We Are Lady Parts – Una seconda stagione molto precisa :-) – .

Parliamo con gioia (ma senza spoiler) della seconda stagione di una serie che non è ancora arrivata in Italia, e non sappiamo perché

Per puro caso, pochi giorni dopo la revisione dell’articolo Eric possiamo ritornare al discorso con cui abbiamo introdotto l’analisi di quella serie, cioè al tema della “quantità” di cose da inserire in una storia televisiva. Che poi, per dirla in altro modo, era una riflessione sulla misura, intesa come capacità di costruire una storia che non sia né troppo piccola né troppo, né vuota né affollata, né breve né lunga.

E se con Eric avevamo riscontrato qualche problema nel mantenimento e nell’organizzazione di un materiale narrativo che sembrava troppo corposo per soli sei episodi, con la seconda stagione di Siamo parti della signoraarrivato su Peacock tre anni dopo la prima, si può fare un discorso con premesse simili ma esito diverso: anche qui sei episodi (anche brevi), anche qui tanta roba da raccontare, ma allo stesso tempo una solidissima capacità tenere tutto insieme, alternando il particolare e il generale, senza tralasciare nulla ma senza provocare indigestioni.

Per il “che cos’è”. Siamo parti della signora“, meglio fare riferimento al vecchio articolo.
Per riassumere, basterà dire che se la prima stagione seguiva il cammino di alcune ragazze inglesi e soprattutto musulmane verso la creazione di una sorprendente band punk (dal nome, appunto, “Lady Parts”), nella seconda stagione il band esiste, viene da un’estate ricca di esibizioni divertenti ma non troppo redditizie, e vede i nostri protagonisti impegnati a cercare non solo di sfondare, ma anche di capire cosa significa concretamente avere successo, con quali parametri, con quali compromessi, con quali sacrifici.

Il punto di vista privilegiato continua ad essere quello di Amina, che nella prima stagione è stata la più timida del gruppo e colei che ha seguito il percorso di crescita più chiaro e completo verso una modalità espressiva che le ha permesso di uscire dal suo guscio. e affrontare con più coraggio le sfide del mondo.
Gli amici sono sempre gli stessi: Saira, leader e cantante del gruppo, e quella più determinata a raggiungere il successo; Momtaz, il manager che organizza le serate; Ayesha, la batterista lesbica e sempre incazzata; Bisma, moglie e madre di famiglia che cerca nel gruppo uno sbocco e un’espressione artistica.

Dato che Siamo parti della signora non è disponibile in Italia, e qualcuno potrebbe essere qui per pura curiosità, evitiamo di fare grossi spoiler.
Possiamo però dirci che Nida Manzoor, ideatrice ma anche regista della serie, intreccia tanti fili diversi, perché ci racconta le vicende complessive del gruppo (legate, come detto, al tentativo di diventare una band famosa e amata, proprio nel momento in cui uno stesso giovane e fan dei Lady Parts sembra capace di superarli), ma anche le storie personali dei singoli protagonisti, ognuno alle prese con i propri problemi (sì, proprio ho detto “problemi”, non sto per compiere 42 anni).

Queste vicende personali, come è ovvio per una serie molto femminile e femminista che sa mettere in scena personaggi al confine tra mondi anche molto distanti tra loro, toccano corde molto delicate per le protagoniste, che possono risuonare con forza nell’esperienza di spettatori e spettatori.
Amina si sente così interessata ad un ragazzo bianco e non musulmano, ma molto simile a lei dal punto di vista artistico, con inevitabili dubbi. Ayesha indossa il velo ma è anche lesbica, e l’idea di fare coming out con i suoi genitori è ancora più delicata che per altre ragazze di diversa estrazione. Bisma, che vive fortemente la sua identità di musulmana, ma anche quella di donna nera, si ritrova a dover gestire conflitti inaspettati tra queste anime, sentendosi obbligata a scegliere. E così via.

