«L’anima», docufilm sull’artista Paolo Bignotti che fu uno spirito libero e incompreso – .

Il cinema come strumento per ricordare, anche colmando le lacune della cronaca o della storia. Si adatta alla vena “L’anima” Di Massimo Grandiun ritratto appassionato d’artista, un film biografico incentrato sulla figura sconosciuta di Paolo Bignotti (1918-1978), pittore di Travagliato che in vita godette di meno considerazione che del suo valore. Ma il lungometraggio, che rappresenta l’esordio nella fiction di Grandi (anche lui di Travagliato e da oltre trent’anni operatore, regista e produttore di Teletutto), ha un legame indiretto con Strage di Piazza della Loggiaperché la parabola artistica di Bignotti ha toccato quel tragico evento, in modo del tutto fortuito e apparentemente fugace, ma in realtà decisivo per le sue fortune.

La proiezione

Il film è proiettato martedì al Cinema Nuovo Eden di Brescia, iniziativa promossa dalla Casa della Memoria in preparazione alla commemorazione della strage, di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario (in via Nino Bixio 9, ore 20.45, con ingresso gratuito). Per motivi di età, il biografo conobbe da lontano il suo compaesano, percependo però il fascino che emanava creazioni molto personali, mescolato ai riflessi di una reputazione eccentrica, che una volta attribuita resta attaccata come una seconda pelle. Grandi – anche documentarista e fotografo – ha potuto studiare il materiale che il cineasta Achille Rizzi aveva già raccolto su Bignotti, con l’intento di farne un reportage vivente: un progetto solo abbozzato, ma base per il successivo racconto di Luigi Salvi, sceneggiato da Francesco Ferrazzi sotto l’egida dello stesso Grandi.

Con la forma di un film documentario, l’autore racconta il genio non riconosciuto, l’uomo fuori dagli schemi, che soffre di indifferenza, se non addirittura di ostilità, verso una professione che l’immaginario popolare (e anche familiare, nel suo caso) identifica la condizione del fannullone, del “michelass” della tradizione.

Lo delinea lo spirito libero attraverso episodi paradigmatici (casa, lavoro, bar) che contribuiscono a definirlo, soffermandosi poi sul periodo in cui Bignotti vince la sua riluttanza e si misura con la capitale, una “sfida” funestata da una pagina nerissima, che purtroppo coincide con la sua entrata in scena ribalta.

Direttore

Massimo Grandi ci spiega: «Per la gente in difficoltà, Brescia è sempre stata un’avventura enorme, affrontata con stupore. Per Bignotti è stato così: una volta trovato il coraggio e la cosa è stata abortita per motivi esterni, l’entusiasmo è svanito”.

Notevole la fotografia e l’uso della luce, che il regista (coadiuvato da Carlotta Franzoni) utilizza come virtuoso nell’affresco che si dipana tra gli anni ’60 e ’70; di ruspante aderenza le interpretazioni di Mirko Signorelli (che interpreta gli umori mutevoli del mite Bignotti), Elvio Basotti, Pietro Arrigoni, Livia Marmaglio e Donatella Valgonio; Successo del commento musicale tutto nostrano di Charlie Cinelli e Lüf, supportati da Daniela Savoldi e Renato Bertelli.

 
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