sì alla missione Usa. Crolla il consenso a favore della guerra tra i Democratici – .

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Con Israele sempre più isolato a livello internazionale, Benjamin Netanyahu sta facendo marcia indietro per evitare di compromettere ulteriormente le relazioni con il presidente Joe Biden. Mentre l’amministrazione americana guarda al day after di Gaza, e valuta preliminarmente le opzioni per stabilizzare la Striscia dopo la guerra. Secondo fonti di Politico, una delle ipotesi che emergono è che il Pentagono contribuirà a finanziare una forza multinazionale o una squadra palestinese di mantenimento della pace. Tuttavia, secondo due funzionari del Dipartimento della Difesa e altri due funzionari statunitensi, le possibilità prese in considerazione non includerebbero truppe statunitensi sul terreno.

Netanyahu, intanto, ha informato il Gabinetto di Guerra che invierà una delegazione a Washington la prossima settimana, confermando quanto annunciato mercoledì dalla Casa Bianca. Fonti dello Stato ebraico hanno riferito al sito Ynet che il primo ministro “si è reso conto di aver sbagliato” annullando inizialmente l’invio della delegazione con il ministro per gli Affari strategici Ron Dermer e il capo della Sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi (due suoi fedelissimi) come una reazione all’astensione americana sulla risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu per il cessate il fuoco a Gaza.

La visita per affrontare le criticità dell’operazione militare israeliana a Rafah è stata richiesta da Biden nell’ultimo, problematico colloquio avuto con Netanyahu il 18 marzo. Alcuni analisti hanno evidenziato un possibile legame tra il voltafaccia del primo ministro e la presenza a Washington del suo ministro della Difesa Yoav Gallant, che ha tenuto a sottolineare che “le relazioni di sicurezza con gli Stati Uniti sono forti e rimarranno tali”. E mentre Bibi avverte che “Israele si prepara a entrare a Rafah”, spiegando che solo la pressione militare potrà garantire la liberazione dei rapiti, gli Usa prendono sempre più le distanze dall’alleato, in particolare su un attacco via terra nella più lontana città a sud di Striscia, insistendo sul rischio di nuove perdite civili.

Anche perché Biden deve fronteggiare l’indignazione degli alleati internazionali e le notevoli pressioni interne con il rischio di compromettere, a pochi mesi dalle elezioni, il sostegno di due importanti gruppi di suoi sostenitori, i musulmani americani e i giovani. Come rivela un sondaggio Gallup, la maggioranza dei cittadini statunitensi – il 55% – disapprova l’azione militare israeliana a Gaza: una percentuale che segna un aumento di 10 punti rispetto a quattro mesi fa. E l’approvazione della guerra di Tel Aviv è scesa tra tutti e tre i principali gruppi partitici: di 18 punti sia tra i democratici che tra gli indipendenti, e di 7 punti tra i repubblicani.

Nel frattempo è in corso un nuovo botta e risposta tra Israele e l’ONU: l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Volker Türk ha dichiarato in un’intervista alla BBC che lo Stato ebraico ha una responsabilità significativa per la catastrofe umanitaria a Gaza, e che sono stati raccolti elementi per definire “plausibile” il sospetto che egli stia utilizzando la fame come “arma”. Che se riconosciuto da un tribunale internazionale, ha aggiunto, rappresenterebbe “un crimine di guerra”. E la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha ordinato a Israele di aprire ulteriori valichi per consentire l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza.

«Antonio Guterres guarda e vergognati», ha detto il 7 ottobre il ministro degli Esteri Israel Katz.

 
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