Hamas accetta la proposta di cessate il fuoco, Rafah in bilico – .

Hamas accetta la proposta di cessate il fuoco, Rafah in bilico – .
Hamas accetta la proposta di cessate il fuoco, Rafah in bilico – .

L’ufficio politico di Hamas ha annunciato di aver accettato la proposta di cessate il fuoco di Egitto e Qatar. Israele però non l’ha accettata perché si tratta di una bozza “ammorbidita” da parte dell’Egitto, secondo la quale ci sarebbe un rilascio graduale degli ostaggi, da 20 a 33, in cambio di un cessate il fuoco temporaneo e della liberazione di alcuni prigionieri palestinesi. Seguirebbe quello che fonti della CNN chiamano “il ripristino di una calma sostenibile”, durante la quale gli ostaggi rimanenti verrebbero scambiati con altri prigionieri palestinesi.
Al momento in cui scriviamo le informazioni sono frammentarie e non pienamente confermate. La notizia arriva a poche ore dall’ordine israeliano di evacuare Rafah, la città meridionale della Striscia di Gaza che dall’inizio dell’offensiva militare ha accolto oltre un milione e mezzo di sfollati, ovvero più della metà dell’intera popolazione del paese. territorio palestinese occupato. A più di 100mila persone è stato detto – con volantini caduti dal cielo e comunicazioni via radio e social – di farlo evacuare la parte orientale di Rafah, indicando la città costiera di Al-Mawasi come “zona umanitaria”. E mentre tra gli sfollati monta la paura – dall’inizio della guerra contro Hamas molte delle cosiddette “aree sicure” indicate da Israele non sono state risparmiate dai bombardamenti – https://twitter.com/UNRWA/status/1787375629119168663?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1787375629119168663%7Ctwgr%5Ea6fe0897803b521746e48b55ba73be300cb093ff%7Ctwcon%5Es1_&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.aljazeera.com%2Fnews%2F2024%2F5%2F6%2Fisraeli-forces-call-on-palestinians-in-gazas-eastern-rafah-to-evacuate che altre organizzazioni per i diritti umani hanno temuto “uno scenario da incubo” per i civili palestinesi. In una situazione umanitaria al collasso, quasi 35mila persone, due terzi delle quali donne e bambini, sono state uccise dall’esercito israeliano in questi sette mesi di offensiva militare.
L’invasione di Rafah è stata atteso da qualche tempoannunciato dal governo di Benjamin Netanyahu come “indispensabile” per sradicare il governo di Hamas dalla Striscia di Gaza. Il primo ministro israeliano aveva anche annunciato che l’esercito avrebbe continuato le sue operazioni “con o senza accordo”, ma al momento non è noto se proseguirà con l’operazione prevista. Sul piano diplomatico, l’invasione di Rafah metterebbe a dura prova il paese rapporti con gli Stati Unitiche avevano chiesto rassicurazioni a Israele sulla protezione dei civili e che da settimane sono colpiti da uno dei più grandi movimenti di opinione pubblica degli ultimi cinquant’anni, con l’occupazione delle università da parte di studenti che chiedono di smettere di “finanziare il genocidio”.

Netanyahu tra pressioni esterne e interne?

Da una settimana Israele informa l’amministrazione Biden dei piani per evacuare i civili palestinesi da Rafah. Un’informazione che, però, non avrebbe convinto gli alleati in merito sostenibilità umanitaria dell’operazione a Rafah, ritenuta l’ultima roccaforte di Hamas. “In assenza di un tale piano [che salvaguardi le vite dei civili, ndr], non possiamo sostenere un’operazione militare a Rafah perché il danno che causerebbe sarebbe più che inaccettabile”, ha detto venerdì scorso il Segretario di Stato americano Antony Blinken al Forum di Sedona. Da mesi il presidente americano Joe Biden mette in guardia il suo alleato l’“errore” di un’operazione a Rafah, che avrebbe conseguenze umanitarie catastrofiche per i civili palestinesi e che potrebbe portare a cambiamenti nella politica estera che ha finora sostenuto Israele, il cui ultimo aiuto militare è stato approvato due settimane fa e consiste in 17 miliardi di dollari in armi. E se è difficile immaginare che un’operazione militare nella città meridionale della Striscia – la cui popolazione è aumentata di oltre il 500% a causa degli sfollamenti – possa svolgersi senza vittime civili, dal suo destino sembra dipendere anche la stabilità politica interna di Israele. . Il primo ministro Netanyahu è stato oggetto di forti pressioni da parte del suo governo di estrema destra. Innanzitutto dal ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, esponente del radicalismo messianico israeliano, per garantire che l’esercito entri a Rafah il prima possibile. A questo ha fatto eco il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che sostiene una “emigrazione volontaria” dei palestinesi da Gaza e ha affermato che un accordo di cessate il fuoco sarebbe “una sconfitta umiliante” e che il fallimento di Netanyahu nella lotta contro Hamas priverebbe il suo governo del diritto di esistere. Su posizioni più moderate, Benny Gantz, rivale del primo ministro ma partecipante al governo di unità nazionale, sostiene che la liberazione degli ostaggi è una priorità rispetto all’assalto di Rafah.

