‘Capitani’, il libro di Gianfelice Facchetti su miti e bandiere del calcio: l’intervista – .

Il nuovo libro dello scrittore interreligioso è una magnifica galleria di personaggi e leader leggendari come Riva e suo padre Giacinto. “Erano ambasciatori che parlavano il linguaggio della strada – spiega l’autore – quello del calcio e delle sue leggi, incaricati di avvicinarlo ai vertici del potere grazie alla seduzione infantile del gioco”. L’intervista

INTER: LO SCUDETTO SPECIALE

“Hanno scelto per noi i colori del cielo e della notte…”. Il monologo firmato e rappresentato sul ‘palco’ di Meazza da Gianfelice Facchetti per il Centenario dell’Internazionale Football Club è un sacro canto d’amore, un inno all’interismo e un omaggio ai 40 ribelli che la sera del 9 marzo 1908 si riunirono nel cuore di Milano, al ristorante L’orologiocon un sogno: “Dare a tutti, italiani e stranieri, la possibilità di giocare a calcio per la stessa bandiera. Nerazzurra”. Suo padre, Giacinto, era un monumento alla Grande Inter di Herreranella stagione 1965-66 ‘Oscar’ al miglior calciatore protagonista nel titolo di (prima) stella, quando ha rivoluzionato definitivamente il ruolo del terzino già magnificandolo, 60 anni in anticipo sui tempi e 12 gol (di cui due in Coppa dei Campioni) come l’ala sinistra “alta” che conosciamo oggi. È con il padre che, idealmente e molto di più, l’attore e drammaturgo, ora con il suo scrittore Capitanivissuto la vigilia di derby-scudetto dal seconda stella d’oro: “Aspettiamo, senza fretta. Nell’attesa di un giorno di festa, di un treno per una destinazione speciale, di un attimo di felicità da dividere in due”.




Instagram @gianfelice_facchetti

A sinistra, il tenero scatto condiviso sui social da Gianfelice Facchetti nelle ore precedenti Milan-Inter: da bambino, a San Siro, con papà Giacinto. A destra, la copertina del volume.

Capitani

Il libro di Facchetti (Edizioni Piemme, con cui aveva già pubblicato nel 2022 C’era una volta a San Siro) è una commovente galleria di affreschi risorgimentali, supereroi di coscienza e lealtà, semidei provenienti da una galassia lontana, negli ideali piuttosto che nel tempo. Un viaggio che vorremmo non finisse mai, dal poema epico del Toro Valentino Mazzola all’invincibile Juventus di Boniperti e Scireaattraversando l’Italia in punta di piedi con autorizzazione?” Di Zola al suo primo giorno di scuola alla Torres e rigorosamente in maglia bianca come il primo capitano della Nazionale, il poliglotta catanese ‘Franz’ Calì; ritratti di leader dai capelli sempre perfettamente pettinati, coraggiosi, silenziosi, profeti in patria Totti e ‘Totonno’ Juliano, la dinastia Maldini, Roberto Baggiodi chi ci ha sempre messo la ‘fascia’ come Armando Picchi e Javier Zanetti. Una saga ispirata a papà Chipela sua bussola e modellato sull’archetipo dell’immortale Tuono. “Ciò che piace alla gente negli uomini Gigi Riva e ciò di cui si pentono – scrive l’autore – è la stagione in cui gli idoli vivevano tra la gente perché parlavano la stessa lingua. Leader con schiere fedeli di seguaci, come li chiamava Vladimir Dimitrijevic ‘santi nel pallone’: i tifosi, rispetto agli apocrofi dei vangeli, veri custodi della memoria di una squadra di cui conoscono date, campioni e miracoli”.

Nel 2011 l’uscita di ‘Gaetano e Giacinto’, canzone degli Stadio dedicata a Scirea e Facchetti, è stata lo spunto per uno speciale di Sky Sport sulla carriera dei due capitani con i figli Riccardo e Gianfelice.

