“Così aiutai i partigiani a raccogliere le armi sepolte dai tedeschi” – .

“Così aiutai i partigiani a raccogliere le armi sepolte dai tedeschi” – .
“Così aiutai i partigiani a raccogliere le armi sepolte dai tedeschi” – .

by Franco Veroli

“C’era un clima di grande preoccupazione e anche di grande incertezza. Ho un ricordo nitido dell’impegno di mio padre che mi portava sempre con sé, e di Antonio, mio ​​fratello maggiore, che si era arruolato nei partigiani”. Giuseppe Cerquetti, classe 1928, personaggio molto noto, essendo stato a lungo impegnato in politica come dirigente del PCI e del sindacato, è testimone del passaggio del fronte nella provincia di Macerata. Tra la fine del 1943 e la primavera del 1944, quando aveva sedici anni, visse le fasi drammatiche che seguirono l’8 settembre, dopo l’armistizio.

“Io sono un testimone indiretto, non ero a Macerata, anche se ora vivo in questa città. Sono originario di Civitanova e quando è passato il fronte ero a San Savino di Montecosaro”, si affretta a precisare. E poi racconta la storia. “Dove oggi c’è Villa Pini, a quel tempo c’era un maestoso palazzo della famiglia Emiliani di Montelupone e, soprattutto, tutt’intorno c’era un rigoglioso bosco. Ci andavo spesso a giocare, visto che poco distante c’era la casa di mio zio, fratello di mia madre. Un giorno, dopo lo sfondamento alleato a Cassino, mentre ero lì vidi arrivare da una parte un furgone di ufficiali tedeschi, mentre dall’altra arrivava un furgone di ufficiali italiani poi ognuno andò per la sua strada. Il distaccamento militare italiano che si trovava in quella zona, però, si era sciolto nella notte, ma aveva sepolto alcune armi. Sono tornato in quel bosco, come avevo fatto altre volte, ma ad esempio ad un certo punto mi sono sentito dire: non muoverti. Erano persone che poi ho supposto fossero partigiane, visto che si impossessavano delle armi. Mentre li aiutavo a raccoglierli, ho portato via, per nasconderli a mia volta, un fucile 91, un moschetto. , un mitragliatore e una mitragliatrice che ho portato nel pollaio di mia madre.”

Naturalmente, a seguire il giovane Giuseppe c’era soprattutto il fratello Antonio. «Successivamente fummo sfollati a San Savino, dove molti di noi avevano trovato rifugio nelle scuole, e dove operava un gruppo partigiano a cui si era aggregato mio fratello. Con l’avanzare degli Alleati, i tedeschi si ritiravano, ma dalle case che incontravano portavano via tutto, a cominciare dagli animali. Ed erano ancora molto pericolosi. Mi avevano dato l’incarico, in caso di loro arrivo, di mettere un fazzoletto bianco su un albero. Nonostante questo, ce la passammo male, tanto che una volta ci salvammo rifugiandoci in un fosso. Purtroppo, poco lontano da noi, c’era gente che fu catturata e trasferita in Germania. Solo pochi tornarono». Giuseppe racconta poi dei bombardamenti, dei colpi che i tedeschi sparavano da un carro armato posizionato sopra l’Asola, tra Montecosaro e Morrovalle. «Volevano far credere che ne avevano tanti, ma era sempre la stessa cosa», sorride.

Giuseppe ha un solo rammarico. “Non mi hanno mai lasciato entrare nella brigata partigiana caduta nell’87° settore adriatico. Ho scoperto solo dopo che era stato mio fratello a impormi questa decisione, sicuramente per proteggermi”. Ma, chiediamo a Giuseppe, in quel clima, con le bombe che piovevano dal cielo, non faceva paura caricare e nascondere le armi? “A quell’età non hai paura di niente”, conclude sornione.

 
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