Il sacrificio di Piermanni e Beni nel libro di Bommarito e Di Stefano – .

Giuseppe Bommarito e Marco Di Stefano

Pochi giorni fa è uscito il nuovo libro dell’avvocato Giuseppe Bommaritoche nella sua nuova fatica letteraria si unisce Marco Di Stefano, generale dell’Arma dei Carabinieri, già comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri. Il titolo del volume, “Notte maledetta. 18 maggio 1977: i tre scontri a fuoco di Porto San Giorgio e Civitanova Marche”, è eloquente dell’argomento trattato al suo interno. Il libro sarà presentato nell’ambito di “Macerata Racconta” venerdì 3 maggio alle ore 18 presso il teatro Filarmonico di Macerata alla presenza dei due autori. Pubblichiamo integralmente l’introduzione.

Giuseppe Bommarito

«Molti anni fa, ormai quasi mezzo secolo, l’ufficiale Alfredo Beni e il maresciallo capo Sergio Piermanni, entrambi appartenenti all’Arma dei Carabinieri, cadevano mentre svolgevano il loro servizio a favore dello Stato, per difendere l’intera comunità, dopo un’intera vita trascorso in trincea. Nella stessa occasione rimase gravemente ferito il Capitano Rosario Aiosa, tra la vita e la morte per diverse settimane, ed il Brigadiere Velemiro Di Toro Mammarella, colpito alla tempia, si salvò per puro miracolo. Nei tre scontri a fuoco avvenuti nella notte tra il 17 e il 18 maggio 1977 tra Porto San Giorgio e Civitanova Marche si verificò sempre la stessa dinamica: l’iniziativa, di accertamento e identificazione, fu presa dai carabinieri, poi ci fu una reazione vigliacca, dalla sorpresa e dai colpi di arma da fuoco, da parte del gruppo di malviventi appena arrivato nelle Marche e infine dalla reazione letale dei militari con le armi in dotazione.

I carabinieri caduti in questi scontri frontali furono tuttavia protagonisti in prima linea nella lotta contro una malavita sempre più organizzata, sempre più feroce, pronta, anche per il minimo nonnulla, a sparare e a uccidere, soprattutto chi indossava una divisa, spesso con atti di violenza gratuita e banale, inutili anche dal punto di vista strettamente penale. La malavita di tipo mafioso, anche se all’epoca non esisteva ancora il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, verrà introdotta solo nel settembre 1982, dopo la tragica morte di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

La copertina del libro

Naturalmente, nulla potrà restituire la vita ai Caduti o lenire le ferite dell’animo dei sopravvissuti e delle loro famiglie, tanto meno un libro, ma raccontare le loro storie, le modalità del loro sacrificio, aiuterà chi era lì in quel momento. quell’epoca per ricordarli e permetterà ai più giovani (che sanno poco e niente di quel triplice scontro a fuoco) di conoscere il più grave evento criminale avvenuto nelle Marche dal secondo dopoguerra in poi, di cui incredibilmente non si è mai saputo nulla scritto. E, mantenendo viva la memoria, farà sì che l’esperienza venga elaborata in modo più compiuto ed eviterà che essa si offuschi e sprofondi irrimediabilmente nell’oblio, magari sostituita da ricostruzioni parziali, se non distorte, anche su aspetti cruciali della vicenda.

Eppure fu una vicenda che scosse all’epoca la coscienza dell’intero Paese e soprattutto dei marchigiani, direttamente interessati a causa della “giurisdizione territoriale”, una vicenda conclusasi in un bagno di sangue, in uno scenario terribile di morte emersa in una terra che fino a quel momento era considerata immune dalla grande criminalità, sia comune che politica. Un vero e proprio inferno, esploso all’improvviso senza essere preceduto da alcun presagio di sventura, coperto per settimane in lungo e in largo da tutta la stampa e le televisioni dell’epoca, per poi lentamente, malgrado le annuali commemorazioni, scivolare un po’ nell’oblio, come una candela che lentamente si brucia e si spegne. È quindi necessario ravvivare la memoria collettiva di quel terribile evento, memoria ancora necessaria come esercizio di coscienza e conoscenza e per tutelare la dignità e il sacrificio dei soldati caduti.