Nella notte delle stelle, un mare di ‘santi in mongolfiera’ ha invaso piazza Duomo, nonostante la pioggia. I più intrepidi sono riusciti anche a toccare alcuni campioni d’Italia, sbarcati in Galleria a tarda notte: per un attimo è sembrato che tornassero al calcio del suo libro e anche il gesto di Barella di fermare il fiume straripante di insulti rivolti al Theo Hernandez erano molto ‘facchetti-esque’, molto di classe.

“Rompi una porta aperta perché sono innamorato di Barella. Non per niente l’ha scoperto un altro favoloso sardo, Gianfranco Matteoli, il mio preferito da ragazzo. È stato un momento bellissimo, perché è di questa semplicità che abbiamo bisogno. Questo abbraccio tra ‘eroi’ e ‘semplici mortali’ resta una delle cose da preservare, era prezioso”.

In quale ‘categoria’ di capitani collocheresti Lautaro?

“È un chiaro esempio di quanto la band possa dare potere, renderti più maturo e consapevole nel percorso di crescita di un campione. Non ne ho scritto nel libro per un motivo ‘scaramantico’: si parlava di rinnovamento nei giorni in cui lo stavo terminando e ho preferito evitare di approfondire una circostanza che, spero, si conclude con un lieto fine .”

Insomma, è il degno erede di Zanetti.

“Indubbiamente. Li unisce anche la terra d’origine e l’impressione è che questa cosa possa fare solo bene: avere Pupi come modello per un calciatore argentino è la cosa più bella che possa esserci”.

Quella ‘macchia’ nella finale di Madrid, però…

(ride) “Cristian Chivu ha detto che per una volta anche Javier ha trasgredito, dopo il trionfo al Bernabeu: lui e Dejan Stankovic (i diavoli tentatori, ed) lo vide fumare l’unica sigaretta della sua vita.”

Che effetto hanno quelle due stelle?

“Bellissimo! Vincere lo scudetto in casa dei nostri cugini, poi… è stata una grande dimostrazione di forza, che suggella un periodo d’oro per l’Inter negli ultimi 15-16 anni. Anche se non dimentico la delusione del 2022, le lacrime di Lautaro e Dimarco nella partita contro la Sampdoria, quando ormai era chiaro che il Milan aveva vinto lo scudetto. Una vittoria che ci ripaga in parte anche della delusione per la sconfitta in finale di Champions League”.

Scudetto Inter: il taglio della torta dei giocatori


Scudetto Inter: il taglio della torta dei giocatori

©Getty

Suo padre ha vinto due Coppe dei Campioni e il suo nome è marchiato nel ‘pantheon’ delle leggende dell’Inter. Capitano dell’Italia, regina d’Europa nel ’68, la squadra che batté la Germania 4 a 3 nella famigerata semifinale di Messico ’70, 8 volte tra le candidate al Pallone d’Oro (2° dietro Eusebio nel ’65). Riva lo ha definito “l’angelo della Nazionale, il prototipo dell’integrità morale per tutti noi compagni”.

“Mia madre conservava tutti i telegrammi che le venivano consegnati durante il ritiro. Messaggi di incoraggiamento, sostegno, voglia di condividere. Era una persona alla quale si potevano chiedere, se non miracoli, almeno ascoltare. Una persona degna della fiducia di un intero popolo. Il capitano della Nazionale non era il giocatore più famoso, ma quello più rappresentativo e riconosciuto. Un ambasciatore che parlava la lingua della strada, incaricato di avvicinarla alle alte sfere del potere grazie alla seduzione infantile del gioco. Quello di famiglia, un poster in cucina capace di parlare con una certa sicurezza, come il personaggio interpretato da Ugo Tognazzi nel film Splendori e miserie di Madame Royale: ‘Ciao Facchetti’!”.

Anche lei entra di diritto nella storia dell’Inter: il suo monologo nel Centenario resterà una pagina indelebile nel romanzo nerazzurro.

