un incontro a Roma per gestire il processo diagnostico – Popular Science – .

un incontro a Roma per gestire il processo diagnostico – Popular Science – .
un incontro a Roma per gestire il processo diagnostico – Popular Science – .

Le immunodeficienze primarie (PID) sono patologie di origine genetica innata e rara che presentano alterazioni nel funzionamento del sistema immunitario causando infezioni e malattie come disturbi ematologici, danni irreversibili agli organi fino all’insorgenza di tumori.

Tra i principali sintomi che possono destare sospetti vi sono frequenti eventi infettivi, soprattutto a livello polmonare, forme allergiche complesse, anomalie dermatologiche e problemi neurologici. Si stima che in Italia la prevalenza sia di 5,1 casi ogni 100.000 abitanti per le circa 300 forme di Immunodeficienze Primitive, anche se questo dato è fortemente sottostimato a causa dei ritardi diagnostici che, in alcuni casi, arrivano fino a 4 e 5 anni. Ritardo che colpisce tra il 70 e il 90 per cento dei pazienti.

Un dato allarmante che ha gravi ricadute non solo sui pazienti ma anche sui caregiver e sul Servizio Sanitario Nazionale. Secondo uno studio di Fondazione Jeffrey Modeli pazienti con una diagnosi chiara pesano sul sistema sanitario circa 4 o 5 volte meno dei pazienti senza diagnosi.
“I costi complessivi per il trattamento delle immunodeficienze primarie – commenta Paolo Sciattella, Professore CEIS-EEHTA, Facoltà di Economia, Università di Roma, Tor Vergata – si aggirano intorno ai 13-15 milioni di euro l’anno. A questi vanno aggiunti i costi relativi a complicanze che richiedono cure ospedaliere. Un recente studio, condotto dall’EEHTA-CEIS dell’Università di Roma ‘Tor Vergata’, ha evidenziato che ogni anno vengono ricoverati più di 2.000 pazienti affetti da immunodeficienze primarie, generando una spesa media di circa 3.000 € per paziente e un totale di oltre € 6 milioni. È importante sottolineare che la necessità di ricovero non incide solo sulla spesa sanitaria, ma genera costi indiretti legati alla perdita di produttività del paziente e del caregiver. I risultati dello studio evidenziano l’importanza della diagnosi e della gestione precoce che, oltre a migliorare la sopravvivenza e la prognosi dei pazienti, consentono di ottimizzare l’utilizzo delle risorse sanitarie, generando risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale e per il sistema sociale inteso come sistema sanitario nazionale. Totale”.

Un paziente non correttamente diagnosticato o diagnosticato tardivamente, oltre a subire un peggioramento dello stato di salute, ha importanti ricadute sulla qualità della vita in termini di alti tassi di disabilità, frequenti astensioni dal lavoro, ripetuti ricoveri e visite mediche. Una situazione che peggiora se si considera che esistono notevoli differenze di gestione tra i centri di riferimento e il territorio, con conseguenti disomogeneità che peggiorano l’esito diagnostico.

Gestire la patologia e il percorso diagnostico. L’incontro a Roma
Promuovere l’interazione tra i diversi livelli di cura e favorire la collaborazione tra medici di famiglia, pediatri di libera scelta, cliniche periferiche e strutture ospedaliere specializzate diventa fondamentale per garantire una rapida cura del paziente a partire dalla diagnosi che, oggi, si avvale anche del “flusso” citometria”, una tecnologia innovativa che gioca un ruolo centrale nella diagnosi delle Immunodeficienze Primitive, grazie alla valutazione rapida delle diverse componenti del sistema immunitario.

E se la diagnostica gioca un ruolo centrale nella gestione e nella cura del paziente, altrettanto importante è la definizione di un percorso di allineamento e coinvolgimento di tutti gli attori del sistema. A questo proposito, un gruppo di esperti si è riunito oggi a Roma per un evento organizzato con il sostegno incondizionato di Becton Dickinson, con l’obiettivo di discutere e definire il percorso diagnostico che, in sintesi, può essere riassunto in 4 punti:

1) Il sospetto diagnostico deve essere affidato alle figure che visitano per prime il paziente, generalmente il pediatra di libera scelta o il medico di famiglia, per poter individuare i segnali di allarme e prescrivere esami di laboratorio.

