Londra e non fumare mai più. Cosa fa l’Italia? – .

Londra e non fumare mai più. Cosa fa l’Italia? – .
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Un cartello vietato fumare all’aperto in una stazione giapponese. In Italia questo divieto non esiste a livello nazionale

Immaginate una generazione di non fumatori: vietate le sigarette a vita dai 15 anni in poi. E poi, tra un anno, dai 16, e un altro anno dai 17, e così via fino a scomparire del tutto tra i giovani. La proposta – che è quella su cui si discute in questo momento, non senza polemiche, in un Parlamento inglese diviso tra proibizionisti e liberali – piace a tutti in Italia. Dove “tutti”, invece, sta per “la piccola cricca” di esperti indipendenti sul fumo, come piace definirlo Silvano Gallus, sempre in prima linea con l’Istituto Farmacologico Mario Negri (di cui è responsabile del laboratorio Lifestyle Research) nella battaglia contro il tabacco.

La notizia da Londra lo rincuora dopo la delusione per il fallimento della grande campagna lanciata in collaborazione con la Società Italiana dei Tabacchi (Sitab), nell’ambito della più ampia iniziativa europea promossa dalla ONG spagnola Nofumadores, con l’obiettivo di raccogliere un milione di firme e vedere approvata una petizione che vieterebbe la vendita di prodotti a base di tabacco e nicotina a tutti i cittadini europei nati dopo il 1° gennaio 2010. Più o meno quello che chiede il primo ministro Rishi Sunak al suo Paese, «solo che non avessimo finanziamenti o addirittura supporto di alcun tipo” spiega Gallus. Perché, diciamocelo, la lotta al fumo in Italia non è proprio in cima alla lista delle priorità. Qualche esempio? Un pacchetto di sigarette costa tra i 5 ei 6 euro contro i 15 dell’Inghilterra (e il tabacco sfuso ancora meno); il divieto di fumare all’aperto, o in luoghi affollati, è frutto di qualche sporadica e coraggiosa iniziativa locale (Torino l’ha fatto martedì, Milano nel 2021, Bibione ha sperimentato in passato una spiaggia senza fumo); la prevenzione primaria è quasi del tutto inesistente; i centri antifumo, concentrati quasi interamente nei reparti di Pneumologia degli ospedali, si sono ridotti di un terzo dopo la pandemia, passando da 300 a un centinaio (e con un’emorragia di professionalità). «E, non ultimo, l’Italia è uno dei Paesi al mondo dove è più alta l’“ingerenza” tra industria del tabacco e governo – prosegue Gallus -, il che significa che l’industria del tabacco partecipa e sostiene con fondi propri alcune iniziative pubbliche». Il che, per i più dispettosi, spiegherebbe perché il meritorio annuncio di inizio mandato del ministro della Salute Orazio Schillaci sulla necessità di rivedere in senso restrittivo la legge Sirchia sia stato frettolosamente sepolto dai colleghi di governo (a cominciare da Salvini) , per non essere mai più richiamato.

Il primo ministro britannico Sunak in Parlamento – .

Eppure anche qui il fumo tra i giovanissimi è un’emergenza, se possibile peggiore che in Inghilterra. Secondo i dati Hbsc (Health behavior in school-aged children) pubblicati sul sito dell’Istituto superiore di sanità e riferiti all’anno 2022, l’Italia è il primo Paese tra i 75 presi in considerazione per percentuale di fumatori tra gli adolescenti: Il 40% usa già sigarette normali a 17 anni e il 25% usa quelle elettroniche. Il trend è impressionante se scendiamo ai 15 e 13 anni: nella prima fascia di età sono presenti quasi il 30% dei fumatori di sigarette e il 20% di sigarette elettroniche, nella seconda fascia di età (si parla di ragazzi delle scuole medie) quasi il 10% per entrambi. «È un peccato che nessuno possa mai pensare ad un divieto del genere» conclude Gallus, che ricorda che non è stato fatto nemmeno il minimo indispensabile, cioè aggiornare la legge Sirchia vietando il fumo di sigarette elettroniche e di tabacco riscaldato. nei luoghi pubblici. E, magari, innalzare il divieto di vendita dei prodotti del tabacco fino ai 21 anni: “Il che non scoraggerebbe i 17enni dall’acquisto, ma i 15enni sì”.

