ecco come è cambiato lo spaccio di droga dopo il Covid – .

Come una multinazionale, la holding farmaceutica cambia passo. Conquista tutto il Sud America e chiude la filiera. Con il fentanyl diversifica e compensa il crollo del prezzo della cocaina

L’ultimo carico è stato scoperto sulla spiaggia vicino a Sydney il 31 marzo. Cinque pacchi sigillati con nastro adesivo erano stati portati a riva a Freshwater e Curl Curl. Li hanno aperti: erano panetti di cocaina. Tre giorni prima dello scorso Natale ne erano stati ritrovati altri 250. Sembravano le briciole di pane di Pollicino: dozzine di pacchi da un chilo, alcuni dei quali da 39, giacevano sulla battigia per 500 chilometri.

È l’ennesimo segnale di una tendenza apparsa chiara fin dall’inizio del 2024. C’è uno spartiacque che segna il nuovo business di un mercato ancora illegale ma paragonato, per estensione e volume di affari, a quello del petrolio . Coincide con il biennio 2019-2021, quando il mondo si è trovato per la prima volta di fronte ad un nuovo e misterioso virus chiamato Covid-19. L’economia mondiale ha subito la prima grave battuta d’arresto del nuovo secolo. La crisi ha colpito tutti i settori. Compreso il settore degli stupefacenti che si è riorganizzato: ha deciso che era giunto il momento di diversificare gli investimenti e cambiare l’intera mappa del narcotraffico.

Oggi il prezzo della coca sta crollando. I coltivatori di foglie preferiscono concentrarsi sul cacao. L’aumento del costo del carburante e la difficoltà nel reperire i solventi necessari alla conversione hanno premiato la grana degli impianti che hanno toccato i massimi a Wall Street. Ma si tratta solo di una scelta temporanea legata alle oscillazioni dei prezzi. I narcos sono una holding e ragionano come tutte le multinazionali. Bisogna tornare indietro di 54 anni per capire cosa sono diventati.

Era il 17 giugno 1970 quando l’allora presidente Richard Nixon convocò la stampa alla Casa Bianca e annunciò: “Il nemico numero uno degli Stati Uniti d’America è l’abuso di droga”. Niente era più come prima. La “guerra alla droga”, la più lunga combattuta dagli Usa, invece di frenare i consumi, ha creato le basi del traffico clandestino, ha sconvolto le economie dei paesi produttori, ha eliminato posti di lavoro e denaro a decine di migliaia di agricoltori, ha rinchiuso decine di paesi in una spirale di violenza che continua ancora oggi.

Un membro della Marina messicana fa la guardia mentre un carico di cocaina viene incenerito nella base navale di Yucalpeten, nello Yucatan

Nel 1970 i decessi per overdose erano uno ogni 100.000 abitanti. Alla fine del XX secolo il numero si era moltiplicato per sei e nel 2019 le vittime hanno superato le 20 ogni 100mila. Da allora è entrato nel mercato il fentanil, un concentrato 50 volte più forte dell’eroina che ti fa sballare e uccide immediatamente anche i tossicodipendenti più ostinati. Ma è più facile da trasportare, occupa meno spazio ed è molto più popolare. Una trappola costruita in laboratorio e piazzata sui mercati statunitense e canadese dalla ‘Ndrangheta, l’organizzazione criminale più potente del mondo. E’ l’unico ad avere una rete di trasporti e di spaccio anche nella lontana Australia. Fonti indipendenti concordano su un fatto: l’impatto con il fentanil arriva dopo che gli Stati Uniti hanno speso tra i 340 milioni e i mille miliardi di dollari per combattere la droga in tutto il mondo per mezzo secolo.

Con risultati deludenti. Il settore degli stupefacenti vanta un volume di guadagni impressionante. Nel 2009, secondo i dati delle principali agenzie antidroga, erano 84 miliardi. Una cifra molto vicina al fatturato di Bill Gates. Oggi altre fonti attendibili stimano un fatturato di quasi 350 miliardi di dollari. Eppure è noto che il 70% va ai trafficanti e solo l’1,2 agli agricoltori che coltivano le piante. Il Fondo monetario internazionale stima che nel 2022 negli Stati Uniti siano entrati in farmaci quasi 30 miliardi di dollari. Se fossero stati il ​​risultato di transazioni legali avrebbero rappresentato l’1,3% di tutte le importazioni. È la stessa somma che il governo italiano ha investito per fronteggiare la prima ondata di Covid.

