Muore Ismail Kadare, voce dell’Albania e della sua storia – Corriere.it – .

Muore Ismail Kadare, voce dell’Albania e della sua storia – Corriere.it – .
Muore Ismail Kadare, voce dell’Albania e della sua storia – Corriere.it – .

Sebbene provenisse dal Paese più chiuso, tiranneggiato e povero d’Europa, lo scrittore e poeta albanese IOsmail Kadare, scomparso all’età di 88 anni, Aveva conferito alle sue opere un respiro universale, che gli aveva procurato fama mondiale, con traduzioni in circa quaranta lingue.

Il brutale regime comunista del dittatore Enver Hoxha lo aveva tollerato, pur sottoponendolo a varie vessazioni. Nel 1990 si era poi trasferito in Francia e aveva ottenuto importanti riconoscimenti a livello internazionale. Kadare era senza dubbio una figura di spicco della letteratura europea. La forza evocativa della sua scrittura e la denuncia dell’oppressione totalitaria aveva portato i giurati ad assegnargli il Premio Man Booker nel 2005, il Premio Principe delle Asturie nel 2009 e il Premio Nonino nel 2018. Inoltre era stato selezionato più volte tra i candidati al Nobel..

Nato a Gjirokastër – la stessa città natale di Hoxha – il 28 gennaio 1936, Kadare si laureò in Storia e Filologia, poi si dedicò alla poesia. Aveva studiato letteratura per due anni all’Istituto Gorkij di Mosca, ma se ne andò quando il Cremlino ruppe con l’Albania, che si era schierata con la Cina, all’inizio degli anni Sessanta, nella disputa che divideva il movimento comunista internazionale. Il primo romanzo di Kadare risale al 1963, Il generale dell’esercito mortoda cui sarà stato tratto un film diretto da Luciano Tovoli con Marcello Mastroianni, Michel Piccoli e un giovanissimo Sergio Castellitto.

Accolto negativamente dalle autorità del Paese balcanico, il cui brutale ateismo di Stato era infastidito dal fatto che un prete fosse “descritto come un brav’uomo”, il libro racconta la storia di un generale e di un prete italiani che si recano in Albania per recuperare i corpi dei soldati caduti durante la seconda guerra mondiale. Fu tradotto in Italia solo nel 1982 da Longanesi, mentre in Francia aveva già ottenuto un notevole successo. L’anno prima però era uscito in Italia un altro romanzo di Kadare, sempre per la Longanesi, I tamburi della pioggia (1970), ambientato all’epoca delle guerre contro i dominatori turchi, che era stato accolto favorevolmente sul «Corriere della Sera» da Giorgio Manganelli, che lo aveva definito «un libro naturalmente arcaico», apprezzandolo la “narrazione accurata delle torture della guerra, degli orrori senza lacrime, delle rabbie sagge”.

Nel frattempo, i problemi di Kadare con il regime continuavano. Alcuni zelanti burocrati furono addirittura sorpresi che Hoxha permettesse che i suoi libri fossero pubblicati all’estero grazie al prestigio che lo scrittore aveva acquisito sulla scena internazionale. Un giorno Kadare fu convocato dallo stesso dittatore, che in un lungo sfogo lamentò che l’autore scriveva sempre “cose tristi” e lo esortò a esaltare i presunti successi dell’”eroico partito albanese”. Kadare però continuò per la sua strada e a un certo punto, tra censure e intimidazioni, si trovò a dover stilare un’umiliante autocritica.in cui ammetteva di aver “scritto cose contrarie al bene del popolo”, comportandosi come “un nemico del comunismo”. Un prezzo pagato alla retorica del regime per evitare di subire guai peggiori.

Ciò non bastò, però, a evitare la censura che il suo libro subì nel 1981. Il palazzo dei sogni (Longanesi, 1991). Era abbastanza chiaro a qualsiasi lettore che l’edificio in cui, nel romanzo, sono raccolti i sogni di tutti i sudditi dell’Impero Ottomano, richiamava il sistema poliziesco e burocratico da cui era oppressa la patria dell’autore. Per molti versi, come aveva acutamente osservato Claudio Magris, alcune opere di Kadare evocavano la distopia descritta da George Orwell in 1984, con la differenza che la narrazione dello scrittore albanese proveniva dall’interno del meccanismo totalitario perché era frutto di un’esperienza diretta. “Kadare”, ha scritto Magris a questo proposito, “è un po’ come se avesse vissuto davvero sotto lo sguardo del Grande Fratello”.

Negli anni ’80, dopo la morte di Hoxha, il regime comunista albanese aveva cominciato a mostrare i suoi limiti e Kadare sperava in una liberalizzazione. In ogni caso, si era depositato in Francia nel 1986, dove aveva potuto restare per qualche tempo grazie al suo prestigio internazionale, tre manoscritti di opere apertamente critiche nei confronti dell’establishment del suo paese. Kadare aveva poi intrattenuto una corrispondenza con il successore di Hoxha, Ramiz Alia, per capire se fosse animato da sincere intenzioni riformiste e aveva concluso che non lo era affatto. “Lo Stato albanese – avrebbe poi dichiarato lo scrittore in un’intervista radiofonica – prometteva tutto senza cercare soluzioni efficaci, ingannava continuamente i cittadini, ma in realtà nessuno aveva intenzione di fare alcunché”.

Così Kadare, disgustato da quella “totale ipocrisia”, nel 1990, poco prima della caduta del regime, aveva lasciato il suo Paese per la Francia, dove aveva potuto esprimere più liberamente la sua avversione al totalitarismo in opere di forte impatto come La figlia di Agamennone (Longanesi, 2007). Un altro tema ricorrente nelle opere di Kadare è il cosiddetto Kanun, un codice d’onore non scritto ma rigidamente rispettato, in parte ancora oggi, dalle popolazioni albanesi delle zone montuose: una legge arcaica e spesso crudele che gioca un ruolo fondamentale in romanzi come Chi ha riportato in vita Doruntina? (Longanesi, 1989) e Aprile spezzato (Guanda, 1993; Longanesi 2008).

Grande ammiratore dell’Alighieri, al quale dedicò l’importante saggio Dante o l’inevitabile (Fandango, 2008), Kadare ha ricordato come il Divina Commedia aveva ricevuto grande attenzione nei circoli letterari del suo Paese prostrato dal dispotismo di Hoxha. In quegli anni, aveva scritto, “l’inferno della realtà albanese” aveva indotto gli studiosi “a tradurre l’Inferno descritto dal Poeta nel modo più integrale, commovente e pio”.

Per La nave di Teseo, che sta ripubblicando tutti i suoi libri, il libro uscirà a ottobre Quando un dittatore chiama, il suo ultimo romanzo. Tradotto da Cettina Caliò, il volume è stato selezionato per l’International Booker Prize 2024 e racconta la storia di conversazione telefonica tra Joseph Stalin e il romanziere e poeta Boris Pasternak nel 1934, per discutere dell’arresto del poeta Osip Mandelstam.

 
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