così tanti ricordi!” – .

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L’incontro con Sven Goran Eriksson.Lazio ha pubblicato sul proprio sito ufficiale un contenuto interamente dedicato all’allenatore del secondo scudetto biancoceleste, con tanto di inside una lunga intervista in cui lo svedese ha ripercorso tutta la sua carriera nella capitale e non solo. Di seguito le sue dichiarazioni.

LAZIO-SASSUOLO- “Il ritorno all’Olimpico è stato troppo bello. Erano tutti lì, con la gente che cantava. È stato fantastico, piangevo di felicità. Mi dà un’energia enorme sentire questo calore. Complimenti al pubblico, è stato davvero uno spettacolo”.

LA PRIMA VOLTA A ROMA – “Alla Roma andai per la prima volta nella stagione 83/84, quando c’erano i quarti di finale di Coppa Uefa tra Roma e Benfica. Mi sono detto che in futuro mi sarebbe piaciuto restare qui, in questa città e in questo stadio, l’Olimpico. E ho avuto la fortuna di allenare entrambe le squadre in questa bellissima città. È chiaro che la Lazio è stata incredibile, tre anni/tre anni e mezzo in cui è stato tutto un sogno. Anche io. Non sapevo di essere l’allenatore che ha vinto di più in assoluto a Roma. È davvero bellissimo. Mi chiamavano ‘perdente di successo’ perché spesso abbiamo dimostrato un ottimo calcio, ma alla fine non abbiamo fatto l’ultimo passo decisivo per vincere un titolo. Abbiamo vinto lo scudetto nel 2000, ma avremmo dovuto vincerlo anche l’anno prima”.

L’ARRIVO ALLA LAZIO – “Avevo firmato per un altro club in Inghilterra. Ritornavo a Genova, dove alloggiavo. Il giorno dopo mi chiama Cragnotti e mi dice: ‘Vieni’. Gli ho detto che avevo firmato per un’altra squadra, ma ho fatto di tutto per non onorare quel contratto e alla fine tutto si è risolto. Sapevo che la Lazio era forte, sapevo che la società era forte e sapevo anche che la Lazio poteva comprare anche qualche nuovo giocatore. Avrei fatto di tutto per andare alla Lazio. Per fortuna è andata così”.

ROBERTO MANCINI – “Nel 1984, il mio primo giorno alla Roma, Falcao mi disse di acquistare Roberto Mancini. Era giovane, giocava nella Sampdoria, ma non l’avevo mai visto giocare. Era speciale, un grande giocatore, un trequartista, elegante. In campo è stato anche allenatore, come Falcao. Si arrabbiava solo con l’arbitro e i compagni se non facevano il loro lavoro. Quando ho firmato per la Samp c’erano Mancini e Vialli. Prima di firmare il contratto, però, il presidente Mantovani mi disse: ‘Eriksson, se non vuole venire lo capisco. Devo vendere Vialli alla Juve per la suola’. Ma andai lo stesso, vincemmo una coppa e giocammo un bel calcio. Ma lì comprarono un giovane e poi lo vendettero. Quando ho avuto la possibilità di andare alla Lazio l’ho colta subito. E io ho detto a Mancini: ‘Dai, vieni con me’. Voleva un’altra sfida prima di diventare troppo vecchio.

IL RAPPORTO CON CRAGNOTTI – “Cragnotti non mi chiese di vincere lo scudetto il primo anno, ma io gli dissi: ‘Compra Mancini, Mihajlovic e Veron e vinciamo lo scudetto’. Quando vincemmo effettivamente lo scudetto, andai da Cragnotti e gli dissi: ‘Presidente, se lei comprasse questi tre il primo anno, avremmo vinto tre scudetti!’ Mi guardò e disse: ‘Sven, uno ne basta!’ (ride, ndr). Sono arrivato alla Lazio dove c’erano tanti bravi giocatori. È stato un piacere allenarli, ma a me è mancato qualcosa, cioè una determinazione incredibile per andare avanti e vincere e anche avere uno spogliatoio più positivo. C’erano giocatori della Lazio, che sono lì da tanto tempo, che mi dicevano: ‘Giochiamo bene, vinciamo, ma è così fino a Natale, dopo niente’. Ho detto loro che non potevamo pensare di parlare in quel modo. E ogni giorno era così. Il secondo anno andai da Cragnotti e gli dissi che eravamo troppo negativi. Avevamo bisogno di persone che ci rendessero più positivi, che ci sollevassero il morale ogni giorno. L’ultimo giocatore che abbiamo comprato con me in panchina è stato Attilio Lombardo, un’idea di Mancini. È venuto da me per dirmi di comprarlo. Gli ho detto che era uno che stava in panchina alla Sampdoria, ma lui mi ha detto di prenderlo non per quello che faceva in campo, ma per lo spogliatoio. perché è uno che sorride sempre. Cragnotti era d’accordo.

L’ACQUISTO DI VIERI – “Abbiamo preso Vieri dall’Atletico Madrid per una cifra enorme, penso che fosse il giocatore più costoso del mondo. Un anno dopo lo vendemmo per ancora più soldi all’Inter. La squadra cominciava ad essere forte: Conceicao, poi Mihajlovic, che era speciale. Abbiamo perso lo scudetto del ’99 a Firenze con un pareggio per 1-1. È stata una grande delusione, abbiamo dovuto aspettare un altro anno”.

