dalla Coppa Davis al lancio di nuovi fenomeni Intervista – .

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TREVISO – «Cimetta è qui»la scritta su uno bandiera visualizzato su tribune del Roland-Garros, è tornato di nuovo di moda. Un’immagine che ha fatto il giro del mondo durante la semifinale del singolare femminile, giocata da Gelsomino Paolini contro la russa Mirra Andreeva. Una partita che ha portato l’italiano a raggiungere la finale di uno dei quattro tornei slam, persa poi contro la numero uno al mondo, la polacca Iga Swiatek. «Quando ero giocatore – spiega Renzo Furlannel 1996 raggiunse il 19° posto nel ranking ATP, allenatore del miglior tennista italiano attuale – i tifosi che mi seguivano in Coppa Davis portavano sempre con sé un foglio ancora più grande con quella scritta. Mi ha fatto molto piacere che qualcuno si sia ricordato, replicando quello che era stato fatto una volta, e sia arrivato fino a Parigi, dopo aver percorso migliaia di chilometri”.

Cosa hai portato a casa da un torneo sensazionale come quello che sei riuscito a fare a Parigi?

«In quei giorni eravamo sempre concentrati sulla partita successiva. Ci vuole un periodo per metabolizzare e pensare a quello che hai fatto. Analizzando con calma possiamo dire che Jasmine ha messo insieme un’ottima prestazione, che si aggiunge a quella di Dubai. Poi guardi la classifica e vedi che adesso è la numero sette al mondo. Porti con te che devi continuare su questa falsa linea, mantenendo alta l’attenzione. C’è ancora margine di miglioramento sotto alcuni aspetti, per cercare di continuare a fare qualcosa di notevole, come è successo a Parigi”.

Una città che porta fortuna: Paolini dopo Schiavone.

«Diciamo che non ero presente fisicamente con la Schiavone, l’ho allenata e seguita in alcuni tornei, perché in quel periodo ero direttore del settore under 20 della Federazione, ma mi piace pensare di aver contribuito anche a quello successo”.

Da vent’anni Furlan vive a Marina di Massa dove ha sede la Next Gen Academy. Viene utilizzato per l’allenamento su superfici veloci. Quando però arriva il momento di passare sulla terra battuta, si trasferisce al Tennis Club Italia di Forte dei Marmi, di cui Paolini è socio. Questo dopo una carriera tennistica iniziata nel trevigiano.

«Fino all’età di quattordici anni ho condotto una vita estremamente normale, nel senso che giocavo a calcio e tennis. Lo sport era predominante ai miei tempi. Poi ho vinto i campionati regionali U14, e da outsider sono arrivato alle semifinali di quelli italiani. Successivamente fui convocato al centro tecnico Riano di Roma e lì la mia vita prese una svolta. Treviso era una base straordinaria, dai dieci ai quattordici anni, c’era tanta gente e tanti ragazzini che giocavano. Diciamo che c’era un bellissimo ambiente, molto sano. Ho continuato a giocare nel TC Treviso fino ai diciotto anni, giocando alcune partite della squadra. Poi sono diventato un professionista e ho iniziato a viaggiare per il mondo”.

Spesso, in questo periodo, sentiamo Sinner parlare del suo rapporto con la famiglia, che lo ha lasciato libero di decidere. Come è andata nel suo caso?

«Sono l’ultimo di quattro figli, diciamo che non ci sono state attenzioni ossessive nei miei confronti. Quando decisi di andare a vivere a Roma i miei genitori furono contenti. Ti rendi conto che quella è la tua vita, viaggiare non mi ha mai dato fastidio, e nemmeno stare lontano da casa. Certo, ogni tanto hai bisogno di ritrovare affetto. La mia motivazione era diventare la migliore versione possibile di un tennista. Ogni tanto torno nel trevigiano, dove sono ancora presenti i miei familiari”.

Forse manca qualche bel torneo a Treviso e dintorni?

«Per portare certi campionati bisogna spendere molto. Se parliamo di 250mila devi spenderne almeno il triplo. Sarebbe bello, spero che un giorno qualcuno avrà la possibilità di farlo. In Italia sono tanti con 25mila, e questo è un forte aiuto per tutto il movimento tennistico italiano”.

Come struttura il suo lavoro di allenatore?

«Alla fine è l’allenatore che deve indicare una direzione possibile, lavorando sui gap e migliorando le qualità. Dare un’identità al tennista. Quando il rapporto dura da anni, come con Jasmine, si crea una complicità, ma c’è una separazione netta: c’è stima, anche affetto, ma io sono l’allenatore e lei la giocatrice. Dobbiamo sempre trovare un punto di incontro per cercare di tirare fuori il meglio. Nel modo in cui comunichiamo siamo molto lineari. Per il modo in cui si comporta non ha bisogno di essere spinta, nemmeno presa in giro. Lei è già molto carica, non ha bisogno di qualcuno che alzi la voce, di un atteggiamento autoritario”.

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Il Gazzettino

TREVISO – «Cimetta è qui», la scritta su uno striscione esposto sugli spalti del Roland-Garros, è tornata di nuovo di moda. Un’immagine che ha fatto il giro del…

 
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