Quale Berlinguer ama Schlein? – Startmag – .

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Difficile interpretare le intenzioni di Schlein nella decisione di riprodurre sulla tessera del PD il primissimo piano (in realtà gli occhi) del compianto Enrico Berlinguer. Se escludiamo l’intento celebrativo del compleanno (volendo si sarebbe potuto ricordare il centenario della morte di Matteotti) non resta che prendere atto che la segreteria del PD ha inteso lanciare un segnale al popolo del PD. Il che è normale, ma in questo caso lo è meno: quale segnale?

La carta ricorda Berlinguer che affermava di sentirsi “più sicuro sotto l’ombrello della NATO”? Potrebbe essere coerente con le posizioni di Schlein sulla guerra in Ucraina, ma poi va ribadito per evitare malintesi.

Perché c’era anche un Berlinguer che voleva tracciare un fosso rispetto alla sinistra riformista, costringendo la Cgil a rompere con gli altri sindacati sull’accordo di San Valentino del 1984 (e trascinandolo in un referendum postumo malamente perduto). Sul caso Moro ci fu l’intransigente Berlinguer, che contribuì (per ragioni mai del tutto chiarite) a condannarlo a morte. C’era il Berlinguer del compromesso storico, che postulava l’accordo tra Dc e Pci come intrinseco di una mitica “terza via” che escludeva comunque le forze politiche riformiste, Psi in primis. C’era Berlinguer che, durante la storica vertenza Fiat del 1980, chiese la “trasmissione in diretta” delle trattative, facendo così capire quanta poca fiducia avesse nei sindacati. Ma anche Berlinguer seppe farsi carico di una situazione difficile del Paese, sostenendo un governo di unità nazionale; per poi ritirarsi quando la situazione divenne veramente drammatica (rapimento Moro). C’era l’“austero” Berlinguer che, come un frate domenicano, condannava il consumismo e non voleva la televisione a colori. Infine il moralizzatore Berlinguer, che separò il PCI da una parte e gli altri (corrotti, ladri, ecc.) e aprì la strada alla guerra contro la politica e al massacro giudiziario che pose fine alla Prima Repubblica. , senza che il Paese abbia tratto il minimo miglioramento da tale moralismo.

Un personaggio multitasking, Berlinguer, capace di dire che la Rivoluzione d’Ottobre ha “esaurito la sua forza motrice” ma di conseguenza non disposto a scendere a patti con chi aveva ragione tra Gramsci e Turati, tra leninismo e socialdemocrazia, per non pensare nemmeno di aderire al partito Internazionale socialista e di inventare, in sostituzione, un pirotecnico “eurocomunismo”, un ripiego estetico e inconsistente, di cui oggi si ricorda appena ma che porta ancora oggi con sé le conseguenze culturali e ideologiche di un nodo che Berlinguer avrebbe potuto sciogliere 40 anni fa, introducendo inserendo a pieno titolo il PCI nel movimento socialista riformista, peraltro allora largamente egemonico in Europa: preferì restare vicino ai suoi vecchi compagni che “non avrebbero capito” e, anzi, fare guerra al PSI e a Craxi in il nome di un’agognata terza via, non tra capitalismo e socialismo ma addirittura tra leninismo e socialdemocrazia: un obiettivo mai nemmeno intravisto perché non esiste in natura.

Ma torniamo all’inizio: cosa significa il buon Enrico sulla tessera del Pd? A quale delle sfaccettature sopra menzionate corrisponde? A tutte risponderebbe un leader esperto del PCI (razza praticamente estinta) convinto della necessità che il Partito parli a culture e sensibilità diverse e sappia rappresentarle, ferma restando, ovviamente, l’egemonia culturale. .

Ma forse il compagno Schlein non è così accorto e calcolatore, per cui sospetto che, in tutta sincerità, il Berlinguer che Elly intende portare ad esempio sia quello dell’ultima manifestazione sopra menzionata: colui che persegue un obiettivo con nobiltà e dedizione fantastico, mai riscontrabile in natura, ma che soddisfa la molteplicità di pulsioni ideali, bisogni morali, diritti individuali che il “popolo del Pd” esprimerebbe. Un obiettivo così universalmente desiderabile da poterlo declinare a piacimento senza fare particolari calcoli con la realtà.

Non so quanto descriveresti in questo modo il percorso che hai in mente, ma al di là della terminologia, questo è ciò che rivelano le tue scelte. Il baricentro dell’azione politica del Pd è ora sui diritti individuali e civili, su un antifascismo un po’ da operetta, su una politica internazionale un po’ troppo silenziosa, sul feudalesimo della Rai, su uno spettacolo stucchevole di picche e di ripicche con il Governo per questioni della dimensione dell’unità Planck, dimenticate non appena esaurita la polemica. Sullo sfondo restano sfumati i problemi della politica economica, industriale e del lavoro, a volte evocati profeticamente ma concretamente delegati alla CGIL, le cui iniziative il Pd condivide sempre automaticamente, senza nemmeno la pretesa di un dibattito.

Ma per questo non era necessario scomodare Berlinguer: bastava l’arcobaleno o il volto della stessa Schlein. Se Berlinguer serviva a compiacere ciò che ancora resta del PCI nel Pd (che non a caso ha recuperato le vestigia di Bersani e D’Alema) bisognava fare i conti con chi nel Pd non era comunista in precedenza: lo stesso Berlinguer , in quanto inventore del Compromesso Storico, non ne sarebbe stato felice…

D’altronde “oportet ut scandalia eveniant”: i prossimi mesi ci diranno se Elly sarà riuscita a schleinizzare il Pd o se il Partito l’avrà fatta a pezzi.

E come sempre in Italia, i riformisti osserveranno dagli spalti…

 
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