L’attività continua e si espande. Lo dimostrano i dati raccolti in un dossier da InSight Crime, uno dei siti investigativi più informati sul traffico di droga e sulla criminalità transnazionale. Il dossier parte da una premessa: la produzione di cocaina ha ripreso a crescere per soddisfare la domanda incessante. Questo, insieme al blocco dei trasporti terrestri a causa del Covid, ha costretto i cartelli della droga a ridisegnare le rotte e conquistare nuovi territori.

Stanchi di trattare con i produttori e di pagare tasse di transito, i narcos messicani hanno deciso di spingersi a sud lungo il continente latinoamericano e impadronirsi dell’intera catena del business: dalla coltivazione, alla produzione, ai trasporti, fino allo spaccio di droga. . Non è stata un’operazione indolore. È stata una conquista, armi alla mano. “Ci sono due paesi che spiegano meglio di altri il cambiamento di questa strategia: Ecuador e Costa Rica”, si legge nel dossier. Per prima cosa basti ricordare il clamoroso assassinio in pieno giorno, davanti a tutti, del candidato alla presidenza Fernando Villavicencio il 9 agosto 2023 durante un comizio a Quito. Il suo omicidio ha segnato una svolta.

L’ondata di violenza è stata causata dai cartelli messicani. Vogliono conquistare la costa del Pacifico che dal Cile al Guatemala (con epicentro nel Chiapas, nel sud del Messico) è diventato il corridoio lungo il quale scorre il fiume di coca, eroina e fentanyl destinati ai mercati nordamericani. Per fare ciò hanno formato alleanze con alcuni gruppi locali a scapito di altri. L’operazione ruppe un equilibrio che durava da anni e innescò una serie di cambiamenti che videro stragi, ritorsioni e vendette. In questo conflitto è subito entrato il Tren de Aragua, un cartello venezuelano, che mira a dominare il traffico.

Un soldato colombiano sorveglia un laboratorio di cocaina nel comune di San Vicente, nel dipartimento di Antioquia orientale

Il secondo paese che segna la svolta è la Costa Rica. Considerato una vera e propria oasi, senza esercito come previsto dalla Costituzione, questo piccolo stato centroamericano ha visto il suo tasso di omicidi aumentare del 41% in un anno. La lotta furiosa tra i piccoli clan locali e le grandi organizzazioni criminali ha puntato anche in questo caso alla conquista di fette di territorio e in particolare dei porti che restano punto di ingresso dei precursori chimici, essenziali per la produzione di droghe sintetiche, in arrivo dalla Cina e hub di uscita per le spedizioni destinate agli USA e al Canada. Il fentanil ha creato una crisi diplomatica tra Cina, Messico e Stati Uniti come pochi altri. Nell’ultimo incontro di qualche giorno fa tra Biden e Xi Jinping si è parlato soprattutto di questo, più che di Ucraina e Taiwan.

Le rotte terrestri sono diventate troppo rischiose. I grandi gruppi criminali privilegiano quelli marittimi. Per trasportare i carichi in Europa ricorsero a sottomarini fatti in casa. Il controllo dei porti, a quel punto, divenne vitale nel business della droga. Così, nel giro di 12 mesi, si sono aperte due rotte che corrono da Sud a Nord lungo l’Atlantico e il Pacifico. Nell’Atlantico, lo snodo principale resta il porto di Santos, sulla costa di San Paolo. Grazie ai fiumi che collegano la Bolivia al Paraguay e proseguono verso Argentina e Uruguay, la coca attraversa la parte meridionale del Sud America e sbarca in Brasile. Da qui si dirama verso l’Africa e l’Europa oppure risale l’Atlantico, passa per il Venezuela e si concentra nei Caraibi che si sono rivelati ottimi punti di transito e stoccaggio. La Giamaica si è proposta come approdo principale, ma la serie di atolli che punteggiano quel tratto di mare offrono valide alternative lungo il percorso.

