Prisons, Rems and follies – Quotidiano Sanità – .

by Mario Iannucci and Gemma Brandi

02 LUGEgregio Direttore,
ogni tanto appaiono – e sono apparsi anche su Qualità-qualità – alcune notizie che non possono che sconcertare i clinici sensati e competenti. Si tratta di notizie diffuse da organizzazioni che si dichiarano scientifiche. Tali organizzazioni (la Società Italiana di Psichiatria e Psicopatologia Forense, ad esempio) riconoscono che esiste un grave problema nella gestione della delinquenti malati mentali.

In verità, in Italia, da decenni si cerca di distinguere tra mad-rei (pazienti che hanno commesso reati perché affetti da un “difetto mentale totale o parziale”) e rei-folli (detenuti che sono “impazziti” in carcere, mentre in libertà erano liberi da un “difetto mentale”). Nei decenni della nostra attività di psichiatri, nei Centri di Salute Mentale e anche in carcere, non abbiamo visto un solo soggetto che sia “impazzito” in carcere. Ne abbiamo visti invece molti i cui gravi o gravissimi disturbi mentali non erano stati adeguatamente valutati nel contesto dei processi o che non erano stati ritenuti tali da portare all’assoluzione per “difetto mentale”. Per questo motivo, le carceri sono piene di persone affette da gravi o gravissimi disturbi mentali (tra cui “dipendenze croniche da alcol o sostanze”, che potrebbero portare all’assoluzione ai sensi del mai abrogato art. 95 del Codice penale). Ecco perché i suicidi nelle carceri avvengono circa 15 volte (quindici volte!) più frequentemente che fuori.

C’è poi un problema specifico legato alla gestione dei folli-criminali. Infatti, per i pazienti affetti da “difetti mentali” che sono “socialmente (molto) pericolosi”, il giudice ordina o condanna che vengano “ammessi” in una REMS (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive). Tuttavia, delle 1.400 persone per le quali i giudici, a giugno 2023, avevano decretato l’ammissione in una REMS, solo 700 avevano potuto entrare, perché le altre 700 erano rimaste fuori per mancanza di posti letto. Di queste 700 che non possono essere “ammesse” nelle REMS, circa una cinquantina restano rinchiuse nelle carceri e, per questo, l’Italia è stata ripetutamente condannata dalla CEDU.

Anche la Corte Costituzionale, pur non avendo avuto il coraggio di indicare la palese incostituzionalità delle “leggi sul superamento degli OPG”, già a inizio 2022 aveva invitato il Legislatore a promuovere una revisione completa di tali leggi, in modo da predisporre un numero adeguato di posti nei REMS e, inoltre, prevedere la necessaria integrazione tra i Giudici e i DAP (Ministero della Giustizia) e i Sistemi Sanitari Regionali (Ministero della Salute). La Corte Suprema aveva indicato che “urge una legge per superare questa criticità”. Nulla è stato fatto finora in due anni e mezzo. Nulla è previsto che venga fatto.

D’altra parte, però, sono molti gli “esperti” che ci indicano le soluzioni per superare questi gravissimi problemi, costituiti da un lato dall’assoluta inadeguatezza dell’attuale sistema REMS e, dall’altro, dal preoccupante sovraffollamento, nelle carceri ordinarie, di persone affette da gravi disturbi mentali. Con i Sistemi Sanitari intramurali che non riescono a far fronte a questa marea crescente (49 suicidi in sei mesi nelle carceri del Paese).

Le soluzioni proposte ci sembrano francamente contraddittorie. Va notato innanzitutto che sia le cosiddette società scientifiche sia gli esperti del Ministero della Giustizia non possono fortunatamente non sottolineare che i posti disponibili nei REMS sono insufficienti e che vanno aumentati. Ma aggiungono che il problema dei REMS verrebbe risolto mandando in prigione i pazienti “cattivi”. Chi sarebbero questi pazienti “cattivi”? Sarebbero quelli affetti da un “disturbo antisociale di personalità (DAP)” e gli “assassini”.

Lasciamo da parte le bizzarre discussioni sugli “assassini”: si va in REMS perché si sono commessi reati gravi, non perché si è rubata la marmellata! La nostra esperienza professionale ci insegna che nessuno dei 40 pazienti “ricoverati” in REMS in Toscana soffre di DAP come disturbo primario. Ovviamente, trattandosi di pazienti che hanno commesso reati gravi, possono avere alcuni tratti di DAP come diagnosi secondaria e terziaria. Anche se rimandassimo in carcere il 5% dei pazienti che in REMS hanno anche una diagnosi secondaria di DAP, saremmo ben lontani dal risolvere i problemi della REMS e della follia carceraria.

Altri due argomenti, tra quelli indicati da alcuni “esperti” per analizzare e risolvere il gravissimo problema della follia reclusa, sono da contestare fermamente.

