‘C’era una volta la Bari dei baresi’, Carlo Bresciani – .

‘C’era una volta la Bari dei baresi’, Carlo Bresciani – .
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La nostra rubrica dedicata al Bari dei Bari di Catuzzi, giunta alla dodicesima storia, si concentra su uno dei pochissimi calciatori non baresi di quel girone che hanno mancato la Serie A per soli due punti in classifica: Carlo Bresciani. Attaccante veloce, esperto, con buone qualità tecniche, bravo nel gioco aereo, arrivò a Bari nel novembre 1981, collezionando complessivamente 35 presenze in biancorosso (di cui 20 nella memorabile stagione 1981-82), e un totale di di 6 gol. Nella sua carriera ha giocato in Serie A con Fiorentina, Sampdoria e Catanzaro. Ha ricoperto il ruolo di allenatore prima nelle giovanili della Fiorentina, e poi prevalentemente nei dilettanti tra Grosseto (promozione in C2), Aglianese, Viareggio, Valle d’Aosta e Alghero. Fu anche osservatore di Padova, Pisa e Frosinone. Nato in Toscana, oggi, 69 anni, vive a Lido di Camaiore, in provincia di Lucca, lungo la costa della Versilia, e allena gli ‘Allievi’ di Camaiore.

Il Bari di Bari è stato qualcosa di straordinario, di magico, che rimarrà per sempre impresso nella mente e nel cuore dei tifosi. Ancora oggi è ricordata come la Bari più affascinante della storia.

Allora Carlo… cosa rappresenta per te la Bari dei baresi?

“Un anno meraviglioso, che nessuno avrebbe potuto immaginare. Abbiamo davvero dato spettacolo. Abbiamo fatto un giro e la gente ci ha applaudito. Giocavamo a un calcio moderno, cosa inaudita all’epoca. È stato divertente vederlo e giocarci, e ho avuto la fortuna di farlo. Andavamo in campo con la gioia dell’allenamento e Catuzzi era uno spettacolo. Giocavo davanti con Iorio, capocannoniere, e tuo papà (Gigi De Rosa, ndr) che era fortissimo: piccolo ma veloce, e saltava sempre l’uomo. Non mi sono mai divertito così tanto in carriera come a Bari”.

Hai giocato nel Lecce e sei arrivato al Bari durante il campionato, insieme a Majo e Fantini. Cosa ti ha spinto ad accettare i biancorossi?

“Sono venuto a Bari con tanta voglia perché sapevo che era una buona squadra, ma non fino a quel punto. In comunità si parlava molto di questo Bari sfrontato, molto bello da vedere. Poi ho conosciuto Majo. Abbiamo capito bene il primo anno, ma non il secondo. Quello strano difetto rimane.

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Una stagione meravigliosa, seguita da un’altra culminata con la retrocessione…

“La retrocessione dell’anno successivo fu molto strana. Con il cambio di pochissimi giocatori, tra cui Iorio con De Tommasi che aveva segnato tanti gol alla Cavese, retrocedemmo in un anno maledetto. Ma maledetta è stata anche la prima, perché con un po’ di fortuna, e altro, saremmo potuti andare in Serie A. Lo meritavamo più di tutti”.

Come si spiega quella retrocessione in C?

“A volte ci penso, ma non riesco a darmi una ragione. La gente ancora mi chiede come sia stato possibile, ma non so dare una risposta. So solo che la squadra era quella di sempre e che forse Radice non era la persona giusta”.

Il Bari, però, ha sbagliato tanti rigori…

“Sì, con Bagnato abbiamo commesso tanti errori. Avrei voluto prenderli a calci, ma non mi è stato permesso. Durante la settimana ci siamo allenati continuamente per tirare i rigori e Giovanni Loseto, in allenamento, non ne ha sbagliato nemmeno uno. Ricordo la partita contro il Monza a fine campionato: avevamo un rigore a nostro favore e Radice ordinò a Giovanni (Loseto, ndr), che diventò bianco in faccia, di calciarlo. Mi sono rivolto a Radice e gli ho detto che era inutile fargli tirare il pugno, essendo giovane e barese, perché la responsabilità era enorme. Ma Radice non mi ha ascoltato e Giovanni ha sbagliato quel rigore. Abbiamo perso quella partita che ci ha condannato alla retrocessione”.