Queste sono le stesse riflessioni di Roberto Boffi, primario di Pneumologia dell’Istituto Tumori di Milano e direttore dello storico centro antifumo ad esso collegato: «L’intervento sulla legge Sirchia, che risale al 2005, quando il vaping non esisteva, sarebbe stata e sarà tuttora la cosa più logica, semplice e incisiva per disincentivare il fumo, unita alla certezza delle sanzioni e all’aumento nelle tasse di scopo” spiega, definendosi disarmato rispetto alla diffusione dei dispositivi elettronici e delle tabaccherie riscaldate nei grandi supermercati e nelle gallerie commerciali degli aeroporti vicino ai negozi di giocattoli o all’interno delle librerie. «La verità è che da noi in Italia non si parla più di fumo, anzi. E il nostro Paese è diventato terra di conquista per le grandi multinazionali del tabacco, con le grandi fabbriche Philip Morris a Bologna e British American Tobacco a Trieste”. Del divieto inglese Boffi è meno convinto del suo compagno di battaglie Gallus: «Creiamo una generazione di non fumatori e poi? Poi serve tutto il resto – spiega -, serve educazione, prevenzione, serve che la gente conosca i danni delle sigarette ma anche delle sigarette elettroniche, che ricerche indipendenti dimostrano avere la capacità di provocare il cancro come le altre. Anche i miei colleghi hanno bisogno di essere più formati su questo, affinché i giovani pneumologi che ora tornano nei nostri ospedali per specializzarsi capiscano quanto sia importante prepararsi”.

Un tabaccaio – Ansa

E poi il grande limite della proposta londinese, per lo pneumologo, è proprio quello di fermarsi solo alle sigarette vecchie: «La sigaretta non esiste più» spiega Boffi, ricordando un libro scritto 15 anni fa con una copertina a forma di pacchetto che «oggi sembra un cimelio di famiglia. I ragazzi non hanno mai visto quei vecchi pacchetti, non sanno nemmeno che forma hanno. Ci sono puff (sigarette usa e getta), il dispositivo i-Qos (con le microsigarette che si riscaldano al loro interno), il tabacco da fiuto (ovvero bustine di sale alla nicotina da mettere in bocca e succhiare come caramelle). Fumare è una tendenza, oggi diffusa dai social e pubblicizzata dagli influencer, con la grande differenza rispetto al passato che fumare è diventato buono, grazie ai sapori di mango e mirtillo che spesso vengono abbinati a nuovi prodotti e che permettono ai giovani di non annusare, non farsi scoprire dai genitori, svapare anche a scuola e non tossire”. Il fumo “buono”, quindi, assomiglia sempre più a un gioco «tanto che alcuni esperti, convinti anche che le sigarette elettroniche siano il male minore rispetto a quelle del tabacco, hanno iniziato a parlare di “riduzione del rischio” invece che di “riduzione del danno”. Un errore clamoroso, visto che i danni sono dimostrati sia per i primi che per i secondi”. Ma anche un inganno utile, se lo si guarda dal punto di vista aziendale, visto che chi produce tabacco (Philip Morris, Bat, Japan Tobacco) è anche chi produce quello che dovrebbe fare meno male del tabacco e sostituirlo: « Un po’ come se chi produceva e vendeva la droga fosse anche chi produceva metadone” sottolinea ancora Gallo. Che è la storia dell’anomalia inglese: Londra, che oggi vorrebbe vietare le sigarette, è il Paese che più ha cavalcato l’onda della “sostituzione” con quelle elettroniche meno pericolose (sulla carta) con i suoi esperti «tanto che 4 fumatori su 5 hanno iniziato a fumarli prima dei vent’anni, convinti che non fossero dannosi – rileva il presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale Alessandro Miani – per poi diventare frame smoker e rimanere tali per sempre.” Miani, secondo cui la proposta di Londra “è accattivante”, vorrebbe per il nostro Paese un serio divieto di fumo nelle aree pubbliche, con multe specifiche, e l’istruzione nelle scuole a partire dalle elementari.

Chi invece non demonizza affatto l’uso della sigaretta elettronica, ritenendo troppo restrittivo l’approccio dei colleghi, è Riccardo Polosa, professore di Medicina Interna con specializzazione in Pneumologia all’Università di Catania e direttore del Centro Ricerche sulla Riduzione del Danno (CoEhar): «La legge inglese può certamente essere utile, ma è del tutto anacronistica. Tutti i dati ci dicono che si va verso un abbandono quasi totale del tabacco da parte delle nuove generazioni. Il fumo, divenuto ormai un fenomeno tecnologico, è legato a uno spasmodico aggiornamento dei dispositivi che lo consentono, nell’85% dei casi prodotti in Cina. Compri l’ultimo vaporizzatore rilasciato come l’ultimo smartphone. Per quanto riguarda le sigarette elettroniche «siamo convinti, questo cerchiamo di dimostrare con le nostre ricerche e pubblicazioni, che rappresentino una significativa riduzione dei danni, soprattutto per quelle persone che non vogliono o non possono smettere di fumare e per le quali nel nostro Paese, come in tanti altri, non esiste alcun tipo di politica sanitaria. Non diremo mai, ovviamente, che svapare è come respirare nella zona del Cervino. Ma sì, questa abitudine abbassa il rischio rispetto a quello delle sigarette tradizionali. E crediamo di essere obiettivi”.

 
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