«Seneca, un filosofo che rivela ciò che ogni uomo dovrebbe essere sul piano etico e spirituale» – .

«Seneca, un filosofo che rivela ciò che ogni uomo dovrebbe essere sul piano etico e spirituale» – .
«Seneca, un filosofo che rivela ciò che ogni uomo dovrebbe essere sul piano etico e spirituale» – .

“Seneca e noi”: perché questo argomento? Perché Seneca si rivela come ciò che ogni uomo dovrebbe essere sul piano dello spirito e dei valori etici, tema trattato magistralmente dal professor Giuseppe Dossena in un intenso convegno organizzato dalla Società “Dante Alighieri”, presso la “Famiglia Piasinteina”. Il relatore ha sottolineato, oltre alla biografia del grande filosofo, la sua concezione di vita stoica basata sull’“impegno”, ma unita ad uno spirito “libero” ed eclettico: l’uomo può raggiungere la felicità terrena unendo insieme natura e ragione, ottenendo così distacco dalle passioni negative che lo renderebbero schiavo. I suoi pensieri restano validi per tutti i tempi e per tutti i luoghi, tale è la loro verità e idoneità alla costruzione “etico-spirituale” umana.

I suoi “aforismi” sono tanti: “l’importante non è il tempo che vivi, ma come vivi il tempo che hai”; “quando sei costretto a stare in mezzo alla folla, ritirati in te stesso più che puoi”; “l’universo è una realtà corale ma compatta”; “chi nega il beneficio ricevuto è ingrato; chi lo nasconde è ingrato; chi non la restituisce è più ingrato; chi lo dimentica è il più ingrato di tutti”; “chi ha poco non è povero, ma chi desidera di più è povero”; “devi cambiare idea, non cielo”; “è tipico di un’anima grande disprezzare la grandezza umana e preferire il giusto mezzo all’eccesso”; “il risultato della saggezza consiste in un costante stato di gioia: l’anima del saggio è simile al mondo sopralunare, dove regna sempre la serenità; i dissoluti trascorrono ogni notte tra false gioie, ma quella gioia autentica che accompagna gli dei e la loro emulazione non ha fine”; “la vera ricchezza è la capacità di godere di ciò che si ha”; “la felicità è dono di un’anima libera, elevata, intrepida e costante, lontana da paure e desideri, per la quale l’unico bene è l’onestà e l’unico male la disonestà, e tutto il resto non è altro a cui non aggiunge nulla un insieme spregevole di cose felicità”; “l’ira è il più temibile dei vizi, ed è ancora più temibile quando si ha il Potere”; «l’anima deve essere chiamata a rendere conto ogni giorno»; “la rabbia si calmerà se saprai che dovrai presentarti ogni giorno”; “ci offendiamo, ci uccidiamo, ma siamo solo un punto nel buio dell’immensità”.

Ecco, queste sono solo alcune delle innumerevoli affermazioni acute e veritiere sull’etica e sulla formazione dell’Uomo che Seneca ha lasciato in eredità a tutti noi, e che egli stesso ha coerentemente vissuto. È sulla “libertà interiore” che Seneca fonda la felicità, attuando la già citata sapiente unione tra natura e ragione, che permette all’Uomo di realizzare la sua tensione verso il bene, maturando pienamente. Le passioni ingannano, portano all’errore e all’infelicità: la società è marcia, ma l’uomo non deve separarsene, bensì cercare di migliorarla per quanto può. Seneca non gioca la sua libertà, ma anzi, senza rifuggire dalla filosofia stoica, si dichiara un esploratore “libero” nel suo spirito.

Nato a Cordoba, colonia romana fuori dal territorio italico, da una famiglia discendente da immigrati italici ivi trasferitisi nel II secolo a.C., ma poi trasferitisi a Roma per integrare più facilmente i figli nella vita socio-politica, Seneca era tormentato da problemi di asma , con attacchi talvolta disperati. Gli insegnamenti dei maestri esercitarono su di lui una profonda influenza, facendogli condurre una vita sempre coerente con i suoi principi e ideali interiorizzati. Fu così che Seneca sviluppò una posizione stoica (vivere la vita con impegno costante, costruttivo e sano), ma anche elementi epicurei (distacco del sapiens dalla gente comune per l’elevazione spirituale), cinici (libertà dalle passioni), platonici (idea spirituale della divinità), socratico (libertà raggiungibile attraverso la conoscenza) e aristotelico (importanza delle scienze). La saggezza in Seneca era la fonte del dominio delle passioni: non l’apatia e l’immunità dai sentimenti, ma il trionfo sulle passioni negative e l’esame di coscienza. La prosa filosofica di Seneca, sebbene elaborata e complessa, nei “dialoghi” sembra essere di linguaggio colloquiale. Autore di una miriade di “Dialoghi”, di “Trattati etico-politici”, di

