Peggio della censura di Scurati sulla Rai? Autocensura di moda per piccoli privilegi. Lo spiega Antonio Mancinelli – MOW – .

Peggio della censura di Scurati sulla Rai? Autocensura di moda per piccoli privilegi. Lo spiega Antonio Mancinelli – MOW – .
Peggio della censura di Scurati sulla Rai? Autocensura di moda per piccoli privilegi. Lo spiega Antonio Mancinelli – MOW – .

Il grande esperto di moda Antonio Mancinelli in un post su Instagram ha detto la sua sulla vicenda “Scurati-censura”. Mancinelli, però, decide solo di partire da questo caso che ha fatto discutere tutta l’Italia per poi concentrarsi su un problema che accomuna molti settori della critica italiana (non solo quello della moda a cui fa riferimento): quello dell’autocensura . “Perché non proviamo a essere epurati invece di censurarci?” Ecco cosa ha scritto

ILIl critico e sommo esperto di moda Antonio Mancinelli con un post su Instagram ha detto la sua sul caso Antonio Scurati e la Rai. Mancinelli (ancora una volta) non si è limitato a commentare il fatto, ha preferito estrapolare il tema e proporre ai suoi followers una riflessione preziosa, molto più stratificata e complessa sul tema al centro delle polemiche di centro, destra e sinistra: censura. E sull’autocensura…

Sarebbe superfluo aggiungere qualcosa alle parole in difesa di Antonio Scurati censurate dalla Rai. Ciò che è accaduto, però, mi ha fatto pensare che tra le peggiori conseguenze di queste ritorsioni antidemocratiche vi sia il pericolo di una forma forse peggio del proibizionismo: l’autocensura, limitarsi per paura di non piacere abbastanza, controllare i propri pensieri per non incorrere nelle ire del brand che potrebbe rimuovere la pubblicità, eliminarci dalle sfilate, non pensare più al Natale o non pagare il viaggio alle collezioni cruise o pre-fall. Questa immagine di @1granary parla da sola.’

Da Scurati, letteratura e censura si passa subito all’indagine del rapporto soffocante che spesso esiste tra chi scrive, chi ‘critica’ e crea con il mondo della pubblicità, dei media e delle grandi aziende, in particolare Mancinelli si riferisce alle case di moda. Del resto l’immagine che ha postato parla chiaro: ‘Sono un critico di moda finché non ricevo un invito’.

‘Da un lato è vero che molto sta nella capacità del giornalista di mantenersi neutrale e che spesso ricevere regali è il modo più diretto per farsi un’idea della qualità del prodotto, dall’altro settori, doni di questo tipo potrebbero dar luogo ad accuse di corruzione. Mi spiace dirlo, ma vedo che nel giornalismo di moda è diventata la norma una prudenza non richiesta, un riflesso pavloviano perché poi ‘chissà cosa potrebbe succedere’. Cosa potrebbe succedere, andiamo? Verrà rimossa la pubblicità che dà tanto lavoro a intere redazioni? Forse.

CC’è da dire che l’autocensura è un problema che tocca molteplici categorie di giornalisti e si estende ben oltre l’ambito della moda. Pensiamo al settore dell’intrattenimento, della letteratura, dell’arte. In tutti questi piccoli mondi (soprattutto in Italia, quarantunesimo posto nel mondo per libertà di espressione) diciamo la verità, è sempre preferibile che un critico, un giornalista, si esprima a favore di ciò che ha visto o letto. Altrimenti chi vorrebbe di più la sua presenza?

Ma se ogni critico di moda si sentisse emancipato dai vincoli che gli impediscono di esprimere liberamente la propria opinione, tale minaccia scomparirebbe. L’asservimento volontario della stampa nei confronti delle maison di lusso sta nel timore di perdere privilegi che, alla fine, sono piccole cose: una borsa, un viaggio di lavoro, un posto in prima fila. La buona volontà preventiva sfocia così nel simbolico: il diabolico mix tra vita privata e professionale permette di fare le capriole con i colleghi chiamando lo stilista “amico”; lo scambio di favori e le recensioni positive lubrificano i rapporti con le case di moda anche se non sono “generose” con la rivista. Perché, invece di censurarci, non cerchiamo di essere epurati? Alcuni brand non mi invitano più: per questo mi sono dato ampie ragioni. Anche perché, come ha scritto il mai troppo lodato @suzymenkes, ‘se non ti invitano a una sfilata che è uno strumento di lavoro, non puoi scriverne’. Lasciamo ad altri il potere di togliere la nostra libertà.

Mancinelli conclude la sua analisi esortando giornalisti e critici di moda ad esprimersi, se necessario, contro o contro qualcosa, senza paura, senza limitare o domare il flusso naturale dei loro pensieri. C’è però una cosa da porsi, una domanda che va oltre il sistema moda, Sarebbe più facile essere sinceri quando sei già conosciuto e affermato? I giovani esordienti arrabbiati sono ancora popolari oppure rischierebbero, con “crudele” onestà, di darsi la zappa sui piedi?

 
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