Il ritiro di Peter Sagan, o l’uccisione delle pretese – .

Il ritiro di Peter Sagan, o l’uccisione delle pretese – .
Il ritiro di Peter Sagan, o l’uccisione delle pretese – .

Vorremmo vivere in un mondo di favole a lieto fine, di campioni buoni e belli che corrono per pura passione, di quelli che salgono sull’Olimpo e ne scendono quando ne hanno abbastanza, semplicemente perché dobbiamo fare spazio anche agli altri. Il coraggioso guerriero che, invecchiato, appende il suo carbone, sazio di successitrasforma il telaio in una falce e si dedica a rustici passatempi, incoraggiando le generazioni future con saggio paternalismo. Capita che immaginiamo i campioni delle due ruote come uomini così soddisfatti di aver realizzato i propri sogni che poi tutto il resto non può che venire loro facile.

Pietro Sagan Era un fenomeno che tutti, prima o poi, amavano: anche nell’epoca di odiatoriè impossibile che perfino il più grande dei suoi detrattori non abbia mancato di applaudirlo in una carriera così costellata di vittorie.

L’inevitabilità delle belle speranze

Ma Pietro è sempre stato troppo piccolo per il ruolo del predestinato che diventa un idolo. La sua carriera non si è mai mossa in base alle aspettative di nessuno se non di lui stesso.e ci si chiede se a un certo punto non siano state le aspettative che lui stesso aveva su se stesso a venir meno. Da quando era diventato professionista, nel 2010, con l’allora Liquigas Doimo, aveva esordito al Tour Down Under, uscendone con qualche piazzamento, e poi conquistando i primi titoli sui giornali con quelle due vittorie conquistate con disarmante facilità alla successiva Parigi-Nizza: aveva dimostrato di avere le qualità di uno sprinter, lo slancio di un classicista, i watt di un cronometrista. Stavamo quindi uscendo dall’era del Bettini e del Ribellionee per fare piazza pulita dei classici rimasti Fagioli, Cancellara e Gilbertooltre ad un Freire che quell’anno avrebbe vinto un ultimo Sanremo (Sagan quell’anno non partecipò, e sicuramente qualcuno avrà pensato, forse anche scritto, che il ragazzo deve crescere, non serve a niente affrettare le cose, avrà tempo di vincerne tre o quattro).

Ha promesso, a qualcuno che aveva già quei numeri a vent’anni, di essere potenzialmente qualsiasi cosa, il classico “La prossima grande cosa”, anche se l’anno in cui il ragazzo ha dimostrato di poter battere i più forti è stato il 2012: già quarto posto a Sanremo, sbaragliando il gruppo che inseguiva il terzetto GerraniCancellaraNibali (anzi, Cancellara e i due passeggeri del treno, va detto) lo avevano consacrato come una delle ruote più veloci del gruppo (le prime vittorie significative alla Vuelta erano già arrivate l’anno prima). Le tre tappe vinte al Tour e la prima maglia verde assicurata con punteggi sensazionali aveva convinto i più che, una volta messosi in testa, Peter avrebbe potuto vincere su qualsiasi terreno, tanto che alcune vittorie in corse a tappe brevi (il Giro di Polonia nel 2011) avevano addirittura fatto pensare che prima o poi avrebbe potuto ambire a una classifica in qualche GT: facili i paragoni con la generazione di fenomeni che gli sarebbe succeduta, Dal Poel e Da Aert soprattutto, ma qui si aprirebbero altri discorsi, per ora basti dire che Sagan è stato certamente l’antesignano di questa tipologia di ciclisti. Infatti, anche nelle classiche del Nord aveva ottenuto i suoi primi piazzamenti (secondo a Gand, quinto alle Fiandre, terzo all’Amstel, secondo alle Strade Bianche di Moser) che facevano sembrare Sagan un potenziale candidato per un classico, ma quei risultati, col passare del tempo, sarebbero suonati sempre più come schiaffi piuttosto che come promesse.

Il più pesante di questi è arrivato in quel disastro di Sanremo del 2013: nemmeno la neve del Turchino e il freddo sembrano aver messo in difficoltà Peter, che, arrivato sul lungomare Italo Calvino, ha dovuto avere la meglio su un gruppo di altri sei avversari. Un rigore per lui, sbagliato non per colpa di Cancellara, Kristoff o Cavendish, ma di Gerald Ciolekuna prospettiva teutonica che, a differenza sua, non aveva mai corrisposto a quanto fatto vedere nelle categorie giovanili: anziché scegliere chi era il Barone Rampante e chi il Cavaliere Inesistente, sul lungomare Calvino il Castello dei destini incrociati.

Peter Sagan battuto da Gerald Ciolek alla Milano-Sanremo 2013 ©Gerald Ciolek via IG


Nuova stella del ciclismo?

