La città dei jinn

La città dei jinn
La città dei jinn

È l’estate del 1969 a Essaouira, la città sul mare che i berberi chiamano Mugadur e precedentemente conosciuta come Mogador. Anticamente da qui partivano le merci che arrivavano dall’Africa nera, ma oggi Essaouira ha perso la sua importanza ed è una città in declino, dalla quale i giovani non vedono l’ora di scappare. Gianni, 22 anni, è in Marocco “con il pretesto di una tesi sulla cultura popolare del Nord Africa sotto la direzione del professor Labulue dell’Università di Parigi”. Fino a quel momento lo aveva accompagnato anche Martine, la sua fidanzata, ma ora è ripartita: lui la raggiungerà una volta che avrà raccolto altro materiale su alcuni riti di trance e possessione e su un pellegrinaggio rituale compiuto ogni anno da alcune tribù berbere. Un giorno, mentre sta gustando un tè alla menta in un bar del centro, Gianni vede per la prima volta Aïssa, una diciassettenne dalla bellezza straordinaria e un po’ effeminata. Dallo scambio di poche parole al tavolino al rotolarsi abbracciati nella sabbia, nudi ed emozionati, sulla spiaggia di Sidi Kaouki, al riparo da sguardi indiscreti dalle rovine del forte El Baroud, passano solo poche ore (“Amore? Non (non so cosa mi abbia spinto ad andare oltre l’amore, comunemente inteso come richiamo a una commistione tra forza vitale e inesistenza). All’Hotel des Iles, dove alloggia l’italiano, non permettono ai locali di salire nelle loro stanze in compagnia di stranieri. Così Gianni e Aïssa decidono d’impulso di prendere il bus della CTM per Marrakech…

I personaggi sono quasi gli stessi della storia Addio a Mogadora sua volta il seguito ideale di Albergo Oasi, pubblicato alla fine degli anni ’80. La narrazione è in flashback ed è intervallata da capitoli ambientati nel 2020, durante la pandemia di COVID-19. Da un lato, la “summer of love” nordafricana del crepuscolo degli anni Sessanta, con giovani freak che si perdevano nella bellezza eterea e brutale del deserto marocchino, nelle visioni indotte dalle droghe allucinogene e nell’esplorazione di un nuova identità sessuale, con le leggende su personaggi più o meno famosi come Jimi Hendrix, Julian Beck o il dottor Dick e con lo spirito di William S. Burroughs e André Gide che aleggiava sui torridi abbracci tra turisti e giovani nordafricani. Dall’altro, l’esperienza straniante del lockdown, dell’isolamento che costringe a fare equilibri di vita quanto meno malinconici. Il contrasto tra queste atmosfere (e le rispettive stagioni della vita dell’autore) è per certi versi struggente, in ogni caso impietoso. E non aiuta il fatto che la prima parte del romanzo decolli. Meglio, molto meglio la seconda parte, in cui si parla di “giorni strani e magici, in un viaggio circolare (cupo) tra i campi, le montagne, il deserto e il mare”. Qui il salernitano Gianni De Martino, uno dei fondatori della rivista cult “Mondo Beat” e figura di spicco della controcultura nostrana, decolla davvero come narratore e il romanzo si arricchisce di affascinanti temi antropologici ed esoterici, mentre i capitoli ambientati nel 2022 che chiudono il libro si colorano di rimpianti, amarezza e drammaticità.

 
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