Fu arrestato, poi cinque mesi di carcere e due mesi agli arresti domiciliari e infine ottenne la piena assoluzione. Ma in questo calvario Erminio Diodato, di Vergiate, nel varesotto, ha perso tutto. Finito nell’indagine della polizia per un giro di spaccio di droga, è finito in manette un albanese di 43 anni che ha subito spiegato come appartenessero a lui i due chili di cocaina rinvenuti in un magazzino utilizzato dalla società Diodato. L’autorità giudiziaria non ha però creduto a quella confessione, procedendo alla custodia cautelare dell’imprenditore e richiedendone poi il rinvio a giudizio. Assistito dall’avvocato Daniele Galati, l’imprenditore ha ricevuto oggi dallo Stato un risarcimento pari a 60mila euro. Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Milano accogliendo la richiesta di ingiusta detenzione. «Almeno basta per ricominciare, visto che il mio cliente ci ha rimesso un business da 240mila euro l’anno. La richiesta di risarcimento ammontava a circa mezzo milione”, sottolinea l’avvocato.
“Ho perso tutto ciò per cui ho lavorato in tutta la mia vita”
«Ho perso tutto quello per cui avevo lavorato tutta la vita – ha raccontato Diodato all’Ansa – Quella mattina quando mi hanno chiamato non volevo nemmeno rivolgermi all’avvocato: sapevo di non aver fatto nulla di male. Era tutto doloroso e surreale, come se stessero parlando di un’altra persona”. Sotto segnalazione di una telefonata anonima, nel magazzino della sua azienda sono stati rinvenuti oltre due chili di cocaina e una pressa che, secondo gli inquirenti, sarebbe servita per confezionare i blocchi di stupefacenti. Nonostante le dichiarazioni dell’altro arrestato, il processo a carico dell’imprenditore è continuato. Fino alla parola fine: assoluzione totale. Diodato non sapeva nulla del farmaco. Ma nel giro di pochi mesi la sua vita è cambiata in un modo che non si sarebbe mai aspettato.
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