Cosa è mancato, però, alla Serie A?

“Non mancava nulla. La partita persa in casa contro la Sampdoria ci condannò a non andare in Serie A: volevamo vincerla a tutti i costi, ma in alcuni di noi cominciava ad albeggiare il fatto che non volevamo perderla. Il pareggio è piaciuto a entrambi e non abbiamo pensato molto a quella partita. Poi qualche errore arbitrale subito in altre partite”.

E come si spiegava quegli errori arbitrali?

“Ci siamo sempre chiesti il ​​perché e abbiamo avanzato diverse ipotesi, tra cui quella del fastidio che avrebbe potuto creare l’avvento di Matarrese alla guida della Lega. Ma solo loro conoscono la verità. Certamente quei torti erano molto gravi”.

Raccontami del tuo rapporto con Catuzzi…

“Bello. Era giovane, ma sapeva come comportarsi con noi. Appena arrivato a Bari ho subito capito di che pasta era fatto. Abbiamo vinto le partite in base a quello che ci ha detto durante la settimana. Li ha azzeccati tutti. Ma è stato divertente suonare con tutto il gruppo. Abbiamo fatto cose incredibili. Catuzzi ha avuto la fortuna di avere alle spalle dei giovani, molto bravi tecnicamente. Un sacco di roba. In effetti, hanno tutti fatto carriera. Catuzzi era la nostra stella polare”.

Hai avuto difficoltà ad ambientarti in una squadra piena di baresi?

“Quando sono arrivato nello spogliatoio non riuscivamo a capire niente (sorride, ndr). Ci hanno accolto subito molto bene, sembrava lo spogliatoio di una squadra Primavera, ma dal punto di vista calcistico erano di livello superiore”.

Il dialetto barese?

“Cose del genere! (ride, ndr). Mi uccide quando sento il dialetto. Mi sono divertito moltissimo a Foggia e a Lecce, ma il Bari mi è rimasto davvero nel cuore. È stato molto bello e divertente entrare nello spogliatoio e sentirli parlare. Piano piano l’ho imparato e Carmelo Bagnato, con cui avevo giocato a Firenze, mi ha aiutato molto ad avvicinarmi agli altri.

Bagnato, dunque, è stato il tuo traduttore?

«Quando hanno cominciato a parlare in dialetto stretto è stata dura (scoppia a ridere, ndr)».

La parola in dialetto barese che ricordi con affetto?

“Tutte parolacce. È uno dei dialetti più belli che ci possano essere. Quando sento parlare a Bari mi viene sempre nostalgia”.

Raccontami un aneddoto…

“Quando cercavo casa con mia moglie, siamo andati in giro per Bari. Ad un certo punto ho trovato un attico, e alcuni amici mi hanno detto che era perfetto, perché era davanti alla polizia. ‘Sei in una botte di ferro’, mi hanno detto. La domenica successiva, mentre ero in campo, mi hanno svaligiato la casa. Alcuni compagni di squadra, del vecchio Bari, si sono offerti di farmi sapere se c’era qualcosa che sapevano in giro, ma tutto è stato vano. Mi hanno tolto un bel po’ di cose”. “Al ristorante mangiavo sempre riso, patate e cozze, che mi facevano impazzire. Oh mamma! Ho mangiato così tanto! Ho amici che contatto ancora oggi. Questo dimostra quanto ero bravo a Bari”.

Cosa ricordi della città di Bari?

“A volte non riuscivo a dormire e la notte andavo da solo al porto, entrando direttamente. Spesso la polizia mi fermava e mi diceva ‘Oh Brescià! Cosa fai qui di notte?’. Non mi piaceva andare in discoteca, preferivo stare con gli amici e giocare a carte. Sono stata spesso al mare: Polignano, Monopoli, dove ho mangiato i ricci di mare pescati da amici del posto. A Bari ho imparato a mangiare i frutti di mare, anche se non amo molto il crudo. Abbiamo mangiato molto bene.”

