Perché dovremmo tutti avere paura della guerra civile – .

Cosa fa Guerra civile negli spettatori durante la visione in sala va oltre il semplice stupore che la dimensione fittizia di qualunque film intelligente o graffiante potrebbe suscitare in altre situazioni. L’esperienza cinematografica costruita da Alex Garland si spoglia subito di ogni spettacolarizzazione in questo senso, e lavora a stretto contatto con alcuni dettagli specifici che traumatizzano per la loro vicinanza alla realtà che tutti conosciamo, con cui interagiamo ogni giorno e di cui leggiamo sui giornali. Tutto scorre, quindi, sul grande schermo, ammantandosi di una pesantezza estremamente familiare all’occhio di chi guarda e alla propria coscienza e conoscenza sociale, politica e storica, trovando diretta evidenza nel vivere quotidiano, nella lettura e soprattutto conoscere le persone al cinema. (per maggiori dettagli, consulta la nostra recensione di Civil War).

È esattamente in questa natura creativo e inquietantemente realistico che la Guerra Civile si posiziona senza muoversi di un centimetro, giocando con ciò che sappiamo e soprattutto con ciò che abbiamo visto, nella rappresentazione di una situazione distopica e allo stesso tempo convincente. Da tutto questo, quel dolore, quel tormento interiore che non ti lascia mai veramente in pace dall’inizio alla fine della storia, per poi attaccarti anche dopo che sei uscito dal cinema, scavando a fondo in alcuni punti interrogativi inevitabilmente sospesi e ancorato ad una consapevolezza personale riscontrabile in alcuni fatti di cronaca reali. La mente torna all’assalto a Capitol Hill, ma anche a tutte le ingiustizie e le battaglie civili che la storia dell’umanità non ha mai nascosto. Nel sangue e nel “fratricidio” ecco il la testimonianza giornalistica diventa l’unica certezza e il monito fondamentale (se siete interessati a film dall’impronta storica e politica più chiara, vi rimandiamo alla nostra recensione di Rustin).

Un incubo impossibile da ignorare

Perché la guerra civile è così spaventosa? Semplice, perché racconta di un futuro che non sembra troppo inverosimile.

Nella brutale violenza di una guerra civile all’interno della stessa America, emergono simbolismi e momenti che lasciano il segno proprio alla luce di quanto è accaduto e sta accadendo in Occidente, nel “mondo” più vicino alla nostra vita, e in quell’insieme di echi culturali e storici che non potremo mai lasciarci del tutto alle spalle. Nel percorso che la stessa America ha intrapreso per affermarsi come tale, prendono forma una serie di disuguaglianze interne difficili da ignorare, soprattutto in una situazione attuale in cui tutto sembra essere costantemente in bilico e appeso a un filo invisibile, temporaneo e filo tagliente. Il vero terrore insito in Civil War deriva proprio dalla plausibilità del suo materiale narrativo, da quella particolare vocina che continua a tormentarti durante e dopo la visione al cinema, alimentando dubbi e domande che sembrano trovare conferma in un presente dal sapore amaro e ambiguo in questo senso. Negli eccessi distaccati e cruenti di un contesto dispotico e di pura fantasia, Alex Garland riesce a infrangere le certezze dei suoi stessi spettatori ispirando un’attesa angosciosa che cresce, forse puntando a diventare una certezza inconscia.

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La guerra civile è un vero incubo a occhi aperti soprattutto per noi, per gli spettatori che riescono a vedere nelle sue dinamiche narrative una verità di fondo che strugge il cuore e si collega direttamente alle esperienze specifiche di un mondo che forse, in fondo, non è nemmeno troppo distante da quanto accade nella finzione filmica. di Alex Garland.

Contrariamente però a quanto ci si aspetterebbe, almeno in base alle reazioni della critica specializzata e del pubblico al cinema, Civil War non vuole essere un film satirico o specificamente politico. È proprio la struttura stessa del film, anche in termini creativi, a tradire una visione registica che diventa testimonianza diretta di una finzione dirompente ma sempre immaginaria. Nella costruzione della narrazione irreale, un pugno di protagonisti subentra per esaltarne l’essenza, alternando continuamente un approccio ampio e personale agli eventi in corso, in un’intimità capace di diventare trasposizione oggettiva di ciò che accade passando attraverso la lente di un giornalismo forte con una voce che va oltre le cose.

Che tipo di americano sei?