Un passo avanti?

Il destino di Rafah è quindi in bilico sul successo dei negoziati per un accordo, che Hamas avrebbe accettato e Israele rifiutato. Domenica scorsa la delegazione di Hamas ha lasciato la capitale egiziana dopo il rifiuto di Israele di accettare un accordo che prevedeva la liberazione di tutti gli ostaggi in cambio della fine delle ostilità. La mediazione di Egitto e Qatar ha poi portato a una bozza che sarebbe stata accettata dal leader politico di Hamas Ismail Haniyeh. Per mesi le due parti si sono trovate agli estremi opposti dello spettro conditio sine qua non: mentre il gruppo palestinese chiedeva il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia e la fine della guerra, Netanyahu ha sempre sostenuto che essa sarebbe continuata anche se si fosse trovato un accordo sugli ostaggi. Per Tel Aviv, infatti, nessun accordo che preveda il mantenimento di Hamas al potere può essere considerato accettabile. Il capo della CIA William Burns era presente a Doha per incontrare il primo ministro del Qatar e insistere affinché le parti continuino a negoziare. Secondo l’esercito israeliano sarebbero circa 130 gli ostaggi ancora nelle mani dei miliziani palestinesi. Di questi, l’esercito israeliano sostiene che 35 siano morti.

Israele contro Al Jazeera?

Il governo israeliano ha votato all’unanimità per chiuderlo redazione locale di Al-Jazeera, l’emittente del Qatar che riporta eventi da Israele e dai territori palestinesi occupati. La decisione – arrivata due giorni dopo la Giornata internazionale per la libertà di stampa – è stata https://twitter.com/AJEnglish/status/1787117586431299981?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1787117586431299981%7Ctwgr%5E8479e0341fdd87c73714f8fcb13d9e0b1bf15b5b%7Ctwcon%5Es1_&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.euronews.com%2F2024%2F05%2F05%2Fisrael-to-shut-down-al-jazeera-offices-after-rising-tensions da parte della stessa Al Jazeera “un atto criminale che viola i diritti umani e il diritto fondamentale all’informazione”. Come riportato dal Ministero israeliano delle Comunicazioni, le attrezzature di Al Jazeera negli uffici di Gerusalemme sono state confiscate e “le trasmissioni via cavo e via satellite sono state bloccate, così come l’accesso al sito web”. Al momento non è chiaro se la decisione sarà temporanea e se riguarderà tutte le sedi o solo quelle operanti in Israele e Gerusalemme Est. Lo è quello tra il governo israeliano e Al Jazeera un conflitto che va avanti da tempo e che si è intensificato dallo scorso 7 ottobre: ​​l’emittente è accusata di sostenere Hamas, mentre la sua redazione denuncia i crimini commessi dall’esercito israeliano dall’inizio dell’offensiva contro la Striscia di Gaza, dove è rimasto tra i pochi media che continuano a denunciare ciò che accade ormai da sette mesi. Lo scorso dicembre, 22 membri della famiglia di Moamen Al Sharafi, corrispondente di Al Jazeera a Gaza, sono stati uccisi in un raid israeliano.

Il commento

Da Mattia SerraCentro ISPI MENA

“Sono bastati due giorni per cambiare radicalmente lo scenario. Se sabato scorso il raggiungimento della tregua sembrava a molti una questione di ore, le evacuazioni ordinate recentemente dall’esercito israeliano segnano di fatto l’inizio dell’offensiva a Rafah. Non è la prima volta che la narrazione mediatica dei negoziati sembra discostarsi radicalmente dalla realtà. Come già accaduto altre volte negli ultimi mesi, su quell’ultimo miglio si è giocata la vera partita: la richiesta di cessate il fuoco permanente, avanzata da Hamas ma prevedibilmente respinta dal governo israeliano. Gli scenari che si prospettano oggi sono terribili e finora le denunce internazionali sembrano essere servite a poco”.

 
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