di Franco
Bertini
Allora questa volta non abbiamo ascoltato ragioni, abbiamo resistito fino all’ultimo minuto, non ci siamo lasciati distrarre da nulla e siamo retrocessi in A2. La retrocessione è come uno stormo di avvoltoi che un giorno inizi a vedere volteggiare sempre più in basso, pensi sempre che la “carogna” da smembrare non puoi essere tu, con tutta la storia alle spalle, e invece tocca te. È fastidiosa, avvilente, anche un po’ umiliante, ma è una morte da cui si ritorna e da cui si può rinascere anche “più belli e più forti di prima” come cantava Petrolini. Durante l’Età dell’Oro, bibbia canonica di una storia che non prevede né eresie né abiurazioni né proroghe, ne ricordo due. Quella del 1963, che fece poi da prologo alla nascita della Vuelle, riunendo Victoria e Libertas, dando inizio a una serie di anni incredibili, eroici e indimenticabili a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Quella del 1973 da cui, a partire dal 1978, si accesero i primi fuochi della mitologia Scavolini che ci avrebbero portato sul tetto del mondo. Il passato va ricordato solo per evitare di riviverlo in modo sbagliato, il passato non ritorna mai se mai ci insegna, ma non possiamo non tenere conto che la globalizzazione comincia a mostrare crepe e che, arando il terreno per ricominciare a piantare il futuro, sarà bene fare più attenzione alle radici: ricordare Cinciarini che si tuffa in tribuna tra le braccia della sua squadra e ripetere che prima di una “franchising” siamo innanzitutto la squadra di una città come Pesaro che appena sente una palla rimbalzare sul parquet capisce che è una “cartolina di precetto” della società madre a chiamare. È vero, dobbiamo andare in A2, mea culpa, nostra culpa, giusto cordoglio, critica severa. Ma qui non si muore per retrocessione. Semmai ti prende a calci in culo come una bestia, sì, ed è da qui che bisogna ripartire.
