A Casteldaccia si muore di lavoro. E ricordiamo i bambini morti per mafia – .

A Casteldaccia si muore di lavoro. E ricordiamo i bambini morti per mafia – .
A Casteldaccia si muore di lavoro. E ricordiamo i bambini morti per mafia – .

Manifestazione davanti alla prefettura di Palermo dopo la tragedia di Casteldaccia

Coincidenze drammatiche e paralleli drammatici. Lunedì mattina alle 8.30 a Casteldaccia, in provincia di Palermo, quartiere dedicato a vittime innocenti delle mafie, 14 strade intitolate a 14 bambini uccisi dalla violenza mafiosa. Lunedì poco dopo le 14, sempre a Casteldaccia, sono morti cinque operai, soffocati in un pozzo fognario. Anche loro sono vittime innocenti ma del lavoro. Morti bianche, vengono definite, bianche come le bare dei bambini uccisi dalle mafie. Bambini e adulti, padri di altri bambini, come leggiamo nelle prime biografie apparse sui giornali. Bambini che avevano salutato i loro padri o che erano con loro, prima di essere colpiti, indifesi, dalla vigliacca guida mafiosa. Papà che avevano salutato i figli prima di andare al lavoro, quel lavoro non difeso adeguatamente, che poi li ha uccisi.

Morirono perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato? Perché sei finito nel mezzo di una sparatoria tra bande rivali? Perché sono sceso io per primo in quella cabina di pilotaggio satura di gas velenosi? Una morte quasi da lotteria. No. Quei bambini erano nel posto giusto. Giocavano, camminavano. Come tutti i bambini. Quei papà lavoravano, come tutti i papà fanno o vorrebbero fare.

Chi commette errori è sempre responsabile di quelle morti. Chi ha sparato, ha ucciso. Chi ha mandato quei papà a lavorare senza le tutele obbligatorie. Morire giocando, morire lavorando, morire vivendo. Perché il gioco e il lavoro fanno parte della vita, non della morte. Perché chi gioca e chi lavora, figli e padri, vanno difesi sempre e comunque. La nostra bella Costituzione lo proclama con forza e chiarezza. All’articolo 1 “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, e all’articolo 31 “La Repubblica tutela la maternità, l’infanzia e la gioventù, promuovendo le istituzioni all’uopo necessarie”.

Ha fatto bene l’amministrazione comunale di Casteldaccia a decidere, insieme alle scuole, di intitolare le vie del paese alle giovani vittime innocenti. Poiché la memoria è importante, è il primo antidoto affinché certi eventi non si ripetano. E non solo drammi di violenza mafiosa. Ma non è abbastanza. “Sono morti perché non eravamo abbastanza vivi”, ha detto il pubblico ministero Giancarlo Caselli dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una frase ripetuta più volte negli ultimi decenni. E non solo per ricordare i crimini di mafia, ma anche in occasione delle tante, troppe, morti sul lavoro, anche dei delitti.

Non eravamo abbastanza vivi per evitare altre piccole morti, le ultime nel 2014 furono Cocò Campolongo e Domenico Petruzzelli, entrambi di 3 anni. Non eravamo abbastanza vivi per evitare altre morti sul lavoro, ancora quotidiane e sempre più “omicidi multipli”, in gruppo, in squadra.

Vere e proprie stragi, un’altra parola che ci riporta alla violenza mafiosa. Siate più vivi, tutti, per impegnarci di più, a cominciare da chi ha responsabilità, da quelle locali a quelle regionali e nazionali, da quelle politiche a quelle imprenditoriali. Essere più vivi anche per chiedere giustizia. E anche in questo troviamo un amaro parallelo. Ben l’80 per cento delle famiglie delle vittime innocenti delle mafie non hanno avuto verità e giustizia, anche i padri e le madri delle piccole vittime ricordate a Casteldaccia. E purtroppo anche gran parte delle famiglie delle vittime del lavoro non hanno ricevuto giustizia, se non parziale, tardivamente. Perché il tempo passa, la memoria sbiadisce, l’attenzione si affievolisce e i processi, quando accadono, finiscono per un attimo sui giornali.

E così Calsteldaccia, prima ancora di qualsiasi decisione della magistratura, ha intitolato ai cinque morti sul lavoro una strada del suo nuovo quartiere, accanto a quelli intitolati alle piccole vittime della mafia. E forse anche un percorso verso le 9 vittime, tra cui due bambini, di un’altra strage, quella del 3 novembre 2018, quando il fiume Milica straripò, invadendo una casa sotto sette metri d’acqua. Casa affittata anche se da demolire perché abusiva. Vittime del dissesto idrogeologico, dell’abusivismo edilizio e della mancata gestione colposa del territorio (il sindaco è stato condannato un anno fa). Anche loro sono vittime innocenti, troppe vittime innocenti in questo Paese.

 
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