Sul versante opposto, nel Pacifico, i cartelli messicani hanno conquistato la città di Durán, in Ecuador, trasformandola in uno dei principali punti di carico della cocaina. Si trova a pochi chilometri da Guayaquil ed è difeso con le armi. Registra il maggior numero di omicidi: da 6 ogni 100mila abitanti nel 2016 si è passati a 44,5 nel 2023. Il Paese è strategico: confina con Perù e Colombia che restano i maggiori produttori di polvere bianca. Solo qui l’anno scorso ne furono sequestrate 200 tonnellate. Il percorso segue la costa fino al Messico, dove la droga viene trasferita su camion diretti al confine con gli Stati Uniti. L’altissimo tasso di omicidi (105 ogni 100mila abitanti) conferma l’importanza strategica del Paese nordamericano nel controllo del traffico di droga. I due cartelli egemonici (Jalisco Nueva Generación e Sinaloa) si contendono la fetta di territorio che si collega al confine statunitense. Chapo ha sempre sofferto di non aver avuto accesso al principale mercato mondiale: era costretto a pagare una tassa al cartello di Tijuana che bloccava il passaggio ad ogni carico. Solo sconfiggendo i suoi avversari e inventando tunnel sotterranei riuscì a dominare il mercato e a diventare il re mondiale della cocaina.

L’Europa resta la seconda destinazione del traffico. La richiesta di droghe sintetiche (soprattutto ketamina) è aumentata a scapito della cocaina che, con l’accumulo di produzione durante il Covid, aveva subito un calo di prezzo e i narcos faticavano a smaltirla. I tradizionali punti di ingresso restano Olanda, Belgio e Spagna. Ma la Norvegia, la Russia e perfino la Svezia stanno prendendo piede. Sono punti di passaggio per la distribuzione nel Vecchio Continente. La droga arriva anche dall’Africa, con gli isolotti antistanti la Guinea Conakry che fungono da centro di stoccaggio della merce proveniente dal Brasile. Anche qui operano a livello internazionale le due mafie emergenti: quella nigeriana e quella albanese. Quest’ultimo, soprattutto, è arrivato fino al Sud America. Grazie ai legami familiari dei clan che garantiscono il silenzio assoluto, si presenta come un concorrente della ‘Ndrangheta. Ha la stessa struttura organizzativa e la stessa determinazione. Le manca esperienza e una fitta rete di contatti. Dal porto di Gioia Tauro passa la maggior parte della coca destinata all’Europa: qui nel 2023 è avvenuto l’80,35 per cento dei sequestri mondiali. Anche se in realtà accade dieci volte di più.

Secondo l’ultimo Drug Report 2023, pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro il Crimine, sono 296 milioni le persone che consumano abitualmente droga nel mondo. Rappresentano il 5,8 della popolazione del pianeta. In dieci anni sono aumentati del 23 per cento. Prevale la cannabis con i suoi 219 milioni di consumatori; seguono 36 milioni che assumono anfetamine, 22 che sniffano coca cola e 20 milioni che amano sballarsi con ecstasy, metanfetamine e ketamina. È una realtà con cui bisogna fare i conti.

Oggi tutti gli Stati si interrogano sugli effetti di una guerra alla droga considerata perduta in partenza. Dopo l’Uruguay, anche la Colombia e anche il Messico puntano alla liberalizzazione della marijuana come hanno fatto Usa e Canada e, prima in Europa, la Germania a fine marzo. Ma il proibizionismo resiste. Non tanto per un problema morale ma economico e sociale. Legalizzare significa sottrarre il mercato alla criminalità, far crollare i prezzi e rendere più sicura una merce che con l’illegalità si trasforma in veleno e spazzatura. Ma significa anche mettere in strada milioni di persone che vivono del settore senza esserne consumatori. Le conseguenze sarebbero l’ordine pubblico. Come in tutti i settori produttivi, vigono le leggi del mercato. Il denaro guida le scelte dei governi. Quelli utilizzati per combattere il traffico di droga e quelli raccolti dal traffico di droga. Un tesoro miliardario a cui nessuno vuole rinunciare.

 
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