«All’inizio gli facevo da segretario, usavamo un soprannome per chiamarlo» – L’intervista – .

Il 9 maggio è arrivato e per molti è il giorno in cui Liberato si manifesta. Da quando è esploso il successo del cantautore napoletano mascherato si è sempre parlato di musica, ma oggi si tratta di un film, un documentario dal titolo Il segreto di Liberato. No, non si tratta della sua identità, sarebbe stato semplice e perfino banale, due concetti impossibili da attribuire a Liberato, perché la sua avventura è unica. Il film spiega il vero segreto dell’artista, quello che si nasconde dietro la composizione della sua musica e non dietro la sua maschera, che alla fine, a pensarci bene, nasconde solo un nome e un cognome e non quella meravigliosa e poetica bella narrativa che ha conquistato un vastissimo pubblico. Per parlare del film abbiamo intervistato il regista Francesco Lettieri, che è parte integrante del progetto Liberato, è lui che ha creato l’immaginario visivo alla base del progetto, dandogli la forma che noi pubblico conosciamo e possiamo non fare altro che ammirare.

Partiamo dalla base: chi è Liberato?

«Liberato è un musicista, un cantautore… in realtà non so bene definirlo neanche io. Cantante anonimo è la definizione di Wikipedia, di Treccani, poi in realtà le risposte possono essere tante, perché l’elemento dell’anonimato apre tanti scenari e tante curiosità. In realtà Liberato è un contenitore di sogni, il fatto che non conosciamo la sua identità, che non conosciamo il suo volto, fa sì che ognuno lo completi con ciò che vuole. Tutti lo possono vedere come un cantante, come un ragazzo, come un uomo adulto, come un anziano, come un napoletano. Poi c’è chi lo vuole vedere milanese, c’è chi lo vuole vedere come uno sfigato che sfrutta il marketing per diventare famoso. E anche chi lo vede come un profeta, ognuno proietta su di noi ciò che vuole e questo in qualche modo lo rende diverso da tutti gli altri».

Qual è per te il segreto di Liberato come avevi dovuto raccontargli?

«Il segreto di Liberato è esattamente l’opposto del segreto di Pulcinella. Tutti conoscono Pulcinella ma fingono di non conoscerlo, invece tutti pensano di conoscere quello di Liberato ma in realtà non lo conosce nessuno. Ognuno ha la propria teoria su chi sia, ognuno è sicuro di chi sia. Io, che vivo questo progetto da dentro da tanti anni, ho seguito tutte le teorie che ci sono state, da quelle più plausibili a quelle più assurde, e una delle cose più incredibili è che ci sono persone che, una volta hanno deciso allora che la verità restava, nonostante fosse confutata, nonostante fosse assurda. Siamo andati, ad esempio, a Poggioreale per uno spettacolo dal vivo e tutte le guardie carcerarie erano convinte di conoscerlo: «Era a Nisida, ho lavorato lì e ho capito chi è». Quella è una delle teorie più assurde, Liberato il detenuto che fa video dal carcere, fa canzoni e poi fa concerti a Milano, o quella di Livio Cori, che è stato uno dei primi nomi che si è fatto e ha dovuto fare delle dirette durante Il concerto di Liberato per dimostrare che non lo era e comunque la gente non ci credeva. In fondo ognuno ha la sua verità e questo ha permesso al suo segreto di continuare ad esistere, perché se tu sei convinto di una cosa e io sono convinto di una cosa, alla fine non c’è mai la verità. Anche se c’è una teoria plausibile alla fine, tra tutte le altre, diventa una delle tante”.

In questo senso, ci sono ipotesi sull’identità di Liberato più plausibili di altre?

«Ce ne sono sicuramente di più plausibili, non ci sono teorie che arrivino alla verità. Alcuni sono stati argomentati meglio, ma la cosa interessante è che sono i meno utilizzati. Qualcuno ha fatto accertamenti più approfonditi, è andato a cercare di incastrare Liberato, ma poi alla fine questa cosa non ci ha interessato, non è entrata nel dibattito, sono andate in scena teorie più assurde. In realtà la gente vuole sognare, vuole una favola, vuole una storia, vuole un mito e questo è più interessante del nome e cognome di Liberato”.

L’idea del film è nata dal progetto stesso, dalla storia che avevi in ​​mano o dalla voglia di Liberato di raccontare la sua storia?

«In realtà tutto è nato per caso, come tutte le cose che riguardano Liberato, molto spesso dipendono dall’occasione che si presenta. È capitato in questi anni che siano arrivate tante proposte di documentari, anche subito, quando è esploso il fenomeno, sono arrivate come spesso accade, per il libro, per il documentario, per il film, per le patatine, per le figurine… per fortuna c’è è stata l’accortezza di mollare tutto per non scottarsi, per non vendere tutto subito. Quando è arrivata la proposta per questo documentario, era l’ennesima proposta che ci hanno fatto e l’abbiamo rifiutata come tutti gli altri, poi ad un certo punto, parlando di cosa avremmo dovuto fare dal punto di vista video per le fasi successive, ne è venuta fuori un’idea che c’era da tempo: fare qualcosa con l’animazione, con lo stile anime giapponese, che era l’unica cosa che non eravamo riusciti a fare, quindi la nostra controproposta è stata “Ok, facciamo il documentario ma rendiamolo animato” e per la prima volta ci è stato detto subito di sì. Da lì è iniziato tutto, abbiamo contattato Lorenzo Ciccotti che è l’unico capace di fare questo lavoro in Italia con un alto livello di qualità: ha fatto un lavoro enorme e quasi pionieristico”.

