Si può parlare di Marc Chagall quando si parla di Vladimir Nabokov? Proviamolo qui – .

DiRoberta Scorranese

Sia il pittore che lo scrittore coltivavano un’elaborata memoria della terra russa, la patria che furono costretti a lasciare. Ma in modo profondamente diverso

Nei capitoli di Parla, ricordo, l’autobiografia di Vladimir Nabokov pubblicata per la prima volta nel 1951, la gioventù in Russia è descritta come in tante miniature perfette. Il costoso manicotto di pelliccia della mamma, i fiocchi di neve, la vetrata da cui osservare il caleidoscopio di colori dell’outfit estivo. Persone, cose, aneddoti: tutto prende vita nei dettagli e sembra di navigare in un sogno realistico, che percepiamo come “più reale della vita reale”. Come in un dipinto di Marc Chagalldove animali volanti, violinisti sul tetto e figure femminili che si espandono nel cielo convivono in un’ambientazione fiabesca, ma sempre viva in “un altrove interiore” riconoscibile e comune a tutti, come ha osservato Silvia Vegetti Finzi. Per entrambi, per lo scrittore e per il pittore, esiste una sola lente d’ingrandimento: la distanza. La lontananza dalla terra russa, lasciata in gioventù e continuamente evocata, seppure in modi diversi: attraverso la fotografia limpida (e quindi lirica) dei ricordi di Nabokov e attraverso una trasfigurazione culturale – ereditata dalle radici ebraiche – nei dipinti di Chagall.

Eppure, i due protagonisti di questa storia hanno vissuto storie così diverse da risultare quasi opposte: Vladimir Nabokov nacque a Pietroburgo nel 1899 da una famiglia aristocratica che fu costretto a lasciare la Russia dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Marc Chagall, invece, nacque sotto il nome di Moishe Segal in un villaggio vicino a Vitebsk, in Bielorussia (allora parte dell’Impero russo), da famiglia ebrea osservante. Suo padre era un commerciante di aringhe e cercò di tenere la famiglia al sicuro dai pogrom scatenati dallo zar. Come quello che è realmente accaduto il 7 luglio 1877, giorno della nascita del futuro pittoretanto che Chagall scrive nella sua autobiografia: «Sono nato morto».

Ciò che li accomuna, paradossalmente, sarà il “passaporto”, cioè il passaporto Nansen, quello che la Società delle Nazioni iniziò a rilasciare ai profughi e ai rifugiati apolidi all’inizio degli anni Quaranta. Ma è curioso osservare un dettaglio: nel 1917, mentre la famiglia di Nabokov abbandonava San Pietroburgo (anzi Pietrogrado) e, dopo un periodo in Crimea, raggiungeva la Gran Bretagna dopo la sconfitta dell’Armata Bianca, nello stesso anno Chagall – già rientrato in Russia dalla Francia – si trasferì nella capitale perché era infiammato dalla Rivoluzione d’Ottobre. E ancora nel 1917 realizza uno dei suoi dipinti più famosi, ma anche più visionari e toccanti, La passeggiatadove sua moglie Bella Rosenfeld aleggia nell’aria trattenuta solo dalla stretta forte e amorevole della mano di Marc.

IL Il 1917, però, sarà anche uno spartiacque, perché da allora in un certo senso le strade dei due cominciarono a convergere nella loro lontananza dalla Russia. Fisica quella di Nabokov, che studiò a Cambridge per poi trasferirsi a Berlino e Parigi prima di abbandonare definitivamente l’Europa per gli Stati Uniti nel 1941. Morale quella di Chagall, che pur ricoprendo incarichi ufficiali nel governo rivoluzionario, si sentiva molto lontano dalle imposizioni estetiche dell’avanguardia russa. Il culmine arrivò quando, di ritorno da un viaggio d’affari, scoprì che l’accademia da lui fondata con l’idea di un laboratorio sperimentale libero era stata trasformata a sua insaputa in una “accademia suprematista”. Nel 1922, prima di lasciare Mosca per la Francia, Chagall scrive: «L’unica cosa che voglio è fare quadri e qualche altra cosa. Né la Russia imperiale né la Russia sovietica hanno bisogno di me. Sono incomprensibile per loro, un estraneo. […] E forse l’Europa mi amerà e, insieme a lei, la mia Russia mi amerà”. Il pittore si congederà dal suo paese con un dipinto, Il commerciante di bestiame (ora al Centre Pompidou di Parigi) che è già ricordo, nostalgiadi un mondo rurale completamente trasformato dai primi decenni del Novecento.

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Mentre Chagall lasciava la Russia per Parigi, Nabokov completò i suoi studi al Trinity College. E forse è proprio in questo periodo, all’inizio degli anni Venti, che i due iniziano a elaborare una diversa forma di memoria. Quella di Nabokov è chiara, tagliente e letteraria, quella di Chagall è fantasiosa, trasfigurata e dilatata in un sogno. Al centro c’è sempre la terra russa, quella “leggendaria” e pre-rivoluzionaria, che riaffiorerà (ora più chiaramente, ora più nascosta) nelle opere letterarie di Nabokov così come nei personaggi ricorrenti di Chagall. A Nabokov non ci sarà mai nostalgiama piuttosto un corpo a corpo con la memoriainciso anche nelle sue famose Lezioni di letteratura russa, dove si permette demolire Dostoevskij. Ma la distanza permette anche a Chagall di costruire una narrazione diversa, più complessa e affascinante, che passa attraverso la sua formazione chassidica.

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Questa tradizione, infatti, lo è fortemente caratterizzato da un misticismo quotidiano fatto di fiabe, visioni oniriche, ironia e paradossi. La stessa redenzione dal peccato passa attraverso l’amore e questo spiega il fatto che Chagall abbia attraversato due guerre, una rivoluzione, l’allontanamento dalla sua patria, la morte dell’amata Bella e tante altre avversità rimanendo sempre «un ragazzo che salta e sogna», come lo definì Giuliano Briganti. «La città sembra spaccarsi, come le corde di un violino, e tutti gli abitanti cominciano a camminare sopra la terra», scrive in Ma andiamola sua autobiografia. E questo spiega anche il rifiuto di abbracciare pienamente il surrealismo: Chagall non è un surrealista perché la sua dimensione onirica è quella del ricordo dell’infanzia. Non si presta ad elaborazioni culturali, come invece avvenne in Nabokov: nello scrittore la memoria diventa materia narrativa. Tanto che una volta dichiarò: «(alla Russia) non tornerò mai più, per il semplice motivo che tutta la Russia di cui ho bisogno è sempre qui con me: la letteratura, la lingua, la mia infanzia russa”.

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E così lo spiega sentimento di “allegra santità” che si respira in tutte le opere di Chagall: dai violinisti ai rabbini agli amanti. In ogni cosa il senso del sacro è temperato da una gioia sottile e persistente, una felicità misteriosa. Sono belle queste sue parole: «Nonostante tutti i problemi del nostro mondo, nel mio cuore non ho mai rinunciato all’amore nel quale sono cresciuto né alla speranza nell’amore. Nella vita, proprio come nella tavolozza di un artista, c’è un solo colore che dà senso alla vita e all’arte: il colore dell’amore”

26 aprile 2024

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