“Sono per la pace ma non dovrei vergognarmi di essere ebreo” – .

“Sono per la pace ma non dovrei vergognarmi di essere ebreo” – .
“Sono per la pace ma non dovrei vergognarmi di essere ebreo” – .

“Questa storia spiega perché dovrei potermi identificare come ebreo israeliano senza la vergogna che molti vogliono che io provi”. Queste le ultime parole della lettera pubblicata da Haaretz con cui Sharona Katan, moglie del chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood, racconta la storia della sua famiglia, “figli di ebrei egiziani e iracheni, nipote di un ebreo nato a Jaffa nel 1912”, dopo le polemiche che travolsero il marito per la sua collaborazione con l’artista Dudu Tassa. Greenwood ha eseguito uno spettacolo dal vivo a Tel Aviv il 26 maggio, il giorno dopo che Greenwood aveva partecipato alle proteste che chiedevano il rilascio degli ostaggi a Gaza e nuove elezioni in Israele, secondo il Posta di Gerusalemme. Alcuni attivisti e movimenti filo-palestinesi lo hanno accusato di voler ripulire la sua immagine sostenendo le proteste ma poi collaborando con l’artista israeliano. Greenwood ha risposto che continuerà il tour e la collaborazione, che va avanti dal 2008 e che nel 2023 ha portato alla pubblicazione di un album collaborativo intitolato Jarak Qaribak, una raccolta di canzoni d’amore arabe con artisti provenienti da tutto il Medio Oriente. Ma poi è stato Katan a voler scrivere al giornale israeliano Haaretz per parlare delle sue origini e spiegare le ragioni della sua famiglia.

La famiglia di Sharona Katan

«Tanto per fugare ogni dubbio: io sono per la pace. Scrivendo questo non cerco di giustificare nulla”, ha spiegato nelle prime righe. «Esattamente 83 anni fa, a Baghdad, le rivolte antiebraiche si trasformarono nel più grande pogrom della storia irachena del XX secolo», ha poi ricostruito la vicenda che toccò da vicino il padre, «per due giorni, il quartiere ebraico fu sistematicamente attaccato . L’assalto si chiamava Farhud. Anche in questo caso centinaia di persone sono state uccise o violentate: né l’età né il sesso sono stati risparmiati”. Lì viveva il padre: «Mio padre ha vissuto tutto questo. All’epoca aveva otto anni e faceva parte di una comunità ebraica di 120.000 persone che faceva parte della cultura irachena da almeno 2.000 anni. A Baghdad vivevano circa 90.000 ebrei, allora un terzo della popolazione della città. Oggi, 77 anni dopo, sembra che siano rimasti solo una manciata di ebrei in tutto l’Iraq. Oggi in Israele, invece, ci sono 600.000 ebrei di origine irachena”. Katan prosegue ricordando che «nello stesso periodo si sono verificati disordini antiebraici anche in altre parti del Medio Oriente, tra cui Yemen ed Egitto». E ha poi ricordato che il sentimento di odio verso gli ebrei è sempre stato diffuso nel resto del mondo: «Un desiderio infinito, già da molto prima della fondazione di Israele, di eliminare gli ebrei dal luogo in cui vivono – una fame che è sempre esistito in Medio Oriente così come in Europa. In Europa, dopo l’Olocausto, l’antisemitismo si è attenuato, ma anche lì l’antisemitismo sta ricominciando a crescere”.

«Non rinuncio a dichiararmi ebreo israeliano»

Katan spiega cosa ha significato per la sua famiglia, e poi per lei, avere un Paese che le permettesse di vivere la sua religione liberamente, senza doversi nascondere. «Mio padre è nato dhimmi (cittadino di seconda classe) in Iraq a causa della sua fede e io sono nato israeliano: quindi, al di là delle critiche che potrei muovere al comportamento di Israele come Stato, nulla potrà cambiare il fatto che la sua esistenza sia mi garantì il diritto di essere ebreo e libero”, ha aggiunto, ricordando la fuga del padre, “l’infanzia dei miei genitori è stata molto diversa. Quando mio padre fuggì dall’Iraq, attraversò il deserto da solo, senza averi, a soli 14 anni, ed entrò in Israele, con nient’altro che la speranza di essere libero dalle persecuzioni. Stava fuggendo da una vita in cui agli ebrei era vietato avere passaporti, veniva imposto il coprifuoco, le loro case e i loro beni venivano sequestrati e un ebreo veniva addirittura impiccato in una piazza cittadina.’ Katan si rivolge poi a tutte le vittime innocenti del conflitto: «Non posso tollerare l’uccisione di civili in questa guerra. Il mio pensiero è rivolto a tutte le vittime innocenti di questo lungo conflitto”. E si dice convinta che occorra trovare “nuove vie di dialogo” tra la comunità ebraica e le comunità arabe, ma è diffidente nei confronti di chi, per solidarizzare con il popolo palestinese, chiede di prendere le distanze dalle proprie origini , dal loro paese: “Vedo solo una demonizzazione di tutto ciò che è israeliano ed ebraico. Una campagna disgustosa per costringere tutti gli ebrei fuori Israele a proclamarsi anti-israeliani se vogliono rimanere accettabili agli occhi del pubblico”. E conclude: «È una prova di purezza politica che mi impone di rinunciare a questo piccolo Paese, più piccolo del Galles, che ci ha salvato. Non vedo come questo approccio possa portare a un tentativo di armonia”.

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