«Non sono morto, avrò più tempo per seguire la mia Lazio allo stadio. Guerra? Una cosa vera” – .

«Non sono morto, avrò più tempo per seguire la mia Lazio allo stadio. Guerra? Una cosa vera” – .
«Non sono morto, avrò più tempo per seguire la mia Lazio allo stadio. Guerra? Una cosa vera” – .

Giovanna Botteri sta andando in pensione. “È tutto un po’ strano, da oggi sarà diverso: tornerò in Italia, sicuramente è un grande cambiamento ma il cambiamento può essere anche positivo”. Lo dice all’Adnkronos la storica inviata Rai, che da oggi va in pensione ma l’adrenalina nella sua voce fa subito capire che è solo l’inizio di una fase ricca di progetti. La giornalista, inviata in tutto il mondo – da New York a Pechino a Parigi, dove si trovava attualmente – ci racconta con quale spirito si appresta ad entrare in questa nuova fase della vita. Svelando subito di non avere alcuna intenzione di rinunciare alla sua professione: “Credo che ci siano quelle due o tre cose che so fare, e penso che continuerò a farle”, sorride.

Va in pensione Giovanna Botteri, che fa la giornalista Rai: una carriera tra New York, Pechino e Parigi

«Sicuramente è un grande salto, vivo ormai da molti anni all’estero – spiega la giornalista, che molti ricordano tra l’altro anche in un Sanremo di qualche anno fa al fianco di Amadeus, dove si cimentò piacevolmente nel ruolo di co -conduttore- Ma la vita è così, è giusto anche prendere il posto dei giovani, passare il testimone, ci sono in giro giornalisti giovani molto bravi. È una transizione naturale”. Ci sarà “più tempo per le passioni”, spiega Botteri. Come quello – noto – di lei per la sua Lazio. “Ci sarà più tempo per andare allo stadio”, ride. E chiude con la solita ironia: «In fondo non è morta, sono appena andata in pensione».

GUERRA

«Ricordo il primo arrivo nei Balcani, in una casa bombardata dove erano rimasti uccisi tutti. Ho visto la borsa in un grande magazzino di Trieste dove sono stata anche io: la guerra è una cosa reale, che ti colpisce. Credo che il tentativo sia stato anche questo: far sentire a chi è a casa che quello che sta accadendo forse non è così lontano”. È l’impegno che ha guidato Giovanna Botteri nel suo percorso di giornalista, che l’ha vista a lungo inviata di guerra per il Tg3 e poi corrispondente della Rai, dagli Stati Uniti, dalla Cina e dal 2021 dalla Francia. Una carriera che l’ha resa “un’icona del servizio pubblico”, Usigrai applaude nel giorno in cui Botteri raggiunge l’età pensionabile. «Ma un mestiere come questo non si può abbandonare: questo lo sappiamo fare e continuiamo a farlo, come Il giocatore Jones di De André, ‘giocare ti tocca / per tutta la vita’. È una strada che forse si può percorrere anche in modo diverso», confessa al telefono all’Ansa da Parigi – da dove segue le manifestazioni nazionali anti-Rassemblement – ​​Botteri, che dopo le prime esperienze sulla carta stampata ha iniziato a collaborare con la Rai, entrando poi nella redazione estera del Tg3, quotidiano per il quale ha seguito come inviata speciale i principali avvenimenti internazionali, dalla rivoluzione in Romania alle guerre in Bosnia e Kosovo, dal G8 di Genova alla Occupazione americana in Iraq, vincendo il Premio Ilaria Alpi e il Premio Saint Vincent per i suoi servizi da Baghdad.

«Non sono sui social, in questo momento quello che ci tengo davvero è ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato in questi anni in Rai, mi sono stati vicini, mi hanno insegnato tante cose: colleghi, tecnici, operatori, redattori, dipendenti, coloro che prendono il vostro pezzi . Il bello di questa avventura – tiene a sottolineare il giornalista, nato a Trieste nel 1957 – è che è un’avventura umana, per le persone che incontri, per le storie che ascolti, per chi lavora per te e con te e che forse non puoi vedere. Se il mio lavoro è stato ben fatto è stato grazie a loro. Questa è la forte lezione di umiltà e rispetto che questi anni mi hanno insegnato ed è ciò che porto con me”. Essere inviata di guerra e poi corrispondente «significa incrociare la propria vita con quella degli altri: in qualche modo – si appassiona – ogni pezzo di strada è un ricordo delle persone con cui ho fatto il viaggio, di quelle che ho visto morire il fronte, in guerra. Come dico sempre, quello che riceviamo è tanto, probabilmente molto di più di quello che riusciamo a dare: vai, racconti e te ne vai, e le persone ti danno fiducia, la possibilità di raccontare, di spiegare una guerra, una tragedia, una pandemia, una rivoluzione, un cambiamento, attraversi un pezzettino della loro vita e lo porti agli altri”. Tra gli insegnamenti appresi, Botteri ricorda le sue prime esperienze da corrispondente di guerra: «Avevo mia figlia piccolissima, ero uno dei pochissimi reporter di guerra, forse l’unico con figli, e mi vergognavo di far vedere che ero paura: ecco, ho imparato che non bisogna vergognarsi di avere paura, perché la paura impone cautela e ti salva la vita. E poi nelle situazioni difficili ho imparato a distinguere le persone buone da quelle cattive, perché in certi momenti non ci sono compromessi né finzioni, anche nei rapporti con le persone c’è molta verità”. “Ho capito – prosegue – quanto sia la differenza essere donna, qualcosa che rivendico sempre: i miei occhi sono quelli di una donna, di una mamma, ho raccontato storie che forse non erano così evidenti, in un momento in cui si diceva poco di rifugiati, civili, famiglie, aspetti che oggi sarebbe impossibile eliminare dalla storia. E questo è un risultato raggiunto anche grazie a noi, che abbiamo portato la nostra sensibilità, la nostra attenzione, uno sguardo femminile non nel senso che appartenga ad una donna, ma che sia capace di raccontare qualcosa di diverso”. “Le passioni sono tutte mantenute, non si arrendono mai”, sorride. “Forse, visto che sono appassionato di nuoto, adesso farò più vasche.”

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Il Messaggero

 
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