«Con Yakouba la mia casa ora è un libro aperto» – .

«Con Yakouba la mia casa ora è un libro aperto» – .
«Con Yakouba la mia casa ora è un libro aperto» – .

Occhiali appoggiati su caschetti bianchi, sguardo limpido e gentile: Emilia Lodigiani fece suo il motto del padre, “noblesse oblige”, “la nobiltà comporta obblighi”. «Se hai avuto dei privilegi – il dono di una cultura, vivere in un Paese bellissimo, avere una famiglia felice – devi essere all’altezza di ciò che hai ricevuto», spiega, ricordando le ragioni che l’hanno spinta a «fare la sua parte ” di fronte alla terribile notizia raccontata dai giornali.
Un impegno, il suo, nato dalla lettura e approdato negli anni anche in catalogo Iperborea, la casa editrice indipendente da lei fondata nel 1987.

Un’emergenza che non possiamo ignorare

«Oggi giudichiamo i borghesi europei che nel XVII secolo si arricchirono a spese delle colonie come sfruttatori di schiavi», precisa l’editore «ma molti di loro non sapevano nemmeno come lo zucchero e il caffè arrivassero sulle loro tavole o quale fosse il commercio triangolare era. Oggi però non ignoriamo nulla: lo leggiamo sui giornali, lo vediamo in tv”.
Non ci sono quindi scuse per non vedere quello che i numeri ci dicono chiaramente. Secondo l’ultimo rapporto Global Trends 2024, pubblicato dall’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati), sono quasi 120 milioni le persone nel mondo in fuga dalle guerre e dai cambiamenti climatici.
In Italia, a fine 2023, erano circa 138.000 i titolari di protezione internazionale, 147.000 i richiedenti asilo – cioè coloro che si trovano fuori dal proprio Paese e presentano, in un altro Stato, una domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato sulla base alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, o per ottenere altre forme di protezione internazionale -, beneficiano della protezione temporanea oltre 161.000 cittadini ucraini e circa 3.000 apolidi. Dati, questi, destinati a crescere.

Il devastante conflitto in Sudan, i combattimenti nella Repubblica Democratica del Congo, la catastrofe nella Striscia di Gaza e la situazione in Siria sono solo alcuni dei fattori chiave che hanno aumentato il numero dei rifugiati negli ultimi tempi. A questi si aggiungono l’emergenza climatica e i connessi fenomeni di insicurezza alimentare ed energetica.

Come diventare una famiglia accogliente

Leggendo dati così allarmanti, già durante il periodo dell’emergenza in Afghanistan, Emilia ha cominciato però a guardarsi intorno capire cosa potrebbe fare nella pratica. Ha così scoperto che attraverso Refugees Welcome Italia – Rwi, organizzazione indipendente attiva in 30 città italiane, poteva offrire ospitalità nella propria casa ai giovani rifugiati in uscita dai centri di accoglienza. Si trattava di persone con regolare permesso di soggiorno che, ottenuti i documenti, non erano ancora del tutto indipendenti e rischiavano quindi di ritrovarsi in una situazione di emarginazione, proprio durante i primi passi di integrazione in Italia. Grazie alla rete di attivisti, partner e famiglie accoglienti, Rwi ha quindi fornito sostegno ai rifugiati in uno dei momenti più critici del loro percorso di inclusione.

Un’occasione di scambio

«Avevo posto in casa e così ho inviato la richiesta di ospitare», racconta Lodigiani «fino a quando, nel 2022 mi hanno proposto Yacouba, un rifugiato del Mali. Aveva 29 anni, ma non credo fosse la sua vera età, sembrava più giovane…” A quel tempo il ragazzo faceva il pizzaiolo ed era molto apprezzato per il suo lavoro, ma sognava anche di fare qualcosa di diverso. «Ho cominciato a insegnargli un po’ di italiano», ricorda Emilia, consapevole di come conoscere la lingua del Paese ospitante fosse il primo passo verso l’integrazione e requisito fondamentale per compiere qualsiasi azione, come il conseguimento della patente di guida.
Yacouba però ha faticato ad imparare: “non era mai andato a scuola nel suo villaggio in Mali, non ci era abituato se non per una parvenza di lezione nel campo profughi…”, spiega la donna.
Nonostante alcune difficoltà, però, anche grazie al lavoro dei mediatori culturali, i mesi passavano e la convivenza diventava per Emilia un’occasione di scambio: «Yacouba è una persona molto sensibile e di profonda umanità: ha capito subito quando non stavo bene e con grande gentilezza mi ha offerto il suo aiuto».