L’impensabile accadde la notte del 18 maggio 1977 e colpì due tranquille località costiere delle Marche, Porto San Giorgio e Civitanova Marche. Mai era successo qualcosa di così impressionante nelle Marche, mai si erano verificati tre distinti e ravvicinati scontri a fuoco tra malviventi e forze dell’ordine nell’arco di poche ore, con conseguenze gravissime. Due degli scontri a fuoco sono avvenuti a Porto San Giorgio, il terzo, poche ore dopo, ancora in piena notte, a Civitanova Marche. Tre scontri in rapida successione, quindi, che hanno portato morte, angoscia e sofferenza. Non solo nelle famiglie dei deceduti o dei feriti gravi, non solo nel grande corpo dei Carabinieri, ma anche nell’intera comunità, nelle istituzioni, nel sentire comune.

Piermanni

Il busto dedicato al Piermanni a Civitanova

L’arresto dell’unico bandito ancora in fuga, avvenuto la mattina del 19 maggio 1977, dopo poco più di 24 ore di intensa caccia all’uomo, pose fine ad un vero e proprio incubo clamoroso e sconvolgente, conclusosi con un pesantissimo bilancio. . Al termine della notte più sanguinosa della storia criminale delle Marche furono uccisi due carabinieri e quattro banditi; un capitano e un brigadiere sono rimasti gravemente feriti, un bandito è stato immediatamente arrestato e l’ultimo dei banditi in fuga – come già detto – è stato catturato poche ore dopo. Senza contare, in questo tragico computo, le due giovani vedove rimaste drammaticamente sole con cinque orfani, tutti giovanissimi, prematuramente privati ​​del loro prezioso sostegno paterno.

Fu il culmine di una serie di attività criminali di una banda estremamente pericolosa, caratterizzata da una notevole potenza di fuoco, che aveva già insanguinato in altre parti del Paese, composta da criminali in preda a delirio di onnipotenza, ossessionati dall’avidità di del denaro, del profitto facile, del potere da esercitare con la violenza più cieca. Un’insensibilità che ci ha lasciato sgomenti. Consideravano zero la moralità comune, le leggi, le regole, la vita umana, si sentivano dei superuomini. Ma gli scontri del 18 maggio hanno chiuso per sempre la tragica parabola di quella banda di assassini, di killer spietati arrivati ​​nelle Marche per delinquere e uccidere, dopo aver già seminato altrove morte diffusa. Una banda di alto calibro criminale, per quanto di natura mafiosa, che venne quindi completamente annientata dopo poche ore di sanguinosa follia: il sacrificio di Beni e Piermanni, e quello dei feriti, per quanto irreparabili e dolorosi, era servito a debellare completamente una banda di assassini pluricondanne penali, latitanti o evasi dalle carceri della madrepatria.

La vicenda turbò e commosse l’intero Paese, ebbe una vasta eco anche sulla stampa nazionale, dove uscirono tutte le notizie possibili ed immaginabili su questo massacro. E ha scatenato una grande ondata di solidarietà verso le forze dell’ordine delle Marche e di tutta Italia. L’enormità di quanto accaduto in quella lontana e piovosa notte marchigiana trovò poi riscontro concreto nel numero eccezionalmente alto di onorificenze militari attribuite ai protagonisti di quegli scontri a fuoco, sia a coloro che purtroppo persero la vita, sia ai sopravvissuti. Eppure di quella doppia strage si parla poco, sempre meno, come se si trattasse di un evento minore o da dimenticare, già sconosciuto alle generazioni più giovani.

Questo libro, basandosi sugli atti processuali, su testimonianze dirette e sugli articoli dell’epoca apparsi sulla stampa locale, si propone di colmare questa incomprensibile lacuna e di dare il giusto risalto a cinque grandi eroi della porta accanto (tre medaglie d’oro al soldato al valor militare e due medaglie d’argento, sempre al valor militare) morti o gravemente feriti o rimasti profondamente segnati, come si vedrà, compiendo fino in fondo il proprio dovere e anche qualcosa di più. Andare avanti.”

 
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