Le “Epistole” strumento di crescita morale, delle “Tragedie” testimonianza della rinascita del teatro tragico latino, ed anche per esprimere esecrazione della tirannia, furono attive in molti campi, tra cui la vita pubblica e politica nel periodo degli imperatori Caligola, Claudio e Nerone. Trascorso in gioventù in Egitto per curare una malattia bronchiale, lì approfondì la conoscenza etnico-religiosa dell’altro e di una realtà politica diversa che considerava il Re un “dio”. Ritornato a Roma, Caligola, geloso della stima di cui Seneca godeva la sua attività forense e politica, tentò di eliminarlo nel 39 d.C., usando come pretesto il suo rispettoso concetto delle libertà civili. Ma Seneca venne graziato grazie all’intervento di un’amante di Caligola, la quale sosteneva che, a causa della sua cagionevole salute, sarebbe presto morto. Relegato poi, dopo Caligola, all’esilio in Corsica da Claudio con la (falsa) accusa di adulterio con la sorella di Caligola, fu poi richiamato a Roma dopo la “fucilazione” di Messalina, e scelto come tutore del figlio Nerone, per conto di sua madre Agrippina. Dopo i “primi cinque anni di buon governo” (54-59 dC) di Nerone in cui governò saggiamente sotto la tutela di Seneca, i rapporti si deteriorarono. E la congiura dei Pisoni contro Nerone diede loro il pretesto per accusare Seneca di tradimento, il che era falso. Ma ormai il filosofo si era guadagnato l’avversione dell’imperatore e della sua seconda moglie Poppea, così Nerone lo “invitò” a suicidarsi, “per morire “onorevolmente”, e non subire l’onta di una condanna. La morte del filosofo fu ispirata ai modi di Socrate, preceduta dal saluto ai suoi allievi e alla moglie Pompea Paolina che volevano suicidarsi con lui.

Verso la fine degli anni ’50 dC Seneca aveva incontrato Paolo di Tarso, e molti studiosi hanno visto negli ultimi scritti di Seneca un allineamento inconscio con la dottrina paolina, fino quasi ad ispirare le “Confessioni” di sant’Agostino.

Forse è esagerato, ma è comunque significativo che il pensiero di Seneca attiri non pochi studiosi alla ricerca dei valori dell’esistenza umana. In effetti non era molto distante dal messaggio cristiano. Ma era un pagano, espressione della sua epoca. Ma non si può negare che la sua visione fosse effettivamente simile al messaggio evangelico. Probabilmente, se fosse vissuto qualche secolo dopo, non sarebbe stato un… cattivo cristiano, soprattutto alla luce della sua “ricerca” interiore che sentiva “moderna” e di intima e sapiente lucidità. Fu anche satirico, come nella parodia sulla divinizzazione di Claudio decretata dal Senato romano alla morte dell’imperatore: la divinizzazione di una “zucca”, dopo che lo stesso Seneca aveva pronunciato un “elogio funebre” con ironia dello stesso cerchi Corte e opinione pubblica. Perché questo duplice atteggiamento? Probabilmente non si trattò di una bugia, ma solo di uno sfogo per l’ingiusto esilio subito, e per la mancanza di saggezza con cui Claudio aveva “governato”.

In conclusione: Seneca è stato un “Grande”, e forse alcuni critici lo accusano di falsità perché le verità di Seneca “hanno centrato il bersaglio”, vere espressioni di etica, e non di un’avida, e forse disonesta, voglia di “escalation”. . Insomma, un Seneca “scomodo”. Conferenza ampiamente esaustiva e competente di Giuseppe Dossena.

 
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