia fede, che avevo perso nel corso degli anni. Vorrei ricambiare l’aiuto ricevuto.insieme ad altri malati come me, alleviando la loro solitudine. Vorrei dire a chi si trova in una condizione simile alla mia che bisogna credere nella guarigione, e fare del nostro meglio per rimettersi in piedi, senza mai arrendersi e lasciar andare. Bisogna cercare un lato positivo nel proprio cammino, perché certamente esiste.”

 
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