“Il rugby è un sentimento di libertà.” Intervista ad Alyssa D’Incà – .

“Il rugby è un sentimento di libertà.” Intervista ad Alyssa D’Incà – .
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“Grazie ai nostri risultati siamo sulla strada giusta per superare il tabù secondo cui questo sport è riservato solo agli uomini”. La Nazionale italiana femminile di rugby affronta sabato allo Stadio Sergio Lanfranchi di Parma la Scozia

Il 200esimo rugbista italiano della storia, Alyssa D’Incà, è la seconda di quattro figli di due operai, ha 22 anni, gioca centro e ala nel Villorba, ha 24 presenze in Nazionale con otto mete, è bellunese, alta 1,71 metri, pesa 67 chili, e una settimana fa contro la Francia ha segnato due mete. Il primo in mezzo ai pali con un fulmineo inserimento nella linea della trequarti, il secondo con una lunga fuga nel corridoio di sinistra, sfuggendo in entrambi i casi ai contrasti avversari. Tanto da essere premiata come la migliore del settore.

Alyssa, perché il rugby?

“Per vocazione, o per ispirazione, o per destino. Non avevo nemmeno cinque anni e, al massimo, avrei potuto solo raccogliere la palla. Invece ho infranto le regole e sono rimasto bloccato in un torneo. Non sapevo nulla, non capivo nulla, ma l’amavo. Sono rimasto all’Alpago fino all’Under 14, poi sono andato al Villorba”.

Nel frattempo?

“Atletica leggera, mezzofondo e cross country. I miei genitori hanno sempre cercato di farci fare ciò che sentivamo di poter fare, ciò che volevamo fare. Tutte le loro scelte sono state fatte per noi. E questo ci ha caricati di responsabilità. Quindi, se decidevamo di fare qualcosa, ci sentivamo impegnati a impegnarci al massimo. E quando si è trattato di scegliere tra atletica e rugby non ho avuto dubbi: rugby”.

Quindi, ancora una volta, perché il rugby?

“Innanzitutto per ciò che ha in comune con l’atletica: la corsa. Se possibile, con la palla tra le mani. Una sensazione di libertà, una convinzione di potere, un’esplosione di felicità. Il più velocemente possibile, il più lontano possibile. Avanzare, guadagnare, conquistare (231 metri in tre gare del Sei Nazioni, secondo in classifica, ndr). Il rugby è una terra da conquistare. E quando la gente non gioca dalla mia parte, cerco di rendermi utile al trequartista, cioè ai mediani di mischia e agli mediani d’apertura, proponendomi anche da fuori area”.

Poi?

“Il legame che nasce in squadra, prima, fino a 12 anni, con i ragazzi, perché le squadre sono miste, poi con le ragazze, fino a formare una famiglia. Il rugby è una famiglia, altrimenti non è il rugby vero, autentico. E sempre i valori, inerenti al gioco ed imprescindibili nei giocatori: rispetto delle regole, dell’arbitro, degli avversari e ovviamente dei compagni significa impegno, lealtà, onestà, generosità, coraggio, tutto.

Quindi, ancora una volta, perché il rugby?

“Dimostrare a me stesso, ogni giorno, tra allenamenti e partite, tra campionato e Sei Nazioni e Mondiale, tra pressioni e tensioni, di essere all’altezza della situazione. C’era una volta che cominciavo a sentire, e a soffrire, le partite un paio di giorni prima di entrare in campo. Ero consumato. Paranoie vere e proprie. Ci ho lavorato molto, sul campo ma anche in poltrona, con i miei compagni ma anche con gli psicologi, per sentirmi idoneo e adeguato. Sono così autocritico che non riesco mai a ottenere il massimo dei voti né a superarmi a pieni voti. Ma ora almeno posso ammettere che non sono poi così male”.

Affermazioni?

“Si, molti. Innanzitutto contro chi considera il rugby uno sport esclusivamente maschile. Il tabù resiste. Ma anche grazie ai nostri risultati siamo sulla strada giusta. All’estero penso soprattutto a Inghilterra e Francia, ma anche alla Scozia, il divario tra rugby maschile e femminile si sta appiattindo, fino ad arrivare finalmente al rugby, e basta”.

Il rugby come sport o c’è di più?

“Il rugby è un’arte. Un’arte filosofica. Tutti possono vederlo, molti possono giocarci, pochi possono capirlo. Anche il rugby è una professione. Può essere. Dipende. Dipende dalle categorie, dai livelli. Il rugby è sempre una passione, altrimenti basta un allenamento per mollare tutto e subito. Anche il rugby è una professione. Il contributo che noi italiani riceviamo dalla Federazione ci aiuta a vivere: pagare l’affitto, le bollette, la spesa. E di questo sono orgoglioso”.

Alyssa, cosa ti dici prima di entrare in campo?

“Rispettare tre obiettivi concreti che, a seconda delle partite, mi sono assegnato. E, sempre, giocando con la stessa spensieratezza con cui entravo in campo da bambino”.

E quando esce?

“Dipende. A volte mi dico di andare al diavolo, altre volte mi dico che in fondo non è andata poi così male”.

E quando colpisce nel segno?

“Spiego che il merito va ai miei compagni. La pura verità”.

Quando crescerò?

“Al liceo scientifico sportivo ho capito che alle materie scientifiche e sportive preferivo la filosofia. Mi sono iscritta a Lettere Moderne, ma pensavo più agli esami che agli esami. Mi piace leggere, scrivere, magari insegnare, sicuramente trasmettere. Ma ora c’è il rugby”. E sabato, alle 17.45, al Lanfranchi di Padova e diretta su Sky Sport: Italia-Scozia.

 
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