Passano management e governi, ma la Rai resta (e muore) – .

Passano management e governi, ma la Rai resta (e muore) – .
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Ormai è un appuntamento quotidiano, una rubrica quotidiana: La Rai e i suoi imbarazzi, la Rai che perde pezzi. Il caso del dibattito sull’aborto esclusivamente maschile, l’addio di Amadeus e l’incapacità di trattenerlo, il cancellazione delle repliche estive di Report, lo stop all’intervento di Antonio Scurati del 25 aprile nella trasmissione “Chesarà…” di Serena Bortone. Solo i casi più recenti hanno messo in imbarazzo la Rai e di per sé potrebbero descrivere il quadro di un’azienda in stato comatoso, ostaggio di dettami politici scaturiti dalla volontà di obbedire a una logica di riorganizzazione del pensiero comune.

È sempre successo, dirà qualcuno, perché che la tv pubblica in Italia sia un esercizio di potere è un fatto di diritto, come ha ricordato Carlo Freccero in un’intervista a Fanpage.it. Dal 2015 la riforma Rai prevede che la società venga decisa dalla maggioranza e questa è stata stabilita da un governo di centrosinistra, quello di Renzi.

Basta politica in Rai, si potrebbe ripetere stancamente, ma il problema di quanto accade ormai da mesi non è solo l’ingerenza politica, ma il gesto imbarazzante, la sensazione che l’attuale dirigenza si muova come un elefante in una vetreria. Non c’è nulla di ciò che accade che non sia riconducibile alla narrazione di una Rai diretta dall’esterno. Anche se fossero frutto di una sana invenzione o di una originale ricostruzione – vedi le richieste tra il fantasioso e l’assurdo che la Rai avrebbe rivolto ad Amadeus nei mesi scorsi – le sorti dell’azienda sembrano essere decise da persone manipolate, ma soprattutto incapaci di gestire una macchina che mostra tutte le fattezze di una balena morente, divorata delle sue carni e destinata a perire.

L’esercizio di questa propaganda è il frutto di un preciso disegno ideologico rancoroso, pieno di un odio che vuole ristabilire chissà quali principi, rimettere chissà quale chiesa al centro di chissà quale villaggio e che non produce altro che dispetti. , contenuti incorporati, dall’ apparenza scadente anche se forse buoni, perchè appunto comandati. Oppure, al contrario, emergono programmi che vanno nella direzione opposta e sono quindi accompagnati dalla retorica dei nuovi potenziali esuli, quelli che la Rai è già pronta a eliminare.

L’auto marcia ma nulla sembra funzionare, ogni giorno c’è motivo di lamentarsi e la quantità di casi quotidiani di imbarazzo, che sfociano in ridicole sfuriate da parte del management, sono il segnale di un’azienda debole, quasi allo sbando. Pensiamo solo all’amministratore delegato Sergio che prontamente chiede provvedimenti disciplinari per il giornalista che involontariamente scherza in onda sulla figlia di Fiorello, ma non apre bocca se Bruno Vespa fa un approfondimento sul tema dell’aborto con 7 uomini in studio e senza nemmeno una donna. Ora il caso dell’ospite fallito di Scurati da Bortone, che già odora di censura e al quale arriva una risposta del direttore Corsini degna di un rebus, in cui non si capisce nulla di quanto accaduto, e che quindi, invece di spiegare, confonde anche Di più .

Un segnale emblematico di totale incompetenza nel gestire situazioni delicate come questa, o forse un sintomo di indifferenza verso i danni provocati. Perché la verità è che la Rai, salvo eccezioni che restano tali, è sempre stata e sempre sarà un oggetto ad uso e consumo di turnisti politici, il più delle volte disinteressati al patrimonio e alla storia del servizio pubblico. Passano gestioni e governi, ma la Rai resta (e muore). «La politica non rinuncerà mai alla Rai, è una rivoluzione impossibile», ha detto Fazio in un comunicato dopo l’uscita dall’azienda. Forse aveva ragione.

“Il futuro appartiene a chi è curioso professionalmente”, era la frase di un vecchio film che cerco di ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di poter descrivere la realtà che vediamo attraverso uno schermo, di qualsiasi dimensione esso sia. Renzo Arbore è il mio profeta.

 
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