In questi giorni Andrea Raccagni Noviero è in Francia, al Tour de Bretagne, con l’aspirazione di continuare la serie positiva di risultati ottenuti in questa prima parte di stagione. Il corridore genovese è sempre più alla ribalta squadra, devo farlo di Soudal Quick Step e arriva da un podio importantissimo, quello della categoria Ghent-Wevelgem che ha confermato quanto l’investimento fatto dalla multinazionale belga sia stato lungimirante.
Artz, in fuga di nascosto
A fine gara il ligure è stato battuto in volata per il secondo posto dal danese Pedersennon aveva grandi rimpianti per la vittoria sfuggita molto tempo prima, agli olandesi Artz ha preso coraggio a piene mani lanciandosi nella fuga che poi si è rivelata decisiva.
«Quando vince uno così, con un curriculum di tutto rispetto – dice – non resta che accettare il verdetto della strada, sono più che contento del mio terzo posto. Venivo da un periodo di mancanza di brillantezza, questa gara era un obiettivo ed averlo parzialmente raggiunto è motivo di orgoglio. Tra l’altro non sapevo che fosse in fuga e poi mi hanno avvertito dall’ammiraglia che stava attaccando Harteel, un compagno di squadra, quindi non potevo muovermi. Quando è stato ripreso quest’ultimo, speravo che il vento ci desse una mano a riprendere il fuggitivo, ma dovevo pensare anche allo sprint”.
Finora hai corso 15 giorni, come sono andati nel complesso?
Il giudizio è positivo, anche se quando non vinci hai sempre l’amaro in bocca. La prima parte è stata buona con 3 podi in 4 giorni di gara, quindi prima della categoria Roubaix, alla quale tenevo molto, avevo delle brutte sensazioni, anche se continuavo ad andare forte. Dopo la Roubaix (finita al 35° posto, ndr) ho cominciato a sentirmi meglio e a quel punto aspettavo la mia occasione.
Visti i tuoi risultati ti identificano sempre più come un velocista, ma questa definizione ti rispecchia?
Non mi piace molto, sono convinto di non esserlo o almeno non solo quello. Sono più un corridore di lunga distanza con un buon slancio, che lotta anche negli sprint affollati, ma da questo si passa ad essere un velocista di punta. Sul 5” fatico ad andare oltre i 1.350 watt e questi numeri dicono che per vincere serve di più. Questo si riflette anche negli allenamenti, dove dovrei fare degli sprint di prova, ma spesso ho un po’ di rifiuto verso certi lavori.
E quali preferisci?
Mi piace di più faticare in salita, anche se so che su quei terreni non riuscirò mai ad emergere perché ho troppo peso da portarmi dietro, essendo oltre i 75 chili. Credo che la definizione più corretta sia un corridore da classiche, forte nel ritmo e capace di emergere anche su percorsi complicati, capace di fare la differenza nello sprint quando il gruppo è piccolo.
Questi risultati, però, sono importanti per il progetto che avevi già annunciato: ottenere un contratto da professionista a fine anno…
A dire il vero mi aspetto una risposta anche prima. Da junior ero convinto che sarebbero stati necessari tre anni nella categoria superiore per trovare la mia dimensione e imparare ciò che era necessario, ma poi ti accorgi che questo mondo ha una fretta tremenda e al secondo anno già senti il il tintinnio dell’orologio. È chiaro che tutti questi risultati sono fieno della fattoria, sono abituati a farsi vedere, ma per me è necessario ritrovare quel benedetto contratto per avere più sicurezze. Qualche giorno fa pensavo al futuro: potrei anche passare alla continentale, ma quelle sicurezze economiche non ci sarebbero, anzi. Secondo me la differenza è proprio questa: in una struttura WorldTour hai le spalle coperte per un buon periodo di tempo.
Cosa dicono in squadra?
C’è molta sensibilità nei miei confronti, i miei risultati stanno portando anche a rivedere i programmi. Dopo la Bretagna mi sono dovuto fermare e prendere la rimonta per il Giro Next Gen, ma vogliono portarmi con la squadra senior alla 4 Giorni di Dunkerque dove su almeno 4 tappe sarei anche il responsabile dello sprint. È una grande dimostrazione di fiducia anche se ancora nulla è certo.
Oggettivamente sceglieresti di tornare all’estero?
Senza alcun dubbio, anche se devo dire che, rispetto a quando sono passato, lo vedo alcune squadre italiane sono sempre più attrezzate, lavorano bene e crescono di livello. C’era un gap che stanno colmando, ma stare in squadra fa ancora la differenza.
Nel tuo gruppo senti l’influenza di ciò che accade “al top”, cioè nella squadra senior che non ha certo ottenuto risultati eccezionali nelle classiche?
La divisione tra le due entità è molto forte, nonostante occasionalmente l’una possa passare nell’altro gruppo. Non ci fanno gravare la situazione, vogliono che continuiamo a lavorare con calma e a pensare alle nostre gare. Abbiamo la sensazione che vogliano riempire la squadra con il meglio della nostra squadra, per renderla la spina dorsale del domani e infatti ci dicono che se avremo qualità avremo spazio per metterci in mostra ed emergere. Continuiamo a lavorare duro, speriamo che questo porti ciò che desideriamo, io in primis…