LE PARTITE CON L’INTER – “È bello vincere, è facile sapere come comportarsi dopo una vittoria. Ma dopo le delusioni e le sconfitte bisogna mantenere la calma da allenatore: urlare o piangere non serve. Perdere è sempre difficile. La squadra all’inizio non aveva una mentalità vincente. Abbiamo vinto la prima Coppa Italia e poi abbiamo giocato la finale di Coppa Uefa contro l’Inter. Abbiamo festeggiato una settimana la Coppa Italia, poi quando siamo scesi in campo contro l’Inter non avevamo la testa giusta. Anni dopo vincemmo uno scudetto contro l’Inter di Lippi e prima della partita mi disse: ‘Sven, lasciami vincere. Hai già vinto tutto.” Gli ho risposto che avevamo giocato una partita importante una settimana prima, non sapevo come avrebbero reagito i giocatori. Ma in quel momento la Lazio era una squadra vincente. Non ho detto loro niente di particolare, hanno capito che la partita andava vinta e basta”.

DIEGO SIMEONE – “Ricordo tante cose di quel 14 maggio 2000, ma soprattutto di Diego Simeone. Voleva giocare, era ancora nello spogliatoio. Se qualcuno provasse a parlargli prima della partita, non risponderebbe. È rimasto così immobile per 45 minuti (ride, ndr)”.

SINISA MIHAJLOVIC – “Quando sono arrivato alla Sampdoria Mihajlovic era un attaccante sinistro. Ma non l’ho visto dribblare, non era veloce. L’ho messo come difensore e lui borbottava. Poi una volta, quando non erano tutti disponibili, l’ho messo al centro della difesa e da lì non si è più mosso. Veniva ad abbracciarmi dopo ogni gol perché la società gli aveva aumentato notevolmente lo stipendio. Era uno dei migliori difensori centrali al mondo.

LA SQUADRA E LE VITTORIE – “Se vedi quello che abbiamo fatto in questi anni, è difficile per qualsiasi squadra vincere 7 titoli in tre anni, io non ci sono mai riuscito in carriera. La squadra era così forte che tutti erano in nazionale. Ognuno di loro poteva dire di essere il più forte, far finta di giocare, ma non lo facevano. Non ho stretto un accordo, ma sembrava che fosse così. Hanno accettato la panchina, le sostituzioni, quello che abbiamo fatto in allenamento. Ho parlato con tutti, ho chiesto consigli e in tanti hanno voluto parlarne, ma lavorando insieme e con la stessa dedizione. Grazie a loro sono diventati così forti. Lo spogliatoio era meraviglioso, ogni tanto succedeva qualcosa, ma quasi mai”.

L’ADDIO E LA NAZIONALE INGLESE – “Ci ho pensato spesso, pensando di sbagliarmi, ma per noi svedesi il calcio inglese era sempre in televisione, sapevamo più dell’Inghilterra che del calcio svedese. Quando ti hanno proposto la Nazionale è stato difficile dire di no”.

UN GIOCO DA GIOCARE ANCORA – “Valencia era molto strana. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma non che avremmo perso così. Non so cosa sia successo, era tutto molto strano. Avevamo una rosa, ma quando il Valencia ha iniziato a giocare noi non c’eravamo. Ma magari rigiocarei quella contro la Fiorentina, avremmo vinto lo scudetto”.

UN’EMOZIONE DA RIVIVERE – “La prima Coppa Italia, il primo scudetto della mia Lazio. Volevamo iniziare con una vittoria e lo abbiamo fatto. La gioia, la felicità dei giocatori, della società e dei tifosi”.

I QUATTRO DERBY VINTI – “Abbiamo giocato molto bene quelle partite, ma Zeman ha fatto male. In fase offensiva ha proposto sempre gli stessi movimenti. Un attaccante dietro e un terzino o un centrocampista per entrare negli spazi. Ho detto ai miei terzini di non muoversi. Zeman è un grande uomo e un grande allenatore, ma non ha mai cambiato nulla, ha proposto sempre le stesse cose”.

IL RITORNO – “Tornare all’Olimpico è stato bellissimo, tutti cantavano il mio nome. La Lazio ha organizzato tutto in modo fantastico. Mando un grande abbraccio a tutti, li ringrazio per lo spettacolo dell’Olimpico e auguro loro in bocca al lupo per il prossimo campionato”.

GIANNI ELSSNER – “Mi invitò in radio e vinse la Lazio. Poi un’altra volta e la Lazio vinse ancora. Poi mi ha proposto un patto: finché avessimo vinto sarei dovuto andare lì. Gli ho detto che andava bene. Penso che avremmo vinto sei o sette partite di fila, alla fine non sapevamo di cosa parlare. Lei una volta mi ha detto di portare una canzone, ma io non ero capace, ho chiamato mia madre per ricordarmi una canzone di quando ero piccola e l’ho cantata, anche se male”.

TOP 11 DI LOYAL – “In porta scelgo Bento, i terzini Favalli e Nela, in difesa non voglio nemmeno la lista, vado con Nesta e Mihajlovic. Adesso a centrocampo diventa dura. Veron deve esserlo, ma prima voglio fare gli attaccanti: Nilsson e Baggio. A centrocampo metto Mancini. Sulle ali Gullit e Nedved non c’è molto da dire su di lui. Con questi giocatori gli avversari non vedono mai la palla”.

 
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