La destra europea rischia di diventare più divisa e litigiosa – .

La destra europea rischia di diventare più divisa e litigiosa – .
La destra europea rischia di diventare più divisa e litigiosa – .

Bruxelles – Doveva essere un campo unito per diventare “il secondo gruppo al Parlamento europeo”. Doveva essere una travolgente “forza per l’Europa”, che avrebbe cambiato gli equilibri a Bruxelles, capace di “ridisegnare la configurazione della destra europea, o addirittura di soppiantare il Partito popolare europeo”. E invece l’ascesa non irresistibile dei partiti conservatori, nazionalisti, sovranisti e di estrema destra alle elezioni europee del 6-9 giugno si sta trasformando in una grande bolla di saponelasciando sul campo un campo ancora più diviso e conflittuale, che non tocca la palla e si divide al Consiglio europeo e – invece di unirsi – si divide ancora di più al Parlamento europeo.

Da sinistra: il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán, e il Primo Ministro italiano, Giorgia Meloni

Se vogliamo che tutto rimanga uguale, tutto deve cambiare.ha scritto nel 1958 Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Più di sessant’anni dopo la destra europea, suo malgrado, ha preso il leopardismo e ne ha fatto quasi una sentenza: quasi tutto è pronto a cambiare (dentro), ma quasi tutto rimarrà come prima (fuori). Perché il Consiglio europeo di ieri sera (27 giugno) ha nominato i nuovi vertici delle istituzioni dell’UE, che sono allora espressione di una ben nota Unione: quella del popolo tedesco. Ursula von der Leyen per il bis alla Commissione Europea, il primo ministro liberale dell’Estonia, Kaja Kallain qualità di Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza ed ex primo ministro socialista del Portogallo, Antonio Costaal Consiglio europeo.

Al tavolo dei capi di Stato e di governo, i leader che avrebbero voluto rovesciare l’equilibrio tra i Ventisette sono rimasti in disparte e non hanno nemmeno votato insiemeIl Primo Ministro italiano e Presidente del Partito Conservatore e Riformista Europeo, Georgia Meloniconsapevole di non avere margini di manovra al tavolo del Consiglio europeo, è stata l’unica leader a non votare a favore di nessuno dei tre candidati (si è astenuta solo su von der Leyen). Il suo collega ungherese, il proprietario delle citazioni di cui sopra, Viktor Orbánsi è indignato dapprima per il fatto che “questo accordo è una vergogna e non si basa sul risultato delle elezioni”, ma poi ha approvato Costa e si è astenuto su Kallas. La base era l’accordo dei negoziatori dei partiti popolare, socialista e liberale. – che hanno deciso e continueranno a decidere le sorti dell’Unione – e tutti gli altri leader seguirono l’esempioindipendentemente dal colore del governo che rappresentano. Perché è pur vero che l’estrema destra è già entrata, o sostiene con decisione, nei governi di 7 Paesi membri, ma alla prima occasione per influenzare Bruxelles non è riuscita a trasformare le rivendicazioni di “Europa delle nazioni” in nomi di rottura con il passato. O anche solo per mantenere una linea comune.

La destra europea al Parlamento europeo

Se non altro, il discorso al Parlamento europeo mostra ancora più chiaramente come la destra europea si trovi in ​​un momento di confusione. Il progetto del campo unico con un mega gruppo è fallito tra Conservatori e Riformisti europei (ECR) e Identità e Democrazia – mai realmente un’opzione credibile, per la verità – dopo le elezioni europee i due schieramenti hanno subito cominciato a riorganizzarsi a Bruxelles senza aprire un tavolo di dialogo, anzi, litigando per membri e provocando attriti immediati tra i partiti nazionali a causa dei nazionalismi opposti. Un esempio di ciò è stato il partito ungherese al potere Fideszi cui 10 eurodeputati indipendenti hanno chiuso la porta all’adesione al gruppo ECR – nonostante mesi di flirt politico tra Orbán e Meloni sulla questione – a causa della precedente adesione di 5 nuovi membri al partito ultranazionalista rumeno Alleanza per l’Unione dei Romeni (Aur). O, ancora, la spaccatura interna all’estrema destra ultranazionalista francese Riconquista per le scaramucce sul rapporto con l’estrema destra Raduno Nazionale in vista delle elezioni anticipate nel Paese: dopo l’espulsione di quattro dei cinque eurodeputati eletti (ormai pronti a fondare una nuova formazione, ma nel frattempo già parte dell’ECR) resta un solo rappresentante, che ancora non sapere in quale gruppo finirà.