Soprattutto, le emozioni più forti provengono proprio dal loro percorso musicale, in cui la verve politica e sociale del gruppo rischia di scontrarsi con le istanze di un’industria che vuole normalizzare, anestetizzare, “mainstreamizzare”, sacrificando la specificità ma offrendo in cambio un’allettante promessa di fama e denaro.

Come accennato, quindi, Siamo parti della signora comprende moltissime cose, ma lo fa con grande precisione, raccontando solo ciò che realmente serve senza sprecare nulla, affinché tutti i percorsi personali sembrino pieni, riusciti, con un inizio e una fine, senza perdite di tempo ma senza nemmeno sembrare affrettati.

All’inizio, diciamo nel primo episodio, si ha forse l’impressione di qualche debolezza, o comunque di un inizio lento, ma si tratta più della mancanza dell’effetto sorpresa che la prima stagione ha portato con sé anche solo grazie a la comicità molto semplice, fisica, quasi slapstick dei protagonisti. Una commedia sempre uguale, e sempre efficace, ma inevitabilmente meno impattante della “prima volta”.

Man mano che gli episodi vanno avanti, però, Siamo parti della signora riesce presto a trovare una propria epopea, a creare percorsi di crescita, di senso e di riscatto che percepiamo come realmente attuali, degni di attenzione, e che ci conducono all’ultimo episodio non solo, o non tanto, con il desiderio di conoscere cosa accadrà, ma proprio con la necessità di tifare per queste ragazze e vederle trovare la chiave dei loro intricati problemi (questa è una partita dura…).

È quindi anche una stagione di cortocircuiti, soprattutto all’interno della comunità musulmana, in cui Nida Manzoor si muove con uno sguardo indagatore e un amore concreto per i suoi personaggi, creature assolutamente contemporanee, chiamate a trovare un difficile equilibrio con tradizioni secolari.

Ma se quello di Siamo parti della signora è spesso un grido di speranza e di rivendicazione, un grido di identità, e allo stesso tempo non diventa mai grossolano o pedante. La sua (auto)ironia lo tiene al riparo dal rischio di diventare una sobrietà o un manifesto politico, mantenendo i piedi ben saldi a terra e donando piena umanità alle sue protagoniste, che non sono leader di partito o leader rivoluzionari, ma soprattutto ragazze vere. , spesso indeciso, alle prese con i problemi quotidiani.

Ciò non vuol dire che non ci siano qualche inciampo o spensieratezza (per esempio: che tenerezza, che simpatia, che risate Amina prende male per il fatto di innamorarsi di un bianco non musulmano, ma se tu provate a pensare al contrario, cioè ad un personaggio bianco a cui non piace innamorarsi di un musulmano in quanto tale, cieli aperti), ma Siamo parti della signora ha una solidità, una certezza, una concezione così precisa dei suoi personaggi e delle sue dinamiche, che rende molto difficile non empatizzare con queste ragazze che percepiamo come così “reali” e meritevoli della nostra simpatia.

E’ davvero un peccato Siamo parti della signora non è disponibile nel nostro Paese, costringendo le persone di buona volontà a cercarlo altrove. Ovviamente si tratta di un prodotto molto piccolo e potenzialmente molto di nicchia, ma sapere che in altri paesi è facilmente reperibile su Prime Video dà un po’ fastidio. non solo perché è una “bella serie”, ma perché si parla sempre di inclusività e rappresentazione, di lotta per gli elfi neri o i droidi non binari, e poi quando c’è una serie che parla anche di quei temi, ma lo fa in modo modo fresco, intelligente e simpatico, la lasciamo oltre confine.

Vedremo cosa accadrà in futuro, ma intanto diciamo che anche la seconda stagione è ampiamente approvata.

PS Da pessimo ascoltatore di musica quale sono, finisco sempre per perdere la componente più prettamente audio delle serie TV, ma è anche importante sottolineare che la seconda stagione di Siamo parti della signorasenza essere una serie “musicale”, porta con sé alcuni brani originali di buon impatto e diverse cover molto accattivanti.
Buttali via…

 
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