Hai giocato con Foggia, Lecce e Bari. A quale di queste tre squadre sei più legato?

“Mi sono divertito di più a Bari. Sono cresciuto nella Fiorentina Primavera e sono andato al Foggia dove sono stato capocannoniere della Serie B ed è stato l’anno del mio esordio. Sono andato al Lecce dopo gli anni alla Sampdoria e il ricordo della città è bellissimo. Il Bari, invece, è la squadra numero uno. Se dovessi tornare indietro e mi chiedessero dove voglio giocare ancora, sceglierei il Bari. Era tutto bellissimo, eravamo lì con gli occhi chiusi”.

Qual era la forza di quel Bari dei Bari?

“Il gruppo e il nostro maestro Catuzzi. Lo abbiamo seguito perché eravamo convinti che ci dicesse la cosa giusta. E questo gruppo ha fatto emergere anche le qualità di Catuzzi”.

Il tuo gol più bello con la maglia del Bari?

“Al mio esordio contro il Foggia e quello contro Verona e Sampdoria, negli scontri diretti di Serie A. Contro il Verona è stato bello: mi hanno dato palla in area, ho fatto la prima parata decisiva e ho segnato da fuori. Sembrava facile, ma non lo era. Ne ho fatti pochi, ma importanti”.

Chi è il miglior allenatore che hai avuto nella tua carriera?

“”Avevo due allenatori tatticamente bravi come Catuzzi e Galeone, che erano un po’ sulla stessa lunghezza d’onda. Catuzzi è caratterialmente più introverso di Galeone. Poi Mazzone, che per me è stato un maestro di comportamento. Ma Catuzzi è il numero uno. Ho giocato con squadre dove nessuno diceva niente, con allenatori che non mi davano niente, ma con Catuzzi è stata tutta un’altra storia. Sacchi doveva ancora venire”.

Chi era il calciatore biancorosso più simpatico?

“Ronzani mi stava uccidendo: fumava diecimila sigarette al giorno. Mi ha fatto piacere leggere il tuo bell’articolo. Ma avevo un buon rapporto con tutti. Erano carini quando parlavano tra loro e io li ascoltavo in disparte, scoppiando a ridere”.

Cosa stai facendo oggi?

“Io alleno gli studenti di Camaiore, una squadra di eccellenza. Trascorro del tempo e mi piace stare con i giovani, che mi stanno dando belle soddisfazioni. Qualcosa che Catuzzi mi ha insegnato, lo ricordo ancora oggi e lo metto in pratica. Siamo stati fortunati ad averlo, abbiamo imparato davvero tanto”.

Cosa pensi del calcio oggi?

“Oggi fisicamente sono delle bestie, mentre noi forse avevamo più difetti a livello fisico, anche se tecnicamente non avevamo nulla da invidiare a nessuno. Non sputo nel piatto dove ho mangiato, ma troppi soldi girano tra sponsor, pubblicità e affari. Molte cose sono cambiate. I futuri ricchi saranno gli atleti perché in molti sport i numeri sono spaventosi”.

Segui il Bari? Riuscirà a salvarsi?

“Non in senso lato. Non sta benissimo e speravo che con Iachini, che conosco bene e che mi sembrava la persona giusta, la situazione migliorasse. Il Bari merita di più. Non mollare mai, anche se non è facile. A volte, da situazioni difficili emergono punti di forza incredibili. Vedi la Bari dei baresi, da un anno all’altro è cambiato tutto”.

Cosa ricordi dello stadio Della Vittoria?

“Non vado al Bari dal 1983. Il mio Bari è allo stadio Vittoria: tanta roba, tanti ricordi squisiti. Era il nostro forte. Ho delle foto dello stadio gremito che mostro agli amici, e loro sono increduli. San Nicola è troppo grande e distrae troppo.”

Il Bari di Bari è irripetibile?

“Irripetibile. A volte nascono dei meccanismi, come tra due persone che si incontrano e si piacciono. È chimica. Non c’è niente da fare, è irripetibile”.

 
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