Lo scontro tra Stati Uniti e Israele è ormai un dato di fatto, ma la situazione può peggiorare.

Lo scontro tra Stati Uniti e Israele è ormai un dato di fatto, ma la situazione può peggiorare.
Descriptive text here

La risoluzione 2728 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ne delinea uno spartiacque nella politica internazionale, modificando significativamente le consolidate dinamiche di allineamento alla base del conflitto israelo-israelianoHamas. La risoluzione è significativa per due motivi: in primis, rappresenta la prima volta dal 7 ottobre che il Consiglio di Sicurezza raggiunge un consenso su una linea d’azione; e, soprattutto, è stato adottato con l’astensione degli Stati Uniti.

Superando i precedenti veti posti da USA, Cina e Russia, con il voto del 25 marzo il Consiglio di Sicurezza è riuscito a rompere l’impasse a scapito di Israelecoinvolgendo lo Stato ebraico in una partita a scacchi diplomatica, che mette in luce gli interessi strategici contrastanti delle grandi potenze.

La risoluzione

La risoluzione chiede un “cessate il fuoco immediato durante il Ramadan, rispettato da tutte le parti in conflitto, che porti a una soluzione duratura e sostenibile”, compreso “il rilascio di tutti gli ostaggi e l’accesso umanitario per affrontare le emergenze mediche”. Sorprendentemente il testo, approvato con 14 voti favorevoli e la sola astensione americana, non lo menziona esplicitamente Hamas né chiede il rilascio degli ostaggi israeliani ancora detenuti nella Striscia di Gaza.

Israele ha immediatamente espresso rammarico per la rinuncia al veto di Washington in merito all’approvazione della risoluzione uno uno schiaffo in faccia al governo israeliano dall’amministrazione Biden. “Si tratta di un abbandono della posizione sistematicamente detenuta dagli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza dall’inizio della guerra”, si legge in una dichiarazione rilasciata dall’ufficio del primo ministro israeliano, che lamenta “questo voto danneggia sia lo sforzo bellico che il tentativo di il rilascio degli ostaggi”.

Una questione giuridica

Subito dopo l’approvazione della risoluzione, il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Matteo A. Miller, ha emesso un comunicato stampa per dichiarare che “la risoluzione odierna è una risoluzione non vincolante”. Ma così facendo Miller ha aperto una questione legale.

Mentre le risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno valore politico e simbolico, quelle adottate dal Consiglio di Sicurezza ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite sono giuridicamente vincolante. Lo stesso, però, non si può dire automaticamente per le risoluzioni adottate ai sensi del Capitolo VI, per le quali non è garantita l’osservanza, come ha subito chiarito il ministro degli Esteri israeliano Israele Katz con un https://twitter.com/Israel_katz/status/1772668493281796443 SU Xspiegando che Israele non cessa il fuoco e “continuerà ad agire con la massima determinazione fino al rilascio di tutti gli ostaggi e fino al Hamas sarà definitivamente sconfitto a Gaza”.

In un’analisi per il Istituto per la Pace degli Stati Uniti, Roberto Barrone convalida la posizione di Israele come corretta e prevedibile. Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU relative al Capitolo VI, sostiene Barron, devono essere prese come i “giratore di vento”che indicano cambiamenti nelle correnti politiche. Il sostegno trasversale alla risoluzione 2728 e l’astensione statunitense segnalano crescenti pressioni per ottenere almeno una sospensione temporanea del conflitto, ma questa è una situazione già nota a Israele, tradizionalmente inondato di risoluzioni antisioniste al Palazzo di Vetro.

Le preoccupazioni di Israele

In risposta all’atteggiamento ostile degli Stati Uniti, Israele lo ha fatto annullato una visita previsto a Washington, spingendo il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale, John F. Kirbydichiarare che la Casa Bianca è “molto delusa” e “un po’ perplessa” per la cancellazione della missione israeliana negli Usa.

In retromarcia, Hamas ha accolto con soddisfazione la risoluzione, ribadendo la richiesta di “un cessate il fuoco permanente che porti al ritiro di tutte le forze sioniste dalla Striscia di Gaza e al ritorno degli sfollati in Palestina”. Il gruppo terroristico palestinese ha inoltre dichiarato la propria volontà “di impegnarsi in un processo negoziato che porti al rilascio dei prigionieri di entrambe le parti”.