Gli anni successivi furono la ripetizione di uno schema che faceva brontolare i suoi sostenitori: tentativi che regolarmente fallivano nelle classiche, compresi i Campionati del Mondo, dove la vittoria non arrivava quasi mai (si consolò con una Gand-Wevelgem e una Freccia del Brabante, quando batté un Filippo Gilbert in maglia iridata), la Roubaix saltata per due anni (sembra che per Amadio non fosse adatta), l’immancabile Giro della California e il Tour de France dove dominò la classifica a punti, che sembrava il vero obiettivo imprescindibile della stagione: il thread del forum Cicloweb che lo riguardava era intitolato da anni ormai: Peter Sagan, nuova stella del ciclismo?

È arrivato per togliere quel punto interrogativo La Coppa del Mondo di Richmondvinse con un numero di gran classe con cui si era staccato dalle ruote dei migliori velocisti che il panorama ciclistico potesse offrire (Gilbert, Van Avermaet, Valverde, Matthews…): fu quello il primo di tre titoli consecutivi da lui conquistati, una striscia che si concluse con un nulla di fatto al Mondiale di Innsbruck 2018, quello in cui Valverde trovò finalmente la maglia iridata succedendogli.

Con quel successo arrivarono i primi attestati di stima da parte della stampa generalista: dalla caricatura che allungava le mani sul sedere di una reginetta di bellezza sul podio delle Fiandre, ora Sagan faceva notizia per le sue prime parole dopo la vittoria iridata: «Vinci la Coppa del Mondo qui – questi – È qualcosa che mi dà molta motivazione e mi dà l’opportunità di parlare della difficile situazione che stiamo vivendo in Europa. Come popolo del mondo dobbiamo cambiareSpero che attraverso lo sport possiamo essere un esempio per rendere il mondo un posto migliore». Il presidente slovacco Andrej Kiska lo idolatrava: «Un guerriero. Questa è la parola giusta. Nonostante la sfortuna, si alza ogni giorno e va alla grande. Questo è il segreto del suo successo, non si arrende mai e dà sempre tutto quello che ha. Stai rendendo la nostra nazione orgogliosa di te, Peter». La ciliegina sulla torta è che Sagan si è sposato e alla sua immagine mediatica di atleta sfacciato e divertente, rinvigorita dai suoi video sul suo canale YouTube, si sono aggiunte prima quella del marito e poi quella del padre.

Dopo essersi trasferito alla Tinkoff nel 2015, era diventato l’atleta più vincente e pagato del movimento. Nel 2016, il Giro delle Fiandree nel 2018, con la maglia della Bora, Parigi-RoubaixPoi qualcosa è andato storto: l’anno dopo avrebbe vinto l’ultima maglia a punti del Tour e l’anno dopo ancora, il 2020, aveva portato con sé una sola vittoria al Giro, dopo un Tour da cui era uscito a mani vuote per la prima volta in sette anni. Il matrimonio era finito malissimo e con conseguenze legali, e da allora il Sagan che svettava e teneva banco nel gruppo dei velocisti non si è più visto, lasciando spazio a un corridore che dava sempre più l’impressione di stare semplicemente adempiendo ai suoi obblighiquasi felice che i nuovi fenomeni che esplodevano intorno a lui lo alleggerissero dalla pressione.

Tramonto e ritiro

Gli ultimi tre anni gli hanno regalato solo due campionati slovacchi (ne ha vinti otto in carriera, ai quali potremmo aggiungere i quattro “concessi” al fratello Juraj), una maglia ciclamino al Giro d’Italia 2021una tappa al Tour de Suisse 2022, (un totale di soli due successi con la maglia TotalEnergies), fino al suo penultimo anno da corridore, il 2023, il primo in cui la vittoria non è mai arrivataNel buen ritiro scelto per la sua ultima stagione, dedicata alla mountain bike, si è concesso solo due corse a tappe su strada con la maglia di Pierre Baguette, una in Ungheria e una nella natia Slovacchia: niente fuochi d’artificio e passerelle finali, ma un addio così sommesso rispetto ai grandi degli anni 2010 da suonare quasi triste.

Peter Sagan al Giro della Slovacchia 2024 ©Marek Beneš

Da Peter Sagan, nella lunga carriera che ha avuto in tour, avremmo Avrei voluto vedere molte più meraviglie di quelle che ci ha dato: tra tante aspettative soddisfatte ne troveremmo sempre altrettante disattese, ma d’altronde che senso ha essere il numero uno al mondo se non puoi permetterti, ad esempio, di correre una gara di MTB alle Olimpiadi di Rio senza alcuna certezza del risultato, quando nella gara su strada avresti vinto? Greg Van Avermaetil corridore che a quel tempo gareggiava con lui per la maggior parte delle gare per via delle caratteristiche simili. Se per soddisfare le aspettative ci vuole molto carattere, forse ce n’è bisogno altrettanto per deluderle e non trasformarle in richieste.

 
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