La tecnologia italiana vince, per il secondo anno consecutivo, la corsa più prestigiosa del mondo – .

La tecnologia italiana vince, per il secondo anno consecutivo, la corsa più prestigiosa del mondo – .
La tecnologia italiana vince, per il secondo anno consecutivo, la corsa più prestigiosa del mondo – .

Il Made in Italy vince Le Mans: è ancora Ferrari. La chiave, inutile dirlo, è la Motor Valley. Eccellenza assoluta in fatto di tecnologia e motori, tradizione e passione. Dopo un’edizione quanto mai spettacolare, con una ventina di vetture al via che, almeno sulla carta, avevano il pedigree giusto per puntare alla vittoria, nell’ultima mezz’ora erano almeno quattro i marchi automobilistici che sognavano ancora il trionfo. Globali e prestigiosi, tutti ricchi di storia e provenienti dalle tre aree geografiche che contano nella mappa mondiale del nuovo millennio: Europa, America e Asia. Eppure la 24 Ore è sempre stata un fortino “domestico”, dove i costruttori del vecchio continente non hanno mai lasciato spifferi da infilare a chi veniva da lontano.

Con solo due eccezioni: Ford, negli anni Sessanta, con uno storico poker consecutivo, e la Toyota, a cavallo degli anni Venti del nuovo millennio, con un’altrettanto perentoria cinque di fila. Il resto è una sfilata di esclusivi marchi continentali. Solo per citarne alcune in oltre un secolo di storia: Bentley, Alfa Romeo, Bugatti, Ferrari, Jaguar, Mercedes, Aston Martin, Porsche, Renault, Alpine, Peugeot, BMW, Audi. Ieri, nella 92esima edizione della maratona a quattro ruote, il colpo da maestro è stato messo a segno dalla Ferrari che, con diabolica abilità, ha portato a casa il suo 11° Trofeo. Soprattutto la seconda consecutiva dopo quella dell’anno scorso che segnò il ritorno ufficiale alla lotta per la vittoria assoluta dopo un periodo di siccità durato esattamente mezzo secolo. Una grande festa. Un’apoteosi.

La gara è stata spettacolare e un po’ originale, la sintesi di come il motorsport moderno abbia cambiato le corse automobilistiche sul sacrosanto altare della sicurezza. La battaglia è stata martoriata dalla pioggia che andava e veniva, trasformando l’asfalto in una palude camaleontica che a volte aveva l’energia di un ruscello di montagna. Quando le auto si scontrano è necessario intervenire eliminando i rischi e poi ripristinare le barriere per riprendere a guidare. Di conseguenza, la competizione si è svolta per un quarto in regime di safety car (non ce n’era una nei tempi eroici…) e le vetture hanno completato “appena” 311 giri.

Basti pensare che, solo nel 2010, vinse l’Audi diesel di giri ne ha registrati 397, un terzo in più rispetto a quest’anno, per un totale di 5.410,71 chilometri alla fantastica media oraria di 225,446 km/h. Per trovare un ritmo simile bisogna tornare indietro di oltre mezzo secolo quando, nel 1971, Helmut Marko (sì, il manager super talent scout della Red Bull) vinse sull’olandese Gijs van Lennep (all’epoca, per fare le cose più eroiche) , erano solo in due a correre) alla media di 222,304 km/h, percorrendo 5.335,313 km. Com’è possibile che oltre cinquant’anni fa le auto da corsa fossero più veloci di quelle attuali? Semplice, senza chicane, il tracciato di Le Mans era un grande ovale di oltre 13 km che doveva percorrere in un colpo solo il lungo rettilineo Hunaudières di oltre 6 km. Pieno.

La corrida era emozionante, sempre molto incerta. Alla fine Maranello ha trionfato, ma non ha mai fatto una passeggiata. Ai box anche l’uomo in più di Maranello, il “genio-inventore” Benedetto Vigna che, da quando ha preso in mano le redini del Cavallino, lo sta facendo correre più veloce che mai. Non si perde i momenti chiave, ma lascia sempre la scena ai suoi ragazzi. C’era anche l’anno scorso alla Sarthe, dietro le quinte e non sul palco. La battaglia si è svolta senza tregua, durando 86.400 secondi come ogni giorno. Diversi rivali si sono alternati, ognuno approfittando della situazione mutevole che preferiva.

Le Rosse, tra cui anche una terza 499P gialla ma identici, sono stati i più in gamba quando la pista era asciutta, quando si poteva sfruttare appieno il potenziale di un progetto innovativo e ambizioso. Veloce nei lunghi rettilinei, agile nelle chicane, stabilissimo nelle curve Porsche da affrontare con appoggio. Più difficile quando la situazione è cambiata e si è dovuto gestire la temperatura delle gomme. Ha vinto la numero 50, quella guidata da Fuoco-Molina-Nielsen, ma la trionfante numero 51 dello scorso anno è arrivata a soli 36 secondi dalla sorella dopo 24 ore di fuoco. Tra i due, la Toyota è salita sul podio dopo aver dominato per cinque anni prima del ritorno della Ferrari.

Gli ultimi giri sono stati da cardiopalma. Nielsen, che era in testa, è stato richiamato ai box per chiudere una porta rimasta aperta. Una sfortuna incredibile: fare una sosta in più sul filo del rasoio significava gettare al vento sogni di gloria. La Ferrari stava provando di tutto: fare il pieno e provare, è la soluzione. Naturalmente era necessario un piccolo aiuto per superare l’ora rimanente con il pieno di benzina. E l’aiuto c’è stato: diverse bandiere gialle hanno rallentato il ritmo e c’è stata perfino la pioggia a tenere spenti i motori. Quindi Nielsen ce l’ha fatta in soli 14 secondi. Ottima la presenza italiana: le Lamborghini finirono decima e tredicesima, nello stesso giro delle Peugeot, l’Isotta Fraschini, alla sua prima 24 Ore, finì dietro al secondo bolide di Sant’Agata.

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Il Messaggero

 
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