Il primo tema è quello riguardante la “simulazione” dei disturbi mentali. Gli autori di gravi reati simulavano gravi disturbi mentali per essere assolti per infermità mentale, evitando così pesanti condanne. Nella nostra quarantennale esperienza professionale come psichiatri carcerari, abbiamo assistito a pochissimi tentativi di simulazione. Ciò poteva talvolta accadere prima dell’approvazione della “Legge Gozzini” (con i numerosi benefici che questa legge prevedeva), prima del nuovo Codice di Procedura Penale (che ha introdotto procedure alternative) e prima delle misure previste per i “pentiti”: le riduzioni di pena ottenibili in questo modo sono di gran lunga più convenienti di un’assoluzione per infermità mentale! Nella nostra esperienza professionale, tuttavia, abbiamo costantemente assistito a tentativi molto frequenti da parte dei detenuti di nascondere i propri disturbi mentali. Gli individui affetti da gravi Disturbi Mentali preferiscono di gran lunga essere considerati delinquenti/prigionieri piuttosto che “pazzi”. Basterebbe considerare eventi esemplari da questo punto di vista, come quello reale di Pierre Rivière o quello letterario di Moosbrugger.

Il secondo argomento è legato alla valutazione negativa, data sia dalla ‘destra’ che dalla ‘sinistra’, della cosiddetta ‘sentenza Raso’. Si tratta di una sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione, pronunciata nel 2005. Una sentenza bellissima, che tutti gli ‘esperti’ dovrebbero leggere prima di vilipenderla. La sentenza Raso afferma semplicemente una cosa ovvia: i gravi Disturbi di Personalità (che il DSM 5 considera alla pari degli altri Disturbi Mentali), se contraggono un nesso ‘causale’ con il reato commesso, possono portare al riconoscimento di un difetto mentale totale o parziale. Cosa c’è di eretico e pericoloso nella sentenza Raso? Un Disturbo Paranoide, o Schizoide o Schizotipico, un grave Disturbo Borderline che può essere associato a tratti Antisociali discreti, non è chiaro perché non debbano essere considerati, in relazione all’imputabilità del soggetto, alla pari di altri disturbi mentali, come la Schizofrenia, il Disturbo Bipolare o il Disturbo Delirante Cronico!

Purtroppo, come abbiamo segnalato molte altre volte, i servizi di salute mentale tendono sempre più a non occuparsi di malattie mentali gravi e difficili da curare, in particolare quelle malattie che comportano una scarsa o nessuna compliance del paziente al trattamento. Ciò accade da decenni con i pazienti affetti da quei disturbi mentali chiamati disturbi da abuso di sostanze o dipendenza da alcol: quando vuoi essere curato, cerchiamo di farlo, ma se non vuoi essere curato, non ci prenderemo cura di te.

La Salute Mentale, anche per tutti gli altri pazienti, sta seguendo la stessa strada: abolizione dei Trattamenti Sanitari Obbligatori (“SPDC senza contenzione”, “no trattamenti involontari”), abolizione dell’assoluzione per “difetto mentale” (“stop REMS”), carcere per tutti i pazzi-criminali. Un percorso simile è già stato intrapreso negli USA da molti anni, con risultati sotto gli occhi di tutti: due terzi dei senzatetto affetti da gravi Disturbi Mentali attuali (tre quarti se si considerano i Disturbi lifetime), il carcere come risposta prevalente al disagio psico-sociale (tasso di detenzione otto volte superiore a quello italiano), percentuali molto elevate di detenuti che, pur affetti da gravi disturbi mentali, non ricevono cure adeguate.

Anche in Italia, i numerosi detenuti affetti da Disturbi Mentali gravi o gravissimi non ricevono davvero cure adeguate. E ne riceveranno sempre meno. Non possiamo pensare di rispondere alla presenza diffusa di detenuti affetti da Disturbi Mentali difficili riducendo il sovraffollamento con la costruzione di più carceri; non possiamo pensare di farlo semplicemente aumentando il numero degli Agenti di Polizia Penitenziaria, senza fornire loro una formazione autentica al trattamento di questi detenuti difficili e, soprattutto, senza coinvolgerli in sensate manovre multiprofessionali di trattamento; non possiamo pensare di farlo senza un numero adeguato di Operatori della Salute Mentale, operatori preparati, responsabili, adeguatamente formati e retribuiti in modo proporzionale all’impegno e al rischio delle loro mansioni.

Qualcuno degli esperti, cioè di coloro che, partendo dall’esperienza clinica, dovrebbero dare indicazioni in materia, ha fornito in questi anni indicazioni pertinenti per risolvere questi problemi? Non le abbiamo registrate. Anzi, ne abbiamo registrate troppe fornite da ‘esperti’ che sembrano non avere esperienza clinica.

Qualcuno dei decisori, cioè coloro che dovrebbero elaborare regole efficaci per risolvere questi problemi, ha per caso cercato pareri clinici competenti e promosso tali regole? La realtà ci dice che ciò non è accaduto. E così i detenuti si suicidano in numeri esorbitanti; i criminali pazzi socialmente pericolosi continuano a essere in libertà o in carcere; il personale sanitario abbandona una prigione che, come una nave di folli, rischia di andare irrimediabilmente alla deriva. Non sono solo i detenuti, ma anche gli operatori penitenziari, consapevoli ma ancora troppo silenziosi, che continuano a pagare il prezzo.

Mario Iannucci and Gemma Brandi
Psichiatri psicoanalitici
Esperti in Salute Mentale applicata al Diritto

02 luglio 2024
© Riproduzione riservata


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