Il film racconta anche le origini di Liberato e anche Liberato è piuttosto insicuro delle sue capacità… Hai riconosciuto subito le sue capacità, più o meno come tutti, ma lui? Ci credeva? Si sarebbe mai aspettato tutto questo?

«Credo che ognuno abbia la propria strada, ora magari ci sono dei talenti e questa strada è racchiusa in un unico momento, ma quella di Liberato è una storia classica per tutti gli artisti che cercano il loro modo di fare musica. Secondo me, avendo costruito questo personaggio anonimo e fantasioso, ha trovato questa sicurezza. Conoscendolo, vedendolo anche fuori dalle vesti di Liberato, credo che sia una persona normale, una persona qualunque, poi quando indossa la maschera di Liberato diventa un supereroe convinto di quello che sta facendo e che probabilmente ha anche il coraggio di fare cose che altrimenti non farebbe. Ad esempio, dal punto di vista musicale, il fatto che suoni con la tradizione napoletana, la taranta, la tarantella, è qualcosa a cui un musicista napoletano con nome e cognome penserebbe un attimo prima di proporsi come continuatore. della tradizione, con la maschera per lui tutto è più facile, tutto è più un gioco. C’è tutta una serie di paranoie che non ha se ha la maschera”.

Che tu sappia, ha mai ceduto alla tentazione della fama?

«Secondo me no. Molti non considerano che con il suo anonimato si preclude molte cose, anche solo il successo con ragazze o ragazzi. Tutto il desiderio comune che c’è nell’essere famosi, lui non lo vive. Io che grazie a lui ho raggiunto un po’ di fama, posso confermare che è piacevole. Riesce infatti ad avere una grande lucidità e genuinità, riesce a mantenerla e sembra che la sua notorietà non gli interessi. Si diverte durante i concerti quando diventa Liberato e quelli ne fanno abbastanza”.

Come fai a mantenere un segreto del genere?

«Eh… è un disastro. Nella fase iniziale sono diventata praticamente la sua segretaria perché era l’unico contatto con lui che era online. Oggi c’è una struttura ma ogni volta che devi firmare un contratto è un pasticcio di deleghe per non far passare il suo nome, per la Siae è un pasticcio per i diritti… Oggi c’è gente che lavora per questo. Ogni volta che deve volare per i live, anche per mixare il film dovevamo andare in una safe room, tutte le persone che lavorano al mix sono selezionate, persone conosciute… caos. È anche molto divertente.”

Quante persone conoscono attualmente l’identità di Liberato?

«In realtà pochissimi, forse la gente da fuori non se lo aspetta. Abbiamo fatto alcune cose con i brand e poi forse il capo si aspettava di andare nel backstage e incontrare Liberato. No, non funziona così. Non telefona, non parliamo con Liberato, dieci persone hanno il suo numero. A volte non ce n’è nemmeno bisogno ma ormai siamo entrati in questo meccanismo. Pochissime persone conoscono il suo vero nome e noi non lo usiamo più, per nominarlo usiamo un soprannome che comunque è segreto”.

Il film sottolinea che il suo successo non dipende dall’anonimato, ma cosa accadrebbe se Liberato rivelasse la sua identità?

«Onestamente non lo so, ma non vedo perché dovrei farlo. Ho letto articoli che dicevano che con questo documentario rivelerà la sua identità, ma è una cosa che non ha interesse a fare. Se mai rivelasse la sua identità sarebbe come lasciar morire Liberato, perché Liberato è Liberato e poi c’è chi dietro Liberato è un’altra persona”.

Cosa puoi dirci della tua strategia di comunicazione, che è una parte fondamentale del tuo lavoro?

«Secondo me è stato tutto mal pensato. La strategia comunicativa è tutta sua. Non c’è strategia, né agenzia. Molti dicono che il suo successo derivi dall’anonimato, sì, ma la sua spontaneità fa molto. Credo che nel caso Liberato si sia confuso il marketing con le idee. Ha le sue idee: è il suo modo di fare le cose, il suo linguaggio, e funziona. Funziona perché è molto naturale, diretto, spontaneo, misterioso, ironico”.

Perché ha contattato te, che sei un regista, all’inizio del suo progetto?

In quel momento storico c’è stata l’esplosione di YouTube, io avevo realizzato il video Cosa mi manca fare di Calcutta, il primo videoclip indipendente a raggiungere il milione di visualizzazioni. Penso che in quel momento si sia reso conto che aveva una canzone ma aveva bisogno di un video, quindi ha cercato un regista. Non voleva un’etichetta, che ha tuttora, perché voleva autoprodursi. Tutto quello che facciamo è autoprodotto, a volte ci sono degli sponsor ma utilizziamo gli introiti dei live”.

Da napoletano, cosa significa per te il lavoro di Liberato?

«Ha dato una nuova immagine di Napoli: contemporanea, libera da stereotipi e anche internazionale. Liberato ha unito la storia e la tradizione del Napoli e l’ha messa insieme allo slang giovanile, all’immaginario ultras, l’ha fatta comunicare con l’ultracontemporaneo. Napoli è sempre stata una rappresentazione del vecchio e del nuovo insieme, e Liberato ha trovato il modo di raccontarlo e portarlo fuori dall’Italia. Mi sento fortunato e orgoglioso di far parte di questo progetto, di essermi imbattuto in esso e di averlo immediatamente riconosciuto e abbracciato”

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