Le implicazioni della risoluzione per le operazioni militari in corso sollevano preoccupazioni a Gerusalemme. Il ministro della difesa israeliano Yoav Galantein visita ufficiale negli USA per incontrare il consigliere per la sicurezza nazionale Jacob J. Sullivan e il Segretario di Stato Antony J. Blinkenprevista per discutere dell’offensiva militare a Rafah, ha detto in un video che Israele “non ha alcun diritto morale fermare la guerra a Gaza mentre ci sono ancora ostaggi tenuti nella Striscia. La mancanza di una vittoria decisiva a Gaza potrebbe avvicinarci ad una guerra al confine settentrionale”, riferendosi al rafforzamento politico della Hezbollah in Libano.

Le preoccupazioni di Gallant sono condivise da Giovanni Giacalone, analista e professore di sicurezza e terrorismo presso STIMA E ITCT: “chiedere un cessate il fuoco permette a Hamas rivendicare la vittoria e aspettarsi che Israele perda la guerra, cosa che Gerusalemme non può e non deve permettere. Se si applicasse la stessa pressione internazionale esercitata su Israele Hamaspotremmo aver già visto alcuni progressi, soprattutto per quanto riguarda il rilascio degli ostaggi”.

Giacalone spiega ancora: “tentare di imporre un cessate il fuoco significa impedire a Israele di concludere la sua campagna militare strategicamente basato sull’avanzata dal nord di Gaza verso Rafah, facilitata dalla decisione dell’Egitto di sigillare il confine. Questo gruppo terroristico genocida, che massacra israeliani innocenti e sfrutta il gazawiti come pedine, rappresenta a minaccia fondamentale all’esistenza e alla sicurezza di Israele. L’amministrazione Biden non può ignorare queste realtà strategiche”.

Il vero motivo della crisi

Certamente il punto focale della crisi sembra essere la prossima corsa presidenziale negli Stati Uniti. Di fronte a una rielezione molto incerta a novembre, il pres Joseph R. Biden sta usando più che mai la politica estera per garantirsi conquiste politiche interne.

In un commento per L’Informale, Niram Ferretti, specialista del Medio Oriente, sostiene che “Biden dovrà quindi arrangiarsi. Non può abbandonare Israele ma deve gestire le richieste imposte dalla politica interna americana e inoltre deve promuovere un’agenda in linea con quella del [USA] (unica eccezione l’amministrazione Trump) degli ultimi trent’anni, che vede nella nascita di uno Stato palestinese unificato tra Gaza e Cisgiordania la soluzione a un conflitto che dura dal 1948 a oggi, nonostante la storia e i fatti lo dimostrino il suo nucleo E molto più profonda e radicale di una disputa territoriale“.

Inoltre, spiega Ferretti, il POTUS sta svolgendo a manovra ad alto rischiosimile ad una scommessa tutto compresoche potrebbe rivelarsi controproducente: “Sospendere il sostegno a Israele… [da] da un lato soddisferebbe l’ala più estremista del suo partito e l’elettorato islamico, ma dall’altro fornirebbe al Partito Repubblicano e Donald J. Trumpche ha cominciato ad attaccare Israele, un’arma formidabile per attaccarlo, ma non servirebbe a nulla nemmeno all’opinione pubblica americana in generale, che è in gran parte a favore di Israele”.

Tensione Usa-Israele

La decisione degli Stati Uniti arriva in un momento di crescente tensione con Israele. Dieci giorni prima di astenersi dal voto del Consiglio di Sicurezza, in un discorso al Senato, il leader della maggioranza Charles E. (“Chuck”) Schumer ha criticato la coalizione di governo israeliana, scatenando polemica furibonda. Il successivo appoggio del presidente Biden al discorso di Schumer ha suscitato una forte condanna da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Successivi promemoria del Dipartimento di Stato trapelati accusavano Israele di danneggiare la sua reputazione internazionale e l’avvertimento del vicepresidente Kamala D. Harris sulle potenziali “conseguenze” se Israele dovesse procedere con l’operazione militare finale pianificata a Rafah, ha posto le basi per l’astensione degli Stati Uniti sulla risoluzione 2728.

Lo scontro tra Stati Uniti e Israele, per il quale ci sono stati molti presagi, lo è ormai è un dato di fattoFerretti nota, e la risoluzione del Consiglio di Sicurezza lo certifica, ma, come dice brutalmente, “non siamo ancora a climax; ciò avverrà quando le forze di difesa israeliane entreranno finalmente a Rafah per chiudere la partita Hamas“.

Seguici sui nostri canali

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

NEXT Israele – Hamas in guerra, le notizie di oggi | Netanyahu è stato operato di ernia: «Tornerò subito al lavoro»