Reportage a Piacenza – .

Reportage a Piacenza – .
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Don Franco Molinari aveva scritto nel 1982 nel suo saggio “Motivi profetici e violenza polemica nel Savonarola di Miraglia (1895-1899)” che “la sua storia attende ancora uno storico imparziale e obiettivo”. È quanto si legge nelle prime pagine del libro “L’eretico don Paolo Miraglia” di Carmelo Sciascia, che con la pubblicazione nell’aprile di quest’anno probabilmente ha raggiunto l’obiettivo. Ecco le mie riflessioni personali su questa particolare storia piacentina. La storia di un libro appena uscito: comprato e subito letto. “L’eretico Don Paolo Miraglia” è coinvolgente! Questa è la definizione più appropriata che attribuisco all’opera. Un passo indietro: incontro fortuito nel centro di Piacenza con Carmelo Sciascia. Accadde tre anni fa in un pomeriggio d’estate, con entusiasmo Carmelo esordisce: “Sai, sono venuto a conoscenza della storia di un prete siciliano, trasferito a Piacenza, che provoca un scisma e si mette in mezzo a ogni sorta di cose: dall’opposizione al clero locale, alle turbolente questioni legali e persino romantiche! Ascolto stupito e la curiosità prende il sopravvento in me: voglio sapere tutto! Sono siciliano con cinquant’anni di residenza a Piacenza, vengo da una formazione religiosa, sono credente. Corro ad acquistare il testo, mi tuffo nella lettura, o meglio: assaporo la conoscenza di una storia umana, religiosa, avventurosa diluita nel tempo. Forse è meglio specificare che vocazione sacerdotale e ribellione procedono simultaneamente, intrecciandosi costantemente e caratterizzando un percorso di vita unico e turbolento. È facile immaginare l’insediamento di questo sacerdote nella tranquilla Piacenza di fine Ottocento, città che la severa definizione popolare descriveva con le famose tre “c:”: chiese-caserme-casinò! Ambienti, secondo me, che nascondono bene il fuoco incandescente sotto l’apparente cenere. Don Paolo è sanguigno, non usa mezzi termini, favorito da un’intelligenza vivace, dalla cultura, dalla comunicazione, si scaglia contro i preti piacentini, accusandoli di scarsa educazione culturale e di avidità economica. La reazione della controparte è altrettanto furiosa e combattiva e sfocia in aspri scontri verbali e invettive scritte. In tutta la vicenda emerge con forza la figura di don Paolo che, seppur ostacolato dall’atavica diffidenza xenofoba di Piacenza, si fece seguire durante le sue prediche nella centrale chiesa di San Savino, riuscendo a farsi ascoltare e seguire, ma non solo, più volte il suo comportamento avrà strascichi giudiziari nelle aule dei tribunali e in un primo momento si rivela addirittura vincente. Mi piace immaginare gli scenari che si verificavano all’epoca nelle aule dei tribunali, caratterizzati dalla dominante nera: avvocati e giudici in toga nera, preti vestiti di nero con la tonaca, carabinieri con la storica divisa nera seppure caratterizzata da strisce rosse, una dominante nera con conseguente dilemma: eleganza austera o visione funebre e seria? La trama del testo offre lo spunto per un’altra riflessione: non sempre i comportamenti talvolta estremi dello stesso don Miraglia sono conformi all’etica corretta come il rifiuto del dialogo con il potentato scalabriniano o la storia d’amore con un giovane esponente dell’aristocrazia locale con conseguente concepimento di una figlia. Anche in questi casi estremi si intravede l’esasperazione di un ribelle che adotta comportamenti non sempre adatti al suo ruolo. A queste mancanze l’autore contrappone, nelle ultime pagine dell’opera, alcune anticipazioni che Miraglia crea rispetto al rito, come la celebrazione della messa in italiano o la posizione frontale del celebrante rispetto ai fedeli, che essere opportunamente attuate negli anni futuri. In questo modo viene valorizzata la figura di un sacerdote inetichettabile, visionario ma intelligente, anticipatore dei tempi futuri e forse anche per questo più vicino ai dettami evangelici.

Tullio Pilotta

 
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