“L’ho scritto tutto d’un fiato. Il mio primo pensiero, come attore, è stato: dovrei leggerlo o memorizzarlo? Ma che impressione avrei fatto presentandomi con il pezzo di carta… Ho pensato di portarlo comunque, per sicurezza; poi, andando allo stadio, mi sono accorto che avevo lasciato la borsa con le banconote in albergo. Se non sono tornato indietro lo devo alla lezione di teatro: se ti sforzi di fare la cosa più semplice, cioè stare con gli altri e con quello che c’è. ‘è intorno a te, non ti perdi mai. Facevo parte di un coro, mi è venuto tutto naturale perché non ero solo. Un momento di assoluta magia, la mia emozione più grande nel mio rapporto con l’Inter, una sorta di legame per l’eternità”.

Gianfelice Facchetti recita il suo monologo per i 100 anni dell'Inter


Gianfelice Facchetti recita il suo monologo per i 100 anni dell'Inter

©Ansa

Sei cresciuto a Cassano d’Adda, la città natale di Valentino Mazzola.

“Il totem della squadra più amata di tutti i tempi in Italia, uno dei più grandi numeri 10 di sempre. Lui e i suoi compagni sono leggendari e non è un caso che la fascia da capitano compaia nella stagione successiva alla tragedia di Superga, una sorta di spartiacque, una scelta simbolica che testimonia la statura di quella squadra. La fatalità vuole che Inter-Torino si giochi domenica 75 anni dopo la partita del 30 aprile 1949, l’ultima giocata prima dai Granata – ormai certi dello scudetto. partiranno per l’amichevole di Lisbona, da dove non torneranno mai più”.

Davvero toccante anche il suo ricordo di Gianluca Vialli.

“Ho avuto la fortuna di incontrarlo in occasione del Premio Facchetti – Il bello del calcio, che abbiamo organizzato con l’ rivista, nel febbraio 2019. ‘Quando mi hanno detto che volevi premiarmi – ha esordito – sono rimasto molto sorpreso. Sono io la bellezza del calcio? Tutt’al più mi avevano sempre detto che ero simpatico. Poi ho visto che l’avevano dato anche a Zola e mi sono detto… beh allora posso vincerlo anch’io!’. Poi ha commosso tutti: ‘Accetto questo premio con umiltà e orgoglio. So come è andata la scelta, avrai detto: diamolo a Vialli perché forse l’anno prossimo sarà troppo tardi’. Anche quella volta insegnò a tutti il ​​valore della parola dignità”.

Gianfelice Facchetti e Gianluca Vialli nel 2019


Gianfelice Facchetti e Gianluca Vialli nel 2019

©Ansa

La battuta di Vialli su Zola è insuperabile, ma nel libro non mancano gli ‘scherzi’, come il gioco degli anagrammi. Così Beppe Bergomi diventa “Vai, è sempre più grande” e Alessandro Del Piero “Sarà lo splendido eroe”.

“Mi divertiva il fatto che anche mescolando le lettere certi nomi rimanessero coerenti con il loro altissimo profilo, che emergesse sempre qualcosa di sensato. La conferma che questi gladiatori sono un punto fermo, mentre nella storia del calcio quasi tutto va di fretta, con il rischio concreto di sprofondare amaramente in un baratro non solo culturale, ma soprattutto valoriale”.

Il ruolo dei comandanti, dei navigatori esperti, resta un’ancora di salvezza in questo mare un po’ mosso?

“Decisamente. Pensiamo a Nils Liedholm: da calciatore ha passato la fascia a Cesare Maldini e da allenatore ha fatto esordire in Serie A il figlio Paolo, ma è stato anche la guida di Antognoni a Firenze, del povero Di Bartolomei alla Roma, ha ha lanciato Signorini. Parafrasando Paolo Conte: il capitano, come il suo Maestro, è nell’anima e resterà nell’anima per sempre”.

 
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