La storia di Yacouba

Il passato di Yacouba, però, emergeva solo di tanto in tanto: «nel corso che ho seguito prima di accogliere», precisa Emilia, «i rappresentanti della Rwi ci hanno consigliato di non fare mai domande dirette ai giovani rifugiati sulla loro storiaa meno che non volessero parlarne. Il rispetto per gli altri è anche questo: aspettare che esista quel desiderio di fiducia».

E così, a pezzetti, Emilia ha scoperto alcuni scorci della vita del suo ospite, come i tre anni trascorsi nei campi profughi, “tempo sprecato”, ovvero il terribile gita in barca verso la costa italiana, segnata da un ricordo drammatico, quello di un bambino piccolo strappato, dalle onde, dalle braccia di un uomo sul bordo del gommone che si era offerto di aiutare la madre stremata dalle urla del bambino. In punta di piedi, la donna è venuta a conoscenza anche dei motivi che si celano dietro alcuni comportamenti bizzarri del ragazzo, come il fatto che in un anno non avesse mai voluto assaggiare frutta o verdura, essendo stato costretto a mangiarle tutti i giorni per un lungo periodo. Il trauma ha avuto bisogno di tempo per essere metabolizzato. «Yacouba però mi ha raccontato soprattutto della sua vita nel villaggio», aggiunge Emilia «della famiglia (1000 persone!), dei suoi fratelli e sorelle, di sua madre, con la quale ho parlato anche con gesti e sorrisi whatsapp, non- la scuola, le tradizioni familiari, la giovanissima sposa…”.

Legami che restano

Dopo poco più di un anno insieme, tra chiacchiere e colazioni veloci condivise, Emilia prosegue: «siamo riusciti a partecipare a uno di quei bandi della Regione per avere una casa a canone calmierato. Per fortuna Yacouba riuscì ad ottenerlo e nel 2023 si trasferì a Cinisello”.

Tuttavia, il legame tra loro non è scomparso. Per Emilia quella prima esperienza di ospitalità fu «un obbligo morale, una piccola goccia» per restare fedele al motto del padre, “noblesse oblige”.

I libri sulla migrazione sono nel catalogo

Quella sensibilità l’ha accompagnata e continua a farlo anche nel lavoro, a Iperborea. «Se l’arte ha senso, se la musica o la letteratura hanno senso, è perché dovrebbe renderci più umani, più capaci di comprendere, identificarci con gli altri, vedere l’aspetto più profondo che ci unisce».
Per questo la casa editrice accoglie libri come il Trilogia degli schiavi del danese Thorkild Hansen, sulla tratta degli schiavi; Il mio nome non è Miriam Di Majgull Axelsson, sulla storia di un rifugiato rom in Svezia che si finge ebreo; Chi è nudo non ha paura dell’acqua, il primo libro del reporter Matthieu Aikins che, dopo aver vissuto per anni in Afghanistan, si è finto un migrante per accompagnare un suo amico lungo la rotta balcanica e raccontarlo, rischiando la propria vita. E così altri trenta titoli sul tema dei migranti, degli immigrati, dei clandestini, dei rifugiati. “Uno degli scopi della lettura”, spiega, “è arrivare a una comprensione umana più forte”.

Amin ed Emilia

Oggi Emilia accoglie nella sua casa Amin, un rifugiato dal Sudan che, a differenza di Yacouba, ha ricevuto un’istruzione superiore: è ingegnere, laureato come suo padre a Khartum. Il ragazzo, fuggito dal suo paese quando aveva 20 anni, fuggì prima in Francia. Dopo due anni trascorsi nel limbo burocratico di un richiedente asilo, ha deciso di venire in Italia, varcando i confini grazie a una rete di solidarietà inaspettata ma salvifica. Il giovane ha 26 anni e cerca lavoro.

Nota che l’altro è importante

«Quello che faccio non ci solleva la coscienza rispetto a ciò che accade intorno a noi», conclude Emilia «ma è un modo per ricordare l’importanza della gentilezza: notare l’altro, anche solo con un piccolo gesto».

Nell’immagine di apertura Emilia Lodigiani con il suo primo ospite, il rifugiato maliano Yacouba

 
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