33 masse solari – .

I tre buchi neri della Via Lattea, scoperti da Gaia. Bh3, l’ultima scoperta, è il secondo più vicino ed è il buco nero stellare più massiccio mai scoperto nella nostra galassia. Crediti: ESA/Gaia/Dpac

Un buco nero di origine stellare, dormiente e massiccio. Tre caratteristiche che, insieme, non si erano mai viste prima nella nostra galassia. Tre caratteristiche che, prima dell’arrivo del satellite Gaia e della sua rivoluzionaria precisione astrometrica, era impensabile osservare insieme. In un articolo pubblicato oggi su Lettere di astronomia e astrofisicainvece la novità: un buco nero di 33 masse solari, dormiente, distante appena 1926 anni luce da noi. Buchi neri simili erano stati precedentemente rilevati solo attraverso l’emissione di onde gravitazionali durante la fusione tra coppie di buchi neri, e sempre in altre galassie.

Terzo in ordine di scoperta, per il satellite Gaia, ma primo in ordine di “peso”: membro di un sistema binario insieme a una vecchia stella di bassa metallicità appartenente all’alone della nostra galassia, Bh3 – ovvero buco nero 3, questo l’acronimo usato per indicarlo – si tratta infatti del buco nero di origine stellare (cioè che si è formato al termine della vita di una stella) più massiccio che sia stato scoperto finora nella Via Lattea. Quello da 70 masse solari che abbiamo riportato nel 2019, annunciato in un articolo su Naturaè stato infatti ridimensionato dagli studi successivi, tanto che le 33 masse solari di Bh3 lo collocano attualmente in cima al podio.

“Non mi sarei mai aspettato di trovare un buco nero così massiccio, così vicino a casa nostra”, dice Inaf medio Pasquale Panuzzo52 anni, originario di Reggio Calabria, ingegnere ricercatore del Cnrs all’Osservatorio di Parigi e autore principale dello studio pubblicato oggi su A&AL, al quale hanno preso parte anche numerosi ricercatori dell’INAF. «Solo Gaia Bh1 è più vicina. E chissà quanti altri “mostri” come questo si aggirano senza essere individuabili”.

Cominciamo quindi descrivendo le caratteristiche di questo oggetto unico e del sistema in cui vive. Innanzitutto gli astronomi lo definiscono “dormiente”, cioè un buco nero che non fornisce informazioni su sé stesso con emissioni scenografiche di radiazioni (come fanno, ad esempio, i buchi neri attivi al centro delle galassie). In altre parole, un buco nero che non guadagna massa da altri corpi celesti vicini. Perché, quando ciò accade, si forma normalmente un disco di accrescimento, dove la materia si riscalda per attrito e in cui le temperature raggiunte nelle parti più interne del disco (dell’ordine di milioni di gradi) e nella corona fanno sì che questo diventi luminoso nell’ultravioletto lontano e nei raggi X.

Quasi tutti i buchi neri di origine stellare scoperti finora sono di questo tipo, sono “attivi”: si trovano in un sistema binario in cui la stella compagna orbita abbastanza vicino al buco nero da dargli massa, oppure produce una forte stella vento che arriva fino all’oggetto scuro. Vengono poi scoperti attraverso osservazioni con telescopi per la visione dei raggi X, come i satelliti Xmm-Newton e Chandra.

Sopra, confronto tre buchi neri stellari della nostra galassia: Gaia Bh1, Cygnus. Sotto, nel riquadro di sinistra, il movimento orbitale nel cielo della stella (linea blu) e del buco nero (linea rossa) Bh3, confrontato con quello astrometrico misurazioni di Gaia (punti neri). La linea tratteggiata indica la posizione del periastro (cioè il punto dell’orbita dove il buco nero e la stella sono più vicini). Le cifre indicano la posizione della stella ogni 2 anni. Nel pannello di destra, l’evoluzione della velocità radiale della stella (linea blu) confrontata con le misurazioni ottenute con lo strumento RVS di Gaia (punti neri) e con tre spettrografi su telescopi terrestri (Uves al VLT dell’ESO, Hermes al telescopio Mercator (Las Palmas) e Sophie al telescopio da 1,95 metri dell’Observatoire de Haute Provence (clicca per ingrandire Crediti: collaborazione Gaia, Panuzzo et al (2024), A&A Letters

I buchi neri dormienti, tuttavia, possono essere scoperti attraverso il fenomeno dell’ microlente, quando il buco nero passa tra noi e una stella più distante, e di conseguenza vediamo aumentare la luminosità della stella lontana a causa della lente gravitazionale generata dal buco nero; oppure, se il buco nero ha una stella compagna, si possono trovare misurando l’orbita della compagna attorno al buco nero con la tecnica della velocità radiale, oppure misurandone l’astrometria come nel caso dei tre buchi neri scoperti da Gaia nel la nostra galassia.