Tutta l’azione nel cuore di Guerra civilenon a caso, è affidato a un gruppo di fotoreporter con un unico obiettivo, quello di testimoniare la dinamica di una ferita profonda all’interno di una nazione che ha perso totalmente il controllo di se stesso. Nella semplicità di un gesto come quello di fotografare un attimo fuggente, risiede una delle più grandi riflessioni alla base del film, quella dell’importanza di testimoniare qualcosa, di imprimere per sempre un evento, uno spaccato del tempo e della propria propria epoca per non dimenticare la sua momentanea crudeltà e quella brutalità che i libri di storia scolastica tendono ad addolcire o a smorzare.

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Dal coraggio di una cronaca che non si ferma davanti a nulla, anche gettandosi nel cuore di un conflitto mortale, si sviluppa la voce di un lungometraggio che sfrutta direttamente il viaggio dei suoi protagonisti e le esperienze da loro vissute, per trasformare la violenza momentanea in testimonianza storicaponendo sulle spalle di questi giornalisti il ​​compito di denunciare qualcosa con cui non è facile entrare in contatto diretto, anche laddove ci si interfaccia con elementi che non hanno più nulla di umano, bagnati di sangue e di un distacco emotivo senza giustificazione, o anche di crudeltà senza limiti (indelebili, in questo senso, sono la sequenza ambientata in un distributore di benzina/autolavaggio e quella delle fosse comuni con Jesse Plemons).

La ricerca della verità ad ogni costo è il carburante principale di tutta Civil War. Costruendo attorno a tale dinamica, il film di Alex Garland riscopre e mette in risalto tutta l’importanza di un giornalismo che non ha nulla a che vedere con quello attuale, con quello sul web fatto di notizie riportate dai secondi, e dei più disparati gossip pronunciati da chi chissà dove da chissà chi, ritrovando, nelle intenzioni dei suoi stessi protagonisti e nella loro tenacia, le ragioni profonde di un mestiere che deve allargare lo sguardo dei suoi lettori, ponendosi come messaggero, anche scomodo ma pur sempre diretto, di quanto sta accadendo nel mondo. In una lettura del genere, ovviamente, anche l’America della Guerra Civile diventa un medium per trasmettere una serie di approcci e ragionamenti che possono facilmente guardare altrove.

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Passando attraverso l’obiettivo della fotocamera, la prospettiva espressiva dell’ Guerra civile applica, sulla finzione in corso, un filtro che trasforma le intenzioni oggettive dei protagonisti, imprimendone l’importanza dall’inizio alla fine anche al di fuori della storia in corso. Il lungometraggio di Garland, non a caso, si interfaccia con gli spettatori attraverso inquadrature realizzate direttamente sul campo, dimostrando l’importanza delle immagini stesse e il ruolo delle notizie in relazione alla storia umana e agli eventi attraverso i quali si è sviluppata e si sta sviluppando. È bene ricordare, però, che la stessa regia di Alex Garland non si avvicina mai ai sentimenti e alle sensazioni in atto, preferendo allontanarsi da ciò che provano i personaggi, e applicando quindi un ulteriore filtro distaccato e soprattutto molto secco, capace di convincere senza alienare.

Diventa quindi l’orrore di un mondo fittizio in rovina, e il desiderio di testimoniarne le ragioni e le azioni in atto qualcosa su cui riflettere direttamente dentro e fuori dal cinema. Guerra civile affonda le sue radici in quei dubbi che la civiltà occidentale conosce, o sembra conoscere, molto bene anche al di fuori della stessa America. Questa, rappresentata come una terra insanguinata dalle ipocrisie, dalle proteste e dalla disperazione altrui, diventa subito un monito e una trasposizione diretta e senza fronzoli della ferocia umana del nostro tempo. Siamo tutti americani Guerra civileoppure potremmo esserlo, e tra le pieghe crudeli e devastanti di un conflitto civile da cui nessuno è mai risparmiato, è fin troppo facile scorgere le stesse identiche e brutali ipocrisie del nostro presente.

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Proprio per tutti questi motivi arriva la paura di ciò che dice e scatena la Guerra Civile. Non è solo una questione di “modalità narrative”, ma soprattutto della loro attinenza a una storia, a un vero e proprio incubo all’interno del quale è praticamente impossibile non vedere alcune dinamiche della nostra vita quotidiana. Deriva dal peso di una narrazione senza fronzoli un lungometraggio essenziale e praticamente impossibile da ignorareimportante per quello che dice e suggerisce utilizzando il tocco di un regista che non ha paura di plasmare una materia narrativa sicuramente controversa, dibattuta e non facile da gestire.

 
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