Da sinistra: il Primo Ministro italiano, Giorgia Meloni, l’allora Primo Ministro polacco, Mateusz Morawiecki, e il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán (29 giugno 2023)

C’è tempo fino a giovedì prossimo (4 luglio) per la costituzione formale dei nuovi gruppi politici al Parlamento europeo. Sono giorni frenetici a Bruxelles a causa delle turbolenze create da varie voci sulla nascita di nuove formazioni che, se si concretizzeranno, frammenteranno ulteriormente il campo della destra europea. Dopo giorni di attività dietro le quinte, il progetto del nuovo gruppo “I Sovranisti” guidato dal partito della destra radicale tedesca sembra essere a un punto morto Alternativa per la Germaniache si è rafforzato a Bruxelles con 15 membri, ma rischia l’espulsione dal gruppo ID a causa delle dichiarazioni del suo principale candidato, Massimiliano Krahsulla mancata condanna del passato delle forze speciali SS naziste. E per questo motivo ora sta cercando una soluzione per evitare di condannarsi all’irrilevanza politica nel gruppo non membro. Per formare un nuovo gruppo parlamentare, sono necessari non meno di 23 deputati provenienti da almeno un quarto degli Stati membri (7) e all’AfD potrebbero unirsi una schiera di piccoli e micro-partiti estremisti: dai bulgari filo-russi e anti-europei ai Vazrazdane (“Rinascita”) all’estrema destra populista polacca Confederazionefino al movimento populista spagnolo La festa è finita (‘La festa è finita’), i nazional-conservatori greci di Movimento Patriottico Democratico – Vittoria (Nikh), gli irredentisti rumeni di SOS Romania e quelli ungheresi Il Movimento della nostra Patriae i neofascisti slovacchi di Repubblica.

E poi c’è la vera bomba che potrebbe esplodere da un momento all’altro nel campo della destra europea, quella che ha il potenziale di far saltare l’accordo sovranista tra Meloni, Orbán e i polacchi di Diritto e Giustizia (PiS) dell’ex premier. Mateusz MorawieckiLa decisione del premier ungherese di chiudere definitivamente la prospettiva di entrare a far parte dello stesso gruppo del suo omologo italiano, al quale si rivolge sempre con parole mielate, è apparsa subito sospetta, soprattutto se si considera la concomitante uscita dal gruppo Renew Europe del partito da parte dei populisti liberal-conservatori cechi. Di nuovo 2011 dell’ex premier Andrea NonnaEntrambi i leader parlano da giorni di un nuovo gruppo nel Parlamento europeo che dovrebbe rappresentare i paesi del Gruppo di Visegrád – Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia – e non solo, ma che entrerebbero subito in rotta di collisione non solo con quel potenziale nuovo gruppo di sovranisti (per la ricerca di aderenti), ma soprattutto con quello dell’Ecr per la fragile equilibrio tra nazionalismi.

Da sinistra: l’allora Primo Ministro della Slovacchia, Andrej Babiš, il Primo Ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, e l’allora Primo Ministro della Polonia, Mateusz Morawiecki (20 giugno 2019)

Perché il pesce grosso di Orbán è proprio il più stretto alleato della Meloni nel gruppo conservatore della destra europea: il PiS di Morawieckiche ieri aveva aperto alla possibilità di lasciare Ecr ma oggi ha già ritrattato e si è detto pronto a riprendere il dialogo con gli italiani per la distribuzione delle cariche nel gruppo, dopo lo slittamento della riunione fondativa prevista per il 26 giugno. In realtà C’è un forte punto di divisione politica tra ungheresi e polacchi: il rapporto con la Russia di PutinSe si potesse superare, ma ora sembra difficile, in nome del tradizionale “siamo nello stesso gruppo ma ognuno vota secondo le sue scelte”, insieme Ungheresi (10), polacchi (20) e cechi (7) – con altre aggiunte necessarie per la regola dei 7 paesi – costituirebbe una forza più consistente del gruppo di sinistra (39 membri). Ma soprattutto svuoterebbe l’ECR relegandolo al quarto posto con 63 membri e rendendo già vano il sorpasso ai liberali di Renew Europe (75) al terzo posto tra i gruppi parlamentari.

Per quanto riguarda il quarto membro del Gruppo Visegrád, lo fanno sapere fonti diplomatiche slovacche Eunews che al momento non c’è alcun interesse e che questa è l’unica opzione sul tavolo per i due partiti rosso-marroni Direzione-Ssd (del primo ministro Roberto Fico) e Voce-Sd (del presidente Pietro Pellegrini) è un ricongiungimento forse impossibile con la famiglia dei socialdemocratici dopo l’espulsione dell’autunno scorso dovuta alla nascita del governo con l’estrema destra nazionalista. Le stesse fonti indicano che “ci sono altri partiti senza affiliazione”, cioè quei neofascisti di Republika contestati dai ‘sovranisti’ di AfD. Insomma, doveva essere “il secondo gruppo al Parlamento europeo” a cambiare gli equilibri dell’Unione. Invece, la destra europea rischia di frammentarsi e di litigare ancora di più al suo interno, mentre all’esterno – dove si prendono le decisioni – tutto rimane come è sempre stato.

 
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