Melénchon e le ambizioni del primo ministro che agitano i suoi alleati di sinistra – .

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI – “Fatelo tacere!” È come se lo sfogo di François Hollande, sentito due settimane fa durante un incontro pubblico nella sua circoscrizione di Corrèze, fosse diventato un’istruzione per l’uso. L’ex presidente, tornato sulla scena con queste elezioni legislative, si era sentito dire una frase piuttosto innocua dal suo ex compagno del Partito socialista, che da una dozzina d’anni è diventato il leader della sinistra radicale di La France Insoumise: “Molte persone pensano che sia una buona idea che io faccia il Primo Ministro”. Ma è bastato questo, con l’aggiunta di “talvolta mi sento ostracizzato”, per scatenare un vespaio all’interno del Nuovo Fronte Popolare, e anche all’esterno. Perché finiamo sempre per parlare di Jean-Luc MélenchonE nonostante le sempre più vigorose richieste di segretezza, non ha alcuna intenzione di tacere. La sinistra unita ha fatto tutto il possibile per dimostrare che la nuova alleanza non era un’esca, costruita da entità diverse che fino a pochi giorni prima dello scioglimento dell’Assemblea nazionale si detestavano a vicenda. L’unico modo per farlo era ignorare il nome del futuro primo ministro, nel caso in cui la vittoria fosse arrivata. Ne parleremo dopo, è stata una decisione congiunta dei leader del NFP.

Ma è in questo silenzio che interviene la solita voce stentorea del tribuno Mélenchon, che ripete sempre lo stesso concetto. “Anche se non voglio impormi, mi sento in grado di essere Primo Ministro”«Ho intenzione di governare questo Paese», ha ripetuto il sabato di chiusura della campagna elettorale ai microfoni di France 5. Non ci sarebbe niente di male in questo.

Se non fosse per il fatto che perfino i suoi alleati, e alcuni dei suoi collaboratori, lo considerano una personalità polarizzante. Anche all’interno del suo stesso bacino elettorale. Fuori dal vasto cortile dell’Insoumis, l’uomo che è stato candidato alla presidenza tre volte Non gode certamente di un consenso unanime a sinistra, e allo stesso tempo a causa delle sue posizioni spesso estreme, agisce da spaventapasseri presso l’opinione pubblica francese.

Padre fondatore del sistema nazionale di PFN, ma da tenere nascosto agli occhi della Francia, il suo paradosso è questo. Ma Jean-Luc Mélenchon non ha nessuna intenzione di accettare un destino da ospite sgradito. E più parla, più crea imbarazzo e divisione sul punto dolente dell’alleanza. Le accuse di antisemitismo rivoltegli e altri esponenti dell’LFI furono una delle cause che impedirono al Nouveau Front populaire di superare la soglia psicologica e di altro tipo del 30 per cento.

Poco importa che l’alleanza abbia firmato un documento congiunto di condanna della “inquietante esplosione”, a lungo negata da Mélenchon, “di atti razzisti, antisemiti e islamofobi”. Le dichiarazioni passate contano, e il leader degli Insoumis non si è mai risparmiato in termini di ambiguità sull’argomento. Per i suoi alleati, i socialisti, i verdi e soprattutto Place Publique di Glucksmann, azionista di maggioranza della coalizione, è una persona impresentabile “che non ha alcuna possibilità di diventare primo ministro”.

Nel cortile dell’Assemblea nazionale, dove ieri si sono presentati i primi per una foto di gruppo, non si è parlato del generoso ritiro in massa del terzo classificato LFI nelle circoscrizioni “triangolari”, non si è parlato delle restanti possibilità di ottenere una vera maggioranza di sinistra. A un certo punto, la sua fedelissima Sophia Chirikou ha sbottato. “Non è possibile che ci chiediate sempre questo e solo questo…” Solo per aggiungere che a Matignon, sede del governo, se tutto va bene finiranno con “Mélenchon o un altro dei nostri, ecco l’accordo”.

Accanto a lei, la sua collega Mathilde Panot ha denunciato “l’assedio” di Mélenchon come una “manovra perfida” per “equiparare LFI al Front National” e ha invitato “il mondo intero” a guarire da questa “psicosi generale”. I nemici lepenisti sono a conoscenza degli sforzi del Fronte Popolare per nascondere l’ingombrante padre fondatore e le sue ambizioniJordan Bardella ne ha fatto uno slogan della sua campagna elettorale. “Perché sei qui?” ha chiesto durante un dibattito televisivo tra i candidati a primo ministro, rivolgendosi al “sostituto” dell’Insoumis Manuel Bompard. “Manda qui il tuo capo, invece di farlo avanzare sotto mentite spoglie”.

Gli alleati predicano cautela. Ma la discrezione non è mai stata la sua prerogativa. E non ha certo intenzione di cambiare, nemmeno per il bene della sinistra. Proprio ieri si è rivolto ai social media per dire che il giovane erede apparente di Marine Le Pen ha ragione: “C’è bisogno di un confronto tra i due diversi progetti per i francesi”. Ma per il dibattito, lo ha invitato a rivolgersi a Bompard e ad altri due leader del LFI. La risposta di Bardella è stata immediata. “Quindi devo dedurre che stai scappando? Usciamo dall’ambiguità: hai preso il 22 per cento alle elezioni presidenziali, dici di voler governare il Paese: sei tu che devi venire a discutere”. Si torna sempre a questo. A Jean-Luc Mélenchon, e allo strano destino della sinistra francese. Né con lui, né senza di lui.

 
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