Sud Sudan, Kenya, Svizzera e l’oro agli Europei di atletica leggera di Roma – .

Sud Sudan, Kenya, Svizzera e l’oro agli Europei di atletica leggera di Roma – .
Sud Sudan, Kenya, Svizzera e l’oro agli Europei di atletica leggera di Roma – .

Nel maggio 2019, un ventenne di nome Dominic Lokinyomo Lobalu, originario dell’attuale Sud Sudan, vince una corsa su strada di 10 chilometri organizzata dall’Unicef ​​a Ginevra, in Svizzera. Tre mesi dopo, Markus Hagmann, insegnante di San Gallo, ex campione nazionale dei 3.000 siepi, allenatore di una società di atletica locale, riceve una telefonata da un centro svizzero per rifugiati: “Ecco qualcuno che vuole correre, questo è tutto quello che può dire. Interesse?”. Lobalu, che gareggiava per l’Athlete Refugee Team, è fuggito dall’hotel e ha chiesto asilo. È scappato due volte: da chi lo perseguitava e da chi doveva salvarlo.

A nove anni perse i genitori nella brutale guerra civile che precedette l’indipendenza dal Sudan e fuggì oltre il vicino confine con il Kenya. Gareggia per loro ai Mondiali di Londra 2017: due anni dopo, insoddisfatto di come lo trattano, scappa anche lui.

Quindi l’allenatore Hagmann accetta di incontrarlo: “Mi ha fatto una pessima impressione, avevo davanti una persona che era emotivamente e fisicamente spaventata. Vuoto, stanco, mezzo morto. Ma ha iniziato a correre ed è diventata qualcun’altra. Elegante, morbido, leggero. È risorto, pieno di vita e di grazia”.

Sei mesi dopo, Dominic vince la sua prima gara locale. E’ rimasto sorpreso: il premio di 218 dollari è andato tutto a lui, non era abituato. Ottiene un permesso di soggiorno di breve durata. Nel giugno 2022, in una tappa della Diamond League, un atleta in maglia bianca vinse i 3.000 metri di Stoccolma, battendo il favorito Kiplimo. Lui è lo sconosciuto Lobalu, l’uomo senza patria. Trovano un’azienda che lo sponsorizza. Hagmann se ne occupa con professionalità: fisioterapista, esami, test clinici, la malnutrizione ha lasciato tracce.

Nel 2023 a Cannes, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, è stato presentato il documentario Il diritto alla corsaIl diritto di scappare, diretto dal regista Richard Bullock. È la storia complicata di Lobalu. Ora non appartiene più al Sud Sudan (“non posso rappresentare un Paese che mi ha tolto tutto e ha ucciso i miei genitori”), né al Refugee Team (per World Athletics, il governo internazionale dell’atletica, è un doppio disertore), viene dalla Svizzera e può indossare la maglietta grazie al suo permesso di soggiorno, ma senza passaporto. Non essendo cittadino comunitario, dovrà aspettare 10 anni per salire di grado e richiedere il domicilio. Non ci sono eccezioni, tranne che per il matrimonio. E non può godere dello status di rifugiato perché viene dal Kenya dove non correva rischio di persecuzione individuale.

Una specie di intrigo internazionale.

Il 2024 dell’uomo scappato due volte, però, è sensazionale: a Oslo il 20 maggio in Diamond League migliora di 16 secondi il record nazionale svizzero nei 5.000 metri, stabilito da Markus Ryffel, argento olimpico a Los Angeles’ 84. Non solo, agli Europei di Roma della scorsa settimana ha vinto due medaglie per la Svizzera, un bronzo nei cinquemila metri e un oro nei diecimila metri.

È il primo (ex) rifugiato a farlo. L’esempio che dà chi fugge da guerre e carestie non merita solo applausi per aver saputo resistere, ma aiuto concreto e rispetto. Il Comitato Olimpico Internazionale conferma che Lobalu non ha il diritto di rappresentare la Svizzera alle Olimpiadi di Parigi perché non ha il passaporto. Con ogni probabilità gareggerà per i “Rifugiati Atleti Olimpici”, una “nazione” che, secondo le Nazioni Unite, conta 120 milioni di individui nel mondo.

Perché ci sono corridori senza patria che hanno come confine il mondo intero.

Tiziano Conti

Foto di Wikipedia di Erik van Leeuwen – Zenfolio Erki

 
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