2) Se viene riscontrato un primo sospetto, i pazienti devono essere inviati presso centri territoriali regionali, cliniche pediatriche o hub periferici, per effettuare un primo test di tipizzazione immunologica con citometria a flusso per ottenere un indirizzo diagnostico.

3) Una volta completata la diagnosi, il paziente deve essere indirizzato ai centri di riferimento specializzati (IPINet, AIEOP) e alle reti di riferimento europee per le malattie rare, dove potrà essere effettuata una tipizzazione immunologica approfondita con successiva tempestiva attivazione di una terapia adeguata e individuale.

4) A seguito della diagnosi e della definizione del trattamento deve essere attivato un programma di continuità terapeutica. Il paziente viene inviato presso i centri territoriali regionali dove verrà periodicamente effettuato il monitoraggio clinico, laboratoristico e strumentale in presenza o a distanza.

Il Gruppo di esperti ha poi sottolineato l’importanza di portare all’attenzione del Centro Nazionale Malattie Rare il modello di gestione del paziente nonché di creare maggiore consapevolezza sui nuovi mezzi diagnostici oggi disponibili all’interno delle comunità scientifiche, comprese quelle di riferimento nel settore. di Medicina Generale (FIMMG, SIMG, FIMP), grazie anche ad attività di formazione continua.

“Le Immunodeficienze Primitive sono malattie dei bambini e degli adulti, dovute a un difetto del sistema immunitario, spesso su base genetica – commenta Raffaele Badolato, Professore Ordinario di Pediatria e Direttore della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Brescia, Spedali Civili di Brescia – Queste le condizioni sono caratterizzate da infezioni gravi che portano a danni all’organismo e che in alcuni casi possono anche essere fatali. Oltre alle infezioni, le Immunodeficienze Primitive possono presentarsi anche come malattie autoimmuni o come manifestazioni allergiche gravi. Per diagnosticarli è necessario effettuare indagini diagnostiche immunologiche e talvolta genetiche. Le indagini di primo livello, che valutano i livelli plasmatici degli anticorpi e dei diversi tipi di globuli bianchi presenti nel sangue, possono essere prescritte da pediatri e medici di base, mentre per analisi immunologiche più approfondite indagini come la citometria a flusso e per esami generici indagini, è necessario, ai fini della corretta interpretazione, ricorrere a centri di terzo livello come quelli della rete AIEOP-Ipinet”.

Collaborazione tra Associazioni di pazienti e Istituzioni
Infine, la collaborazione tra Associazioni di pazienti e Istituzioni gioca un ruolo strategico, per favorire lo sviluppo di un piano di riferimento nazionale sulle Immunodeficienze Primitive che sia in grado di rispondere ai reali bisogni dei pazienti e dei caregiver attraverso quadri normativi più efficaci e attenti. alle esigenze del paziente e la formalizzazione e diffusione delle buone pratiche. A partire da una diagnosi precoce.

“Convivere con un’immunodeficienza primaria è vivere nell’attesa – commenta Filippo Cristoferi, Responsabile Relazioni Esterne – Relazioni Istituzionali Aip Odv (Associazione Immunodeficienze Primarie) – “L’attesa di una diagnosi personalizzata, di una terapia adeguata e tempestiva, di un percorso ‘integrale’ carico. Ad aspettarti con te ci sono la famiglia e le persone che si prendono cura di te, che ti offrono protezione e assistenza, hai bisogno degli altri, dipendi, cerchi compagnia. Viviamo un viaggio insieme. Difficile e avventuroso.”

È quindi necessario sviluppare all’interno del Piano Nazionale Malattie Rare una sezione dedicata alla “tipizzazione immunologica” per consentire ai pazienti affetti da Immunodeficienze Primitive di accedere tempestivamente a servizi diagnostici e terapeutici più efficaci ed omogenei a livello nazionale, ma resta di fondamentale importanza riuscire a definire meglio i bisogni a livello regionale per poter dare una risposta sempre migliore ai pazienti, alle loro famiglie e ai caregiver e, quindi, offrire loro una migliore qualità di vita.

 
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