Nel caso di Bh3, quindi, l’orbita della stella compagna attorno al centro di massa comune è di circa 11,6 anni. Vuol dire che, considerando i 5,5 anni di dati già elaborati dal satellite, Gaia è riuscita a mappare metà della sua orbita. Tempo sufficiente per distinguere l’oscillazione nella posizione e nel movimento della stella compagna.

“L’orbita della stella attorno a Bh3 è molto grande, 27 milliarcosecondi, rispetto alla precisione delle misurazioni astrometriche di Gaia (pochi decimi di milliarcosecondo)”, spiega Panuzzo. «Il fatto che sia stato trovato da Gaia e non da altri è dovuto innanzitutto al suo lunghissimo periodo orbitale, e in secondo luogo al fatto che si tratta di un oggetto raro, e quindi bisogna osservare tutto il cielo per avere la concreta possibilità di trovarlo.”

Dopo averlo osservato con Gaia, per confermarne la natura il sistema è stato osservato anche con diversi telescopi terrestri. Innanzitutto è stato cercato lo spettro nell’archivio dell’ESO e poi sono state effettuate le osservazioni seguito con lo spettrografo Hermes al telescopio Mercator a La Palma (Isole Canarie), e con lo spettrografo Sophie all’Observatoire Haute Provence in Francia. Le velocità radiali ottenute con questi osservatori a terra hanno confermato le caratteristiche orbitali del sistema.

Non solo, osservazioni fotometriche hanno permesso di stimare che l’età della stella compagna sia di circa 11 miliardi di anni, e quelle spettroscopiche (provenienti dallo spettrografo Uves del Vlt) di affermare che ha una bassa metallicità. In altre parole, la stella compagna di Bh3 è molto antica e si è formata in un ambiente povero di metalli, e quindi quasi incontaminato. Farebbe parte della cosiddetta Popolazione II delle stelle, tra le prime ad essersi formata in un universo in cui molti luoghi erano ancora “vergini”.

Questa caratteristica supporta una delle teorie più accreditate sulla formazione di buchi neri stellari così massicci.

“Buchi neri di questa massa sono stati osservati con onde gravitazionali in galassie esterne, ma i modelli di evoluzione stellare non possono spiegarli, se non assumendo che siano formati da stelle massicce e con bassa metallicità”, spiega Panuzzo. «Il nostro buco nero è quindi il primo scoperto nella nostra galassia equivalente ai buchi neri di massa elevata osservati con le onde gravitazionali. Inoltre, il fatto che abbia come compagna una stella a bassa metallicità ci dice che anch’esso era formato da una stella a bassa metallicita. Questa scoperta è quindi la prima conferma di quei modelli che spiegano i buchi neri di grande massa visti con le onde gravitazionali come dovuti a stelle di bassa metallicità”.

Pasquale Panuzzo, 52 anni, originario di Reggio Calabria, autore principale dell’articolo che descrive la scoperta di Bh3.

Infine una particolarità: questo sistema sembra non essere il nostro. Di quello della Via Lattea, ovviamente.

«Un punto importante che non abbiamo trattato nell’articolo, e che approfondiremo appena possibile, è l’origine di questo sistema», spiega Panuzzo. «Sappiamo che ha un’orbita retrograda nella nostra galassia (ruota cioè nella galassia in senso contrario alle stelle del disco galattico), e probabilmente appartiene ad un antico ammasso globulare ormai distrutto. Se questo fosse vero, giustificherebbe alcuni modelli che affermano che i sistemi binari buco nero-stella ad ampia orbita (come quelli trovati da Gaia, e come questo), sono prodotti in ammassi attraverso un processo di scambio dinamico, in cui il buco nero “ruba” una stella ad un altro sistema binario passandogli vicino”.

Una scoperta unica, quella di Bh3, che lascia però molti punti interrogativi. Tanto che queste osservazioni definiscono solo l’inizio dello studio di questo sistema.

«Evidentemente abbiamo qualcosa in mente seguito“, conclude Panuzzo, “ma preferisco che venga sottolineato che la scoperta è stata annunciata per consentire a tutta la comunità di fai i tuoi follow-up. Il consorzio Dpac (quello che produce i cataloghi delle osservazioni di Gaia, ed) è stato creato per fornire i dati di Gaia alla comunità, ed è quindi una missione di servizio alla comunità, che utilizzerà i dati per fare ricerca. Sono sicuro che lo stesso giorno della pubblicazione ci sarà chi proporrà osservazioni, ad esempio, con Chandra e Xmm-Newton nei raggi X, per vedere se la compagna Bh3 non produce un po’ di vento stellare “inghiottito” dal buco nero”.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video